DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
AL CORPO DIPLOMATICO
IN OCCASIONE DEL RICEVIMENTO PER LE FESTIVITA' NATALIZIE
Palazzo del Quirinale, 21 dicembre 1999
Eccellentissimo Decano,
Signori Ambasciatori,
Signore e Signori,
sono lieto di ricevere, per lo scambio di auguri natalizi, gli illustri rappresentanti del Corpo Diplomatico presso la Repubblica italiana. La Vostra presenza dimostra quanto ampia e autorevole sia la comunità degli Stati amici e delle Organizzazioni alle quali l'Italia aderisce.
Innanzitutto ringrazio Lei, Signor Decano, per le espressioni augurali che ha voluto rivolgere a me e soprattutto, per mio tramite, alla Nazione italiana. L'Italia crede nei valori di pace e di universalità.
Il 1999 è stato anche il 250° anniversario della nascita di uno dei massimi rappresentanti della civiltà universale: Johann Wolfgang von Goethe. Nel corso di quel viaggio in Italia, che egli definì l'evento più importante della sua vita, Goethe trascorse in questa città il Natale 1786, e così scriveva: "La storia si legge qui ben diversamente che nel resto del mondo. Altrove, si legge dall'infuori al di dentro; ma qui sembra di leggerla dal di dentro al di fuori. Tutto si schiera intorno a noi e tutto riprende il suo cammino da noi."
Spero che Roma, pur diventata una moderna metropoli, conservi per Voi questo appello a ritrovare in noi, nelle nostre coscienze, la traccia di quell'appartenenza alla storia, che ci ricorda il valore permanente dell'umanesimo. Il Giubileo vedrà affluire a Roma e in Italia visitatori e pellegrini provenienti da tutti i Paesi che Voi rappresentate. Ad essi anticipo un caloroso benvenuto.
Dopo l'euforia per la fine della guerra fredda abbiamo assistito al riaprirsi di vecchie ferite; il XX secolo si chiude con incertezze per il livello di conflittualità e frammentazione, con indignazione profonda per le efferate carneficine di civili inermi. Il Duemila eredita il rischio delle armi atomiche e di distruzione di massa. Malgrado le riduzioni apportate agli arsenali esistenti, non abbiamo instaurato un sistema efficace che ne impedisca la proliferazione.
Il nuovo secolo eredita un degrado ambientale contro cui la collaborazione internazionale, malgrado i progressi compiuti, è insufficiente. Eredita sfide che suscitano reazioni ancora inadeguate nella comunità internazionale: una criminalità internazionalmente organizzata; epidemie che indeboliscono interi popoli; un terrorismo che si dà per missione il sabotaggio della pace; la piaga della droga che distrugge vite e coscienze.
Milioni di esseri umani, specialmente i più inermi e indifesi, donne,
anziani e bambini, sono stati costretti ad abbandonare le loro case e le loro
terre. L'ospitalità di molti Paesi, la generosità dell'assistenza
internazionale, lo slancio delle organizzazioni di volontariato non bastano. Il
calvario dei rifugiati suscita anche il riacutizzarsi di pregiudizi, egoismi e
xenofobia. Non si può mettere a repentaglio la sorte di intere popolazioni
inermi.
Signori Ambasciatori,
per fronteggiare queste sfide, disponiamo di strumenti che, se utilizzati in
tutte le loro potenzialità, ci consentiranno di non lasciare alle future
generazioni un'eredità di lacerazioni e di divisioni. I progressi compiuti
nell'organizzazione della comunità internazionale, impensabili fino a poco
tempo orsono, ci sollecitano a ricercare ulteriori miglioramenti. Essi vanno
perseguiti attraverso il funzionamento delle istituzioni e l'attuazione degli
impegni sottoscritti.
Gli uomini passano, le istituzioni rimangono. La costruzione di una nuova legittimità internazionale è la risposta più efficace agli interrogativi rimasti aperti in questo secolo. Le tragedie cui abbiamo assistito non sono inevitabili. Lo diventano se siamo spettatori passivi, fatalisti.
Incontreremo resistenze. Innanzitutto i problemi che pensavamo di esserci lasciati alle spalle: il razzismo, gli odi etnici, le rivalità nazionali. In secondo luogo i problemi nuovi, che possiamo risolvere solo lavorando insieme: negare diritto d'asilo, ovunque, al terrorismo; bloccare la crescita e eliminare gli arsenali nucleari; salvaguardare le risorse naturali del pianeta; trovare un equilibrio fra i benefici del commercio mondiale e la protezione di ambiente, salute e diritti dei lavoratori; estirpare la piaga dell'AIDS; fare della tecnologia strumento al servizio delle nostre scelte anziché un fine a se stesso; affrontare infine le sfide poste dalle nuove frontiere della scienza.
La comunità internazionale è consapevole della sua interdipendenza ma non
sa ancora sfruttarne appieno le potenzialità. Vi è consenso sulle mete di
lunga durata. Per non smarrire la direzione di marcia, dobbiamo trovare il modo
di perseguirle insieme, muovendoci passo dopo passo. Abbiamo bisogno di audacia
nella visione, di esecuzione paziente e concreta, di risultati trasparenti.
Signori Ambasciatori,
la vitalità della comunità internazionale, la ricchezza e varietà dei
rapporti fra Paesi continueranno, certo, a dipendere dalla specificità e
dall'originalità dei contributi dei singoli Stati, delle diverse società e
culture. E' stato così in passato; al crocevia di civiltà e continenti,
l'Italia ne ha tratto benefici, ha generato progressi. Così sarà in futuro.
Interdipendenza e collaborazione non significano appiattimento o uniformità. Ma
le scelte nazionali, da sole, non bastano più. La collaborazione globale
costituisce l'unica risposta alle sfide globali.
Sono trascorsi poco più di sei mesi dal mio incontro con Voi in occasione della Festa della Repubblica. Nei viaggi compiuti sinora, così come nel corso degli incontri con Capi di Stato e di Governo in visita a Roma, nel quadro di un'attività che intendo proseguire nel Duemila, ho consolidato due convinzioni: la prima riguarda l'Europa; la seconda il ruolo internazionale dell'Italia.
L'Europa che si affaccia sul Duemila ha la capacità di diventare elemento fondamentale di stabilità. Ci siamo posti mete lungimiranti: realizzarle comporterà uno sforzo ardito; richiederà un impegno senza riserve nei prossimi mesi ed anni, che sarà decisivo per il consolidamento dell'autorevolezza dell'Europa.
Nella prima metà del XX secolo - ce lo ha ricordato ora Sua Eminenza - gli europei erano giunti alle soglie dell'autodistruzione. Sulle macerie del 1945, i Paesi dell'Europa occidentale, sottratti alla morsa del totalitarismo dalla volontà di essere liberi e dall'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza comune, hanno perseguito con costanza, con determinazione la visione di una grande comunità, in grado di conciliare libertà politiche e civili ed economia di mercato con i valori della solidarietà sociale.
L'Unione Europea genera coesione, integrazione fra gli Stati membri, ma non vuole essere un'entità a sé stante. Vuole proiettare la conquistata stabilità al resto del continente: propone accordi di stabilizzazione ai paesi dei Balcani, sviluppa il rapporto transatlantico con gli Stati Uniti, intensifica il dialogo con la Russia e l'Ucraina, con i paesi in via di sviluppo, con la Cina e il Giappone, con l'ASEAN, con l'Australia, con l'Africa. Ha avviato un rapporto innovativo con l'America Latina e i Caraibi. Con il Maghreb e il Medio Oriente l'Europa vuole costruire, oggi non domani, una collaborazione paritaria. Il Partenariato euro-mediterraneo nasce da una visione di comunanza nelle diversità e dall'esigenza di dare visibilità immediata ai dividendi della pace.
Per tradizione storica e culturale, per collocazione geografica, per logica economica, per presenza diffusa di connazionali nel mondo, l'Italia è direttamente esposta alle grandi trasformazioni internazionali, protagonista del rinnovamento della scena europea ed atlantica dalla seconda metà del secolo.
Ci siamo assunti responsabilità. Abbiamo lavorato insieme ai nostri partners ed alleati. Abbiamo operato attivamente nei fori multilaterali. Abbiamo così contribuito, e continueremo a farlo, al Patto di Stabilità per i Balcani, nella doppia componente di ricostruzione economica e civile; alla ripresa del processo di pace in Medio Oriente; all'avvio della normalizzazione a Timor Orientale; alle forze di pace ONU e NATO in Europa sudorientale, in Medio Oriente, in Africa e in Asia; ai progressi pur fragili delle organizzazioni di cooperazione regionale e sub-regionale in Africa; allo sviluppo economico e all'assistenza umanitaria.
Non abbiamo mai perso di vista la centralità dell'essere umano e la tutela dei suoi diritti, a cominciare da quelli politici e civili. Siamo impegnati per una giurisdizione penale internazionale; ci battiamo per l'abolizione della pena di morte. L'Italia ha cercato e cerca di lenire la sorte dei rifugiati e dei profughi, molti dei quali hanno potuto trovare da noi non soltanto assistenza, ma un lavoro e una dimora stabili.
L'Italia guarda al futuro con fiducia. Innanzitutto, l'Europa: un'Europa del buon governo, pronta all'imminente circolazione della moneta unica, che si muova decisamente sulla via del rafforzamento istituzionale e di una politica estera e di sicurezza comune.
A Helsinki sono stati compiuti dei progressi: ma se veramente vogliamo una Unione Europea salda, integrata, occorrerà accentuare da subito la spinta europeistica. Helsinki costituisce un punto di partenza: esso presuppone una forte accelerazione nel completamento e nel consolidamento dell'architettura istituzionale dell'Unione, nello sviluppo di un'identità europea di sicurezza e di difesa, nel progresso verso un governo europeo dell'economia, nell'affermazione di una identità europea basata su valori condivisi e sulle diversità, capace di rendere fecondi secolari intrecci comuni.
L'Europa deve essere in grado di difendersi e difendere la stabilità intorno ai propri confini. Lo deve ai propri cittadini; lo deve ai Paesi vicini; lo deve agli alleati. Vogliamo un'Europa fonte di sicurezza, non solo beneficiaria. Per l'Unione Europea l'allargamento è un imperativo politico ma anche una prova di maturità. Il processo è ormai irreversibile; nessuno dei candidati incontrerà preclusioni. Non vogliamo tuttavia soluzioni d'immagine che si tradurrebbero in distorsioni economiche e amministrative, con inevitabili ripercussioni sociali e politiche. Saremmo tutti perdenti: vecchi e nuovi membri, ma soprattutto l'Unione Europea e la sua autorevolezza internazionale. Ci aspettiamo un'Europa che offra un ancoraggio sicuro di stabilità ai Paesi che non sono ancora nelle condizioni di diventare membri dell'Unione. Una stabilità necessaria a est come a sud.
Vogliamo rafforzare le Nazioni Unite. L'ONU non può più sottrarsi ad un aggiornamento degli assetti istituzionali, che li adegui alle sfide del nuovo secolo anche attraverso la centralità del Consiglio di Sicurezza nella prevenzione dei conflitti. L'Italia intende contribuirvi attivamente nella prospettiva, storicamente e politicamente matura, di un seggio europeo nel Consiglio.
Saremo partecipanti propositivi nell'intero spettro della cooperazione multilaterale, politica ed economica, e dell'essenziale foro del G8, di cui saluto l'incipiente Presidenza giapponese, che culminerà in luglio nel vertice di Okinawa dei Capi di Stato e di Governo. Il continuato impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea è essenziale. La comunità atlantica, il rapporto fra Europa, Stati Uniti e Canada, resta un punto fermo di stabilità internazionale sulla base di un comune retaggio storico e culturale.
La stabilità e la democrazia nei Balcani, la pace in Medio Oriente, la
cooperazione col Maghreb sono obiettivi centrali per l'Italia. Ci siamo
impegnati a fondo; la comunità internazionale ha già mobilitato volontà
politica, capitale umano, risorse economiche. Non possiamo fallire.
Signori Ambasciatori,
la ricorrenza natalizia, il passaggio al nuovo secolo, al nuovo millennio sono
occasione per rinnovare l'impegno in ciascuno di noi a operare perché si
rafforzino gli ideali di cooperazione e di comprensione tra i popoli e gli
Stati. E' un impegno che richiede visione politica, determinazione, coscienza,
disciplina. Dev'essere sorretto da valori morali autentici e da un retto
sentire. E chi può comprendere meglio il senso di questo impegno dei
diplomatici, per i quali non si tratta solo di un dovere professionale, ma,
vorrei dire, di una vocazione? Questa vocazione può esprimersi al meglio se
saprà promuovere i valori della pace, una ed indivisibile, non più speranza
dell'umanità ma normalità della condizione umana.
Con questi sentimenti rivolgo a tutti Voi, Signori Ambasciatori, alle Vostre famiglie, ai Paesi che avete il privilegio e l'onore di rappresentare in Italia, i miei più sentiti auguri per le prossime festività.
Buon Natale - Buon Anno 2000.