VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
NELLA REGIONE SARDEGNA
INCONTRO CON LE AUTORITA'
Cagliari - Palazzo della Provincia, 9 novembre 2000
Grazie per la vostra affettuosa accoglienza.
Un primo saluto alle Autorità religiose e civili che sono in questa sala e un
ringraziamento particolare per gli interventi che abbiamo insieme ascoltato: del
Sindaco di Cagliari, del Presidente della Provincia di Cagliari, del Presidente
della Regione.
Li ringrazio, soprattutto, perché non hanno svolto un discorso limitato alla
cerimonia, ma hanno pronunciato un intervento di contenuti, in cui hanno parlato
con tutta franchezza dei problemi veri - come è stato or ora detto - di cui
oggi loro, insieme a voi tutti, sono responsabili, sono tenuti ad occuparsi per
trovare soluzioni.
Sono sempre stato contento ogni qual volta mi è capitato di venire in Sardegna; innumerevoli volte da turista, molte volte anche nelle varie responsabilità che, nel corso dei decenni, mi sono state affidate. Con non pochi di voi ci siamo incontrati in numerose occasioni nelle diverse località della Sardegna.
L'ultima volta che sono giunto qui, per motivi di lavoro, è stata nel luglio del 1988 - lo ha menzionato il Sindaco di Cagliari - e fu proprio in quella occasione - anch'io lo ricordo bene - che il Sindaco di Cagliari mi rivolse quella frase, che oggi ha citato. Eravamo all'indomani della creazione della moneta unica europea, alla quale l'Italia era riuscita a partecipare fin dall'inizio; e fu proprio allora che il Sindaco disse: "Mi auguro che per la Sardegna l'ingresso nell'euro non voglia significare solo il passaggio dalla periferia dell'Italia alla periferia dell'Europa".
Fu un'osservazione che mi colpì e sono oggi tenuto a iniziare queste mie
riflessioni con voi, partendo proprio da quelle parole. Certo, se mi trovassi
ancora ad avere responsabilità di esecutivo, sarei portato a rispondere o a
cercare di rispondere puntualmente alle varie tematiche che sono state
sollevate.
Oggi non posso certo entrare in tematiche quali quelle del federalismo, che sono
attualmente oggetto di un dibattito parlamentare che mi auguro porti alla
conclusione anche sul tema del federalismo istituzionale.
Per quanto riguarda i temi più concreti che sono stati evocati e che sono in gran parte legati proprio agli inconvenienti dovuti ai costi che la condizione insulare porta alla Sardegna, vi posso solo promettere - e lo farò - un interessamento concreto presso le amministrazioni statali con le quali voi già avete un dialogo, per far sì che questo dialogo - poi tornerò sull'argomento - possa diventare più serrato, soprattutto più costruttivo.
Per quanto riguarda la questione della periferia, penso che bisogna
fare oggi, sulla nuova realtà del mondo moderno, alcune considerazioni.
Domandarsi, cioè, in primo luogo: esiste ancora oggi una periferia dell'Italia
e dell'Europa? Oppure: è vero che l'Italia e l'Europa stanno divenendo una
struttura a rete di vasta estensione, ricca di molti nodi, di molti centri di
crescita, di sviluppo, di civiltà collocati ovunque geograficamente, dal centro
alla periferia geofisica, e che quindi nessuna di queste parti è destinata ad
essere sempre periferia?
E poi se c'è ancora - e c'è in parte - ancora una periferia, quali strade
percorrere per avviarvi più celermente un maggiore sviluppo? Queste sono le
domande che dobbiamo porci insieme, guardando all'Italia e alla Sardegna.
Da quando sono stato eletto Capo dello Stato, ho visitato molte regioni
dell'Italia. Presto, fra poche settimane, sarò in Toscana, a Pisa e a Firenze,
a far visita anche a quella che è la mia regione d'origine. E ho raccolto molte
esperienze, dalle quali traggo motivi di riflessione, ma soprattutto motivi di
fiducia.
La prima ragione di fiducia viene proprio dal fatto di essere parte di
un'Europa; un'Europa che oggi è alla vigilia di nuovi importanti passi in
avanti sulla strada dell'unificazione e alla vigilia di un allargamento che
tende a raccogliere, dentro l'Unione Europea o attorno ad essa, una parte sempre
più ampia del Continente.
Questi nuovi legami istituzionali ci aprono prospettive di pace e di benessere
che l'Europa, forse, non ha mai avuto in tutta la sua storia: forse bisognerebbe
risalire ai tempi della pace augustea.
Ed è motivo di orgoglio per tutti noi che l'Italia faccia parte, oggi come
sempre in passato - l'Italia non ha mai mancato un appuntamento europeo - di
quella avanguardia di Paesi che guidano l'Europa. Su questo punto vorrei
insistere, non perché sia un convinto europeista, ma perché - non dobbiamo
dimenticarlo - che la pace è il bene essenziale. Senza la pace non si
costruisce niente.
Abbiamo visto, come nonostante l'Unione Europea - un'Unione Europea che
ancora non ha potuto allargarsi, in un modo o nell'altro, sino a comprendere la
maggior parte dei Paesi d'Europa - ci siano ancora pericoli di guerra, quali gli
eventi dei Balcani ci hanno drammaticamente dimostrato.
Sono solito dire che se non vi fosse stata l'Unione Europea, se non vi fosse
stata una condizione di pace profonda tra gli Stati che per secoli si sono
combattuti su basi nazionalistiche, molto probabilmente quanto è accaduto nei
Balcani avrebbe potuto provocare nuovi conflitti di estensione mondiale.
In questo quadro più vasto, abbiamo fatto molti progressi nell'ultimo decennio. Abbiamo messo in ordine i nostri conti; siamo riusciti - lo ripeto - ad essere fra i fondatori della moneta europea e, per riuscirsi, siamo diventati più forti sanando alcuni dei nostri punti deboli.
Certamente, tutto questo non vuol dire sedersi sugli allori, al contrario. Ricordo ancora che non si era ancora firmato l'accordo a Bruxelles, il 2 di maggio, sulla unione monetaria che, rientrato in Italia, mi affrettai a dire che dovevamo proporci altri grandi obiettivi. Il successo avuto per entrare nell'Europa della moneta unica ci proponeva subito una grande sfida - quella con la quale attualmente ci confrontiamo - la sfida nella competitività che vuol dire crescita, che vuol dire occupazione.
Cerchiamo di vedere come stiamo affrontando questi problemi, questa sfida in
Italia e nella Sardegna.
Sono passati decenni da quando fu lanciato - lo voglio ricordare, perché
allora, sia pure in posizione di collaboratore, io stesso vi partecipai - il
piano di rinascita della Sardegna. Gli sforzi allora compiuti non furono poca
cosa. Purtroppo, molte delle iniziative di industrializzazione non ebbero
successo. Contribuirono non di meno a far crescere la società sarda in termini
economici e ancor più sociali e culturali. E' anche sulla base di quanto fatto
in passato che oggi il problema dello sviluppo della Sardegna può essere posto,
almeno in parte, in modo nuovo.
In primo luogo, il fatto di non essere fra le regioni di vecchia industrializzazione fa sì che sia stato conservato alla Sardegna un ambiente naturale più intatto e più integro. Sono valori che oggi, con i nuovi modi che vi sono per poterli valorizzare, costituiscono delle risorse fondamentali.
La vocazione turistica della Sardegna sta dando frutti crescenti; il turismo in Sardegna è una realtà importante che ha - lo sappiamo - un grande ulteriore futuro. Per rafforzarlo, bisogna dimostrarsi capaci di rinnovare e integrare le infrastrutture e di sviluppare le iniziative imprenditoriali che sono necessarie per mettere a frutto le risorse naturali, stando certamente bene attenti a non danneggiare il patrimonio di cui disponiamo.
La responsabilità di tutto questo ricade congiuntamente sulla società civile, sull'imprenditoria, non meno che sulle autorità di governo locali, regionali e nazionali. Di tutto questo voi ne siete consapevoli e gli interventi che abbiamo insieme ascoltato lo confermano. E nel parlare di valorizzazione delle risorse non dimentichiamo - non solo perché, purtroppo, sono stati afflitti dai danni di cui avete fatto memoria anche oggi - non dimentichiamo il potenziamento delle produzioni tradizionali, in primis quella agricola e, non meno di essa, quella dell'artigianato.
Ma questo non basta. Alla valorizzazione delle risorse antiche, naturali,
ambientali e culturali, deve affiancarsi la creazione di iniziative nei settori
della nuova economia, dell'economia più avanzata. E, fatto grandemente
positivo, è che tutto ciò sta già accadendo.
Chi avrebbe pensato, pochi anni fa, che una delle società a maggiore
capitalizzazione della borsa italiana nel settore della nuova economia sarebbe
stata una società sarda? Ebbene, questo è accaduto.
Ma non solo non c'è contraddizione fra l'una e l'altra vocazione, fra le
tecnologie tradizionali e quelle nuove, fra la protezione e la valorizzazione
dei beni tradizionali e la creazione di una economia d'avanguardia. Anzi, si
devono affinacare, per trarne una collaborazione proficua; si deve far sì che
il loro accoppiamento permetta di saltare una fase dello sviluppo tradizionale.
Far sì che quello che è stato un ritardo della Sardegna si tramuti, invece, in
un vantaggio, e passare direttamente alla nuova economia, all'accoppiamento
della nuova economia con il suo inserimento nelle attività tradizionali, al
fine di permettere un forte salto di produttività avendo evitato, per il
ritardo in fasi passate, di avere gli inconvenienti e i danni che spesso quel
tipo di industrializzazione ha inevitabilmente prodotto in tante regioni
d'Italia, di cui anche voi avete avuto, purtroppo, delle manifestazioni che,
seppur senza successo, hanno lasciato delle macerie.
Nella nuova economia, essere uniti non ha più l'importanza che aveva un tempo.
Nel mondo della globalizzazione c'è solo un sistema mondiale, una grande rete
con tanti nodi, con tanti centri.
Altro problema. Quando venni a Cagliari due anni fa, posi l'accento sull'importanza che il Mediterraneo aveva acquisito come via di transito per traffici crescenti. Stamattina stessa avrò occasione - la bella giornata lo consente - di effettuare una visita nel porto di Cagliari per rendermi conto di quello che è stato fatto, di quelle che sono le possibilità di utilizzare al meglio quanto è stato fatto.
Sono un sostenitore dei traffici marittimi, non solo fra le isole e la Penisola, ma fra tutte le altre zone del Mediterraneo, proprio perché è il più conveniente e il meno dannoso, sotto il profilo ambientale, modo di trasportare le merci, per unire in un nuovo legame tutte le terre che si affacciano sul Mediterraneo. Ma anche in questo campo occorre imprenditorialità e capacità di coordinare le iniziative pubbliche e private. Questo credo sia proprio il caso del porto di Cagliari.
Ma come procedere per mettere in moto la spirale crescente di una nuova
imprenditorialità, necessaria per non perdere l'appuntamento della nuova
economia e, soprattutto, per ridurre quello che è il male fondamentale, la
piaga economica e sociale che ci colpisce, e che colpisce, in particolar modo,
la Sardegna: l'insufficiente disponibilità di posti di lavoro?
Non posso non ricordare anch'io che il tasso di disoccupazione si collocava al
luglio scorso al 20,5%, che è praticamente la percentuale che distingue
negativamente l'intero Mezzogiorno, il 21%. Un tasso di disoccupazione che,
sostanzialmente, è doppio della media nazionale, essa stessa, col 10%, fra le
più elevate d'Europa.
Problema, questo, reso ancor più grave dal fatto che la disoccupazione è
presente soprattutto nei giovani. Abbiamo alcuni segni di miglioramento, non
solamente nelle percentuali che tendono, sia pur troppo lentamente, a
decrescere, ma, per esempio, in alcuni aspetti: vedo con piacere decrescere il
tasso di disoccupazione femminile. Questo significa un crescente inserimento
delle donne sarde nell'attività anche imprenditoriale. Il numero delle donne
sarde che oggi sono imprenditrici supera abbondantemente le migliaia.
E' pur vero che a fronte di queste statistiche così preoccupanti, vi è una forte diffusione di forme di lavoro sommerso, ma questo mette in luce l'importanza di farlo emergere e farlo diventare lavoro regolare.
Per realizzare tutto questo, il primo tema, che ci siamo ripetuti oggi stesso, è che occorrono delle buone infrastrutture, collegamenti migliori e meno costosi con il Continente, vie di comunicazione migliori all'interno dell'isola. Tutto questo è senza dubbio vero, perché è pur vero che oggi molto si scambia attraverso Internet, ma resta il fatto che anche in un mondo in cui Internet si è completamente affermato, le merci e le persone per spostarsi hanno bisogno dei tradizionali mezzi di trasporto. Uguale considerazione si deve fare per la branca fondamentale dell'energia.
In questi campi vi sono responsabilità del governo centrale, ma vi sono anche responsabilità che ricadono sulle augorità locali e regionali che devono, credo, meglio intendersi fra di loro e non intralciarsi, come talvolta accade, non solamente in Sardegna ma in tutta Italia.
Poi, al di là di queste realtà concrete, che sta nella nostra volontà di
riuscire con provvedimenti e con iniziative a risolvere gradualmente, ma già da
subito, occorrono altre due cose fondamentali.
Prima di tutto - e questo è un punto sul quale insisto sempre - delle buone
scuole, fino all'università e agli istituti di ricerca. Delle scuole che
preparino generazioni di giovani professionalmente specializzati, sia tecnici
sia scienziati. Scuole avanzate che preparino nuovi potenziali imprenditori,
uomini e donne. L'imprenditorialità non è solo virtù innata, ma arte che si
può insegnare e imparare. Avete già delle buone scuole, delle buone
università e dei centri di ricerca di fama, come il Parco Scientifico e
Tecnologico e come il "CRS4".
Il dialogo che sempre raccomando è quello a tre: dovete dialogare, colloquiare fra imprese, istituzioni locali e università, scuola.
In Italia c'è questa mancanza di dialogo fra questi tre soggetti, e che fa sì che vi sia una incapacità di far corrispondere con rapidità la preparazione dei giovani, cioè l'offerta di lavoro, alle necessità dell'economia, la domanda di lavoro.
Si notano - e anche ieri sera ne discutevamo mentre parlavamo insieme a cena - come vi siano delle situazioni incredibili, che proprio mancano delle stesse realtà di professioni e delle specializzazioni appropriate a quelle che sono le richieste delle imprese e la domanda degli stessi enti pubblici che operano, dagli ospedali alle stesse scuole, ma, soprattutto, che provengono dallo stesso mondo delle imprese.
Raccomando che questo dialogo avvenga, che vi sia una presenza poi di scambi, anche diretti, di imprenditori che vanno nelle scuole, che spiegano ai ragazzi cosa occorre alle imprese nei prossimi cinque o dieci anni, quale tipo di specializzazione. E che quindi si cerchi di dare un contenuto più pratico, più concreto alla formazione nostri giovani.
Noi viviamo questa realtà: abbiamo delle scuole che diplomano o laureano giovani che vengono assunti prima che terminano il corso scolastico. Ed abbiamo invece una infinità di giovani, diplomati e laureati, che non essendo stati indirizzati nella giusta direzione, si trovano per anni senza lavoro e sono poi costretti a cercare altro tipo di specializzazione rispetto a quella per la quale sono stati preparati nella scuola.
E poi cosa occorre? Una delle cose più importanti, che riguarda tutti, tutti coloro che hanno responsabilità di governo: cioè un buon governo, delle buone amministrazioni. E qui credo che abbiamo anche qui molta strada da compiere.
Credo profondamente - l'ho affermato più volte - a un nuovo stato federale democratico che rafforzi la sua unità, che è un bene per me e per tutti noi supremo, proprio sviluppando le autonomie locali a tutti i livelli.
Purtroppo, la stagione delle riforme, diciamolo con tutta sincerità, sta maturando troppo lentamente i suoi frutti. Mi auguro - l'ho già detto all'inizio - che ai pochi già colti altri ne seguono prima che si chiuda la presente legislatura.
Presidente Floris, ho ascoltato con grande attenzione quello che Lei ha detto. Molti dei problemi, che Lei ha enunciato, richiedono - l'ho accennato all'inizio - un dialogo più serrato e più costruttivo, un confronto più deciso fra le amministrazioni della Regione Sardegna e il governo centrale.
Mi limito poi a sottolineare due punti che considero fondamentali nel suo riferimento al federalismo.
Il primo: l'unità nazionale. E qui vorrei appunto riprendere una sua locuzione, per evitare che se ne possa dare una distorta interpretazione, quando Lei ha parlato di identità di nazione mancata.
L'Italia tutta, la penisola e le isole hanno una identità ben definita. Credo che nessun altro paese in Europa l'abbia quale l'ha l'Italia. Quella Italia che, nel pieno del Risorgimento, Manzoni chiamava "Una d'arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor".
Ho inteso nelle sue parole la conferma appassionata del pieno senso di appartenenza dei sardi a questa nazione, per la quale tanti figli della Sardegna hanno dato la vita. E ho sentito al tempo stesso - e la comprendo - l'amarezza per avvertire una insufficiente comprensione per taluni dei maggiori problemi dell'isola.
L'altro punto che desidero sottolineare, richiamandomi a quanto da Lei detto, è la solidarietà. Quindi qualsiasi riforma di federalismo - che sta al Parlamento portare alla sua conclusione - deve avere ben chiari questi due punti: unità dell'Italia, solidarietà fra le varie parti d'Italia. Credo che su questo abbiamo un comune sentire, del tutto uguale, del tutto identico.
Creare un'Italia federale vuol dire non fare a meno dello Stato, ma avere uno Stato più coeso, più giusto, più efficiente. Il federalismo deve consolidare una democrazia dove le responsabilità di governo sono più vicine al popolo, ma dove tutti hanno più responsabilità in una società, in una economia dove c'è inevitabilmente più concorrenza su scala mondiale.
Sono in gara fra loro non solo le imprese, ma le varie amministrazioni locali che debbono saper mettere a frutto sia tutte le risorse interne, sia quelle che vengono messe a disposizione dello Stato nazionale e dell'Europa. Conoscete la mia battaglia, che ho affrontato da Ministro del Tesoro, per l'utilizzo dei fondi strutturali; mi auguro che in Sardegna - i problemi sono tanti, anche ieri li abbiamo analizzati, a cominciare da quello dell'acqua e della sua distribuzione - si possa procedere al più completo utilizzo dei fondi strutturali.
E a tal proposito mi rivolgo a tutti i Sindaci qui presenti, che possano adoperare essi stessi quei fondi tramite la Regione e tramite lo Stato, per poter finanziare quelle opere fondamentali ed elementari per il benessere dei propri cittadini, a cominciare appunto da quello dell'acqua, che è soprattutto concentrato sulla sua distribuzione, al fine di evitare sprechi di risorse.
Con buoni governi locali, lo stimolo all'innovazione e allo sviluppo diventa più forte. Diventano anche, con buoni governi locali, più credibili le rivendicazioni, che è giusto ci siano, nei confronti del governo centrale, per quella parte di responsabilità che su quel governo continua e continuerà a cadere.
E' necessario, per riuscire, porsi degli obiettivi, e poi controllare i
risultati raggiunti. Ritengo questa una modesta attività che ho sempre
sostenuto che si debba svolgere, a tutti i livelli.
A ogni inizio dell'anno ci si pone i propri obiettivi e poi si deve,
periodicamente, nel corso dell'anno controllarne - usando una parola che ormai
è diventata, anche se non è molto italiana, di uso comune, monitorarne - il
suo andamento. Perché è fondamentale applicare due cose nella vita. Per avere
fiducia, sostengo sempre che occorre, quando avete un momento di sfiducia, porsi
questo interrogativo: "Come stavo sei mesi fa, un anno fa, tre anni
fa?" oppure "Quale era lo stato dell'attività che mi è stata
affidata?". E questo probabilmente mi darà motivo di fiducia, perché
riscontrerete che l'avanzamento c'è stato.
Ma al tempo stesso svolgere quest'altro tipo di verifica periodicamente, ogni tre mesi o ogni quattro mesi, se quanto vi eravate proposti di raggiungere sta andando avanti. Questo è altrettanto fondamentale: non aspettare fine anno per fare il bilancio; perché a fine anno faremo il bilancio finale, ma poi si può avere la sorpresa che non ci siamo impegnati abbastanza in alcuni passaggi che avremmo potuto raggiungere e che non abbiamo raggiunto.
Ricordatevi - ed è un altro concetto che ripeto spesso - che non sono i capitali finanziari che mancano, ma occorre, per attirarli, dare prova di saper progettare e di sapere realizzare, mediante un'alleanza fra pubblico e privato, fra autorità locali e autorità centrale, che è la premessa indispensabile del successo.
Vi ho forse tediato anche troppo a lungo, quindi giungo alla conclusione. Come avete notato, anche io ho pronunciato un discorso non da cerimonia, ma ho svolto un discorso tra persone che sanno di avere responsabilità e problemi in comune, che questi problemi e queste responsabilità debbono, per avere un esito positivo, vedere una collaborazione vera fra di loro, schietta, aperta; un confronto anche forte, anche duro, ma sempre costruttivo, mirato a concludere. Ribadisco sempre che non capisco, quando si partecipa a delle riunioni, che si terminano non avendo concluso niente. Una riunione deve concludersi avendo portato un risultato; potrà non essere quello finale che auspicavamo da subito, ma deve considerarsi un passo avanti, deve poter risultare la premessa per poi arrivare all'obiettivo finale.
Alcune delle riflessioni che ho svolto qui con voi nascono anche dalle esperienze che ho raccolto nel corso di questo mio viaggio per l'Italia. Vorrei condividere con voi anche la grande fiducia che nutro. Non sono un ottimista per natura, ma una persona la quale cerca di trovare motivi di forza e di fiducia nella prospettiva che ritenga verosimile, possibile di affrontare o risolvere un problema. La mia fiducia è venuta proprio su questa esperienza , sulla possibilità dell'Italia di saper trovare la combinazione migliore tra la capacità di innovare, di proteggere, di salvare e di mettere a buon uso i valori del nostro patrimonio naturale e della nostra tradizione. Saper realizzare insieme l'una e l'altra cosa produce e darà risultati superiori a ogni attesa.
Noi italiani abbiamo ingegno, abbiamo spirito di iniziativa, abbiamo un patrimonio di beni naturali e di valori antichi senza eguali nel mondo. Questa è realtà. Non è solamente il fatto che ognuno cerca di valorizzare quello che ha - certo lo dobbiamo fare - ma noi ci troviamo veramente in questa condizione privilegiata di natura e di storia.
Ho fiducia nell'Italia, in un'Italia - e lo dico con particolare forza nella terra sarda - orgogliosa delle sue tradizioni, salda nella sua unità, forte dei suoi giovani, ai quali dobbiamo molto, perché non bisogna accontentarsi di avere assicurato loro un avvenire di pace, che è fondamentale, ma dobbiamo anche garantire loro un avvenire di lavoro.
Questa fiducia vi voglio comunicare oggi, nella convinzione che l'odierna mia visita in Sardegna mi offrirà nuove motivazioni per confidare nel futuro della nostra gente, della nostra Patria. E concludo anche io con l'evviva che è già stato pronunciato.
Viva la Sardegna! Viva l'Italia!