PALAZZO DEL QUIRINALE 02/11/1999

INCONTRO CON PRESIDENTE DELLE ASSOCIAZIONI CRISTIANE LAVORATORI ITALIANI E CON UNA DELEGAZIONE DELLE ACLI

 

INCONTRO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

CARLO AZEGLIO CIAMPI

CON IL PRESIDENTE NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI CRISTIANE

LAVORATORI ITALIANI E CON UNA DELEGAZIONE DELLE ACLI

Palazzo del Quirinale, 2 novembre 1999

 

Non posso non rispondere a un indirizzo così pieno di messaggi. Le Acli possono essere orgogliose di quello che hanno fatto nella loro vita. Oggi vedo che siete presenti non solo con quasi un milione di iscritti in Italia, ma avete una presenza ampia anche in altri Paesi.

E' un movimento - data la mia età ricordo quasi di averne visto le origini - che nel tempo ha maturato quelli che erano gli obiettivi, le funzioni e gli indirizzi che l'Associazione si poneva. Vi è stato un affinamento, una più chiara individuazione nel tempo, delle vostre finalità, pur nel messaggio già chiaro che all'inizio vi eravate proposto.

Il Presidente ha cominciato e ha terminato facendo riferimento a un concetto espresso in una parola: l'unità.

E' un punto sul quale insisto sempre e che considero fondamentale per il nostro Paese. Unità che significa non solo unità nel territorio, e quindi la riaffermazione della identità dell'Italia nei suoi confini naturali, che coincidono con i confini di una civiltà, di una cultura, di una storia, ma unità anche intesa come coesione sociale.

E vado subito alla parte finale del suo intervento. Ella ha posto due questioni. La questione della mancanza del lavoro e poi l'altro dell'immigrazione.

Il vostro Presidente ha sottolineato l'esigenza di creare lavoro. E qui mi ha fatto venire in mente una frase che ho detto poche settimane fa a Napoli, ai primi di settembre, quando fui avvicinato da un gruppo di disoccupati napoletani. C'era stato già un incontro con un gruppo di essi nella Prefettura poi uscendo da quel palazzo ne trovai un numero ben maggiore, allora ritenni di parlare anche con loro, anzi con loro feci tutto il tragitto che mi portò dalla Prefettura al Comune.

E a questo gruppo, che in maniera forte invocava "lavoro", dissi con tutta franchezza che il lavoro si crea, non si inventa. Ed era chiara l'allusione a certe forme di lavoro non con pienezza di contenuti. Sono assistenze, e l'assistenza è un'altra cosa. In molti casi dovuta e doverosa, però non è lavoro. Di qui la frase: "Si deve creare lavoro".

Per creare lavoro bisogna operare nel campo nel quale voi operate maggiormente, che è quello della formazione. Per creare lavoro in Italia occorre fare un passo avanti nel campo della competitività; è un altro concetto che ripeto spesso. Anche stamattina nel ricevere la Conferenza dei Rettori degli Atenei italiani ho parlato di competitività. E con loro il tema è stato soprattutto quello della ricerca applicata, dell'impresa e della competitività dell'impresa.

Cosa è la competitività che si richiede oggi? E' quello di immettere l'innovazione in ambedue i fattori della produzione. Il capitale - cioè le fabbriche, i servizi e le imprese - e il lavoro. Bisogna immettere l'innovazione in ambedue i fattori, nel capitale e nel lavoro.

Immettere innovazione nel capitale significa svolgere una maggiore attività di ricerca, soprattutto di ricerca applicata, e spingere gli imprenditori a immettere questa innovazione nei loro impianti attraverso nuovi investimenti.

Contemporaneamente bisogna immettere l'innovazione nel lavoro attraverso la formazione. E' inutile che parli con voi, che siete esperti della materia, del concetto di formazione continua. Un tempo: un lavoratore da giovane imparava un mestiere, entrava in fabbrica, praticava quel mestiere in fabbrica, lo arricchiva di altre conoscenze e gli bastava poi quell'aggiornamento che proveniva dal lavorare, cioè si impara lavorando, per vivere in quella fabbrica tutta la vita.

Oggi sapete meglio di me che la formazione continua deve farsi anche al di fuori della fabbrica in cui si lavora. Può essere la stessa fabbrica a promuoverla, ma possono essere anche altre associazioni - come ad esempio la vostra - che promuovono corsi di aggiornamenti. E' necessario tutto questo, altrimenti il lavoratore si trova, dopo dieci-quindici anni, fuori mercato. E' fuori nel senso che non è più in grado di essere applicato alle nuove macchine, alle nuove strutture organizzative e produttive, dati gli enormi progressi che vengono fatti oggi con una celerità che prima non esisteva.

La rivoluzione industriale è continua. E da qui l'importanza della formazione.

Dico da tempo che il lavoratore oggi non entra più in una fabbrica per starci tutta la vita. Entra in una fabbrica sapendo che quasi certamente non finirà la sua vita in quella fabbrica; lo farà solamente nella misura in cui quella fabbrica dovesse trasformarsi e divenire essa stessa una nuova fabbrica. Ma l'unica vera assicurazione che ha il lavoratore di non diventare un disoccupato è il proprio bagaglio professionale.

Un lavoratore che riesce a mantenere aggiornato il proprio bagaglio professionale, non teme per il posto di lavoro. Il posto di lavoro lo trova. Ed anche la mobilità viene vissuta in un altro modo quando uno sa di avere quel bagaglio. Anzi la mobilità gli serve per migliorare la propria condizione, non per peggiorarla.

In questo concetto di formazione c'è il problema della formazione rivolta non solo a noi italiani, ma anche agli immigrati. E da qui arrivo al problema dell'immigrazione.

Ho avuto occasione di parlare del problema dell'immigrazione quando mi sono rivolto ai ragazzi all'inizio dell'anno scolastico. Ho detto loro: molti di voi si trovano come vicino di banco un ragazzo, una ragazza che è diverso da voi.

Come si deve accogliere questo diverso? Non si deve accoglierlo solo con un sentimento di carità, intesa nel senso non di amore, ma di pietà. No, deve essere accolto come un tuo simile.

D'altra parte l'immigrazione è una realtà difficile da gestire, ma che ha anche aspetti positivi, in presenza delle "culle vuote". Il mondo più avanzato, qual è l'Europa e l'Italia in Europa, non può ignorare il mondo meno avanzato che abbiamo a poche centinaia di chilometri al di là dell'Adriatico o al di là del Mare Mediterraneo.

E' una realtà che si impone, la si affronta come tutti gli altri problemi, attraverso il dialogo, non attraverso le guerre.

E dialogo in questo caso cosa significa? Oltre a governare l'immigrazione, dobbiamo portare in quelle terre occasioni di lavoro, esportando capitali e creando là imprese, che saranno complementari con le nostre.

Non dobbiamo aver paura di portare altrove anche le nostre iniziative industriali, a livelli di tipi di prodotti, i più tradizionali, o di modi di produrre che si affidano al lavoro più che al capitale.

Ne abbiamo tutto l'interesse, sia per motivi sociali, ma anche per motivi economici, perché se noi lì riusciamo - e mi riferisco all'altra parte dell'Adriatico o del Mediterraneo - a creare imprese che assumono, che fanno lavorare, se creiamo un'agricoltura prospera laddove questa agricoltura oggi è povera, se creiamo in quelle terre dei mercati, questi diventano a loro volta anche per noi mercati di sbocco. Compreremo da loro beni di consumo, ma venderemo loro beni di investimento o anche beni di consumo fatti in maniera più avanzata nella qualità del prodotto o nella qualità dei modi di produrre.

Quindi bisogna intrecciare questo dialogo e al tempo stesso accettare che una parte di queste popolazioni venga da noi. E accettarla appunto perché è naturale che vi sia un movimento di popoli, quando vi sono differenze così forti, economiche e sociali. E d'altra parte è anche naturale quando ci si trova, come in Italia, in una situazione demografica che crea evidenti vuoti che non si colmano in tempi brevi, ammesso che si riesca a cambiare mentalità.

Tutto questo l'ho sentito nelle parole del vostro Presidente, ho seguito con interesse il vostro convegno di Vallombrosa sulla umanizzazione del lavoro, sulla umanizzazione dell'economia. E su questo mi trovate pienamente d'accordo, perché al centro della realtà umana c'è l'uomo. Non a caso l'Italia ha voluto che sulla moneta da 1 Euro in Italia, figuri l'Uomo di Leonardo da Vinci, l'uomo al centro del mondo.

Grazie quindi per il vostro apporto e in questo spirito vi ringrazio della vostra visita e vi faccio i migliori auguri.