VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA REGIONE UMBRIA
INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'
Perugia, 15 ottobre 2001
Onorevole Presidente della Regione Umbria,
Signor Presidente della Provincia di Perugia,
Signor Sindaco di Perugia,
Onorevoli Parlamentari,
Eccellenza, Autorità religiose, civili e militari,
Cari Sindaci della Provincia di Perugia,
Signore e Signori,
è dir poco iniziare affermando che sono molto felice di essere oggi qui tra
voi, in questa straordinaria sala. Nei momenti di difficoltà, di dolore è di
conforto trovarsi tra amici. E questo è un momento per tutti noi molto amaro.
L'ansia di pace, che è nei nostri animi, e che in terra d'Umbria si nutre
dell'ancor vivo spirito francescano, è scossa dalla consapevolezza che il mondo
intero si trova di fronte a una crisi tra le più gravi del nostro tempo.
L'attacco proditorio, disumano a New York e a Washington, questo atto di guerra
non dichiarata, è stata, e ha voluto essere, un'aggressione contro tutte le
Nazioni amanti della pace. Le organizzazioni terroristiche che si vantano di
esserne state responsabili dichiarano apertamente di perseguire un obiettivo di
guerra totale, mascherata sotto le sembianze di una guerra di religione che noi
respingiamo, con tutte le nostre forze, come priva di qualsiasi fondamento e
giustificazione.
La nostra è una lotta contro il terrorismo; e a questa lotta non possono non
dare sostegno tutti coloro che vogliono la pace.
Ma al tempo stesso dobbiamo portare avanti, intensificandole e moltiplicandole,
le iniziative per il progresso civile ed economico dei Paesi poveri: cibo,
acqua, lavoro per tutti. E dobbiamo affrontare più decisamente, affinché
prevalga lo spirito di conciliazione, i conflitti ancora aperti, a cominciare da
quello in Medio Oriente. Ce lo impone, ce lo comanda la nostra coscienza.
Ora desidero rivolgere di nuovo lo sguardo e il pensiero a questo nostro
incontro, alla terra che mi ha così affettuosamente accolto. L'aria di Perugia,
che respiro da ieri sera, suggerisce pensieri di serenità, che rendono tanto
più struggente il confronto fra questa realtà pacifica e le immagini di
distruzioni e rovine che offuscano la nostra mente da quel tragico 11 di
settembre.
Non ho certo bisogno di cantare a voi le lodi di questo luogo in cui si
esprimono, a livelli tra i più alti, l'anima italiana, il genio italiano. E'
poi da tutti riconosciuta, anche da noi toscani, la particolare dolcezza - non
la supremazia - della parlata umbra, non meno di quanto lo sia la luminosa
bellezza, famosa in tutto il mondo, dei vostri paesaggi intatti: paiono
affreschi dei grandi artisti umbri del passato. L'Umbria offre e voi sapete
offrire, un'immagine felice: un'immagine che ha influenzato il mio animo, mentre
ascoltavo, con molta attenzione, le vostre riflessioni: sullo stato del mondo, e
sullo stato della vostra regione.
Mi avete offerto un quadro concreto e realistico dell'Umbria d'oggi, dei vostri
successi come dei vostri problemi. Ma anzitutto vi ringrazio per le parole
cortesi che avete voluto usare nei miei confronti. Le accolgo con la
consapevolezza che esse non sono rivolte tanto alla mia persona, quanto a chi è
stato chiamato - e ne sente la responsabilità - a rappresentare la Nazione.
Esse manifestano un sentimento che esprime un naturale, istintivo patriottismo:
segno visibile di un più forte e diffuso orgoglio di essere italiani. Chi di
noi non ha avuto e non ha motivi ed occasioni per criticare l'uno o l'altro
aspetto della nostra vita italiana? Ma chi di noi vorrebbe esser nato in un
altro Paese? Certo non io.
Ho detto che mi avete parlato sia di successi, sia di problemi. Un buon
amministratore trae, dai primi, incitamento ad affrontare con maggior fiducia ed
impegno i secondi, che non mancano mai. Quando ad esempio demmo inizio alla
battaglia per il risanamento dei conti pubblici, i primi successi, ottenuti
grazie alla cooperazione di tutte le forze politiche, economiche e sociali, ci
incoraggiarono a compiere altri sforzi, acquistando via via maggior fiducia in
noi stessi, e con essa la fiducia dei nostri partners.
Quella era una battaglia che era necessario vincere, per creare le condizioni di
una maggiore crescita della produzione e dell'occupazione, come per rimanere con
pieno diritto nel gruppo di testa dei Paesi dell'Unione Europea, partecipi
dell'avanzamento economico e politico della comunità di nazioni che avevamo
contribuito a fondare. I due obiettivi in realtà coincidevano e furono
raggiunti insieme. Fra poche settimane, quando tutti noi Europei avremo nelle
nostre tasche e nei nostri portafogli le stesse monete, gli stessi biglietti di
banca, ci renderemo pienamente conto dell'importanza del successo allora
ottenuto.
Certo, qualche difficoltà accompagnerà, nella nostra vita quotidiana, il
cambio di moneta, dalla lira all'euro. Ci impicceranno un poco,
all'inizio, gli "spiccioli" che porteremo in tasca, monete
piccole, ma pesanti per il loro valore, che ci toccherà contare in centesimi.
E' d'uso dire che bisognerà affidarsi ai giovani, ai nostri figli o nipoti, e
alla loro maggiore agilità mentale, per farci aiutare ad acquistare
dimestichezza con le monetine che ci toccherà maneggiare. Ma vorrei invitarvi a
chiedere aiuto anche ai vostri vecchi, che non hanno dimenticato gli anni in cui
anche la lira si spendeva a centesimi; vi diranno anche quanto fu triste, quanto
fu doloroso vedere quei centesimi, addirittura la stessa unità di base, la
lira, perdere ogni valore. Non tarderemo ad avvertire i vantaggi derivanti dalla
nascita della moneta comune europea; alcuni già li viviamo. Noi Europei
possiamo confidare di riuscire a contenere le conseguenze economiche della grave
crisi mondiale grazie alle strutture comuni di governo delle nostre economie e
alle condizioni di stabilità finanziaria che abbiamo saputo costruire insieme.
Ho già più volte ricordato che il Patto di Stabilità, approvato dal Consiglio
Europeo di Dublino, come condizione necessaria per il successo dell'integrazione
monetaria, porta il nome di Patto di Stabilità e di Crescita: la prima essendo
condizione necessaria della seconda, e viceversa.
Anche la significativa crescita di cui sono state capaci la vostra provincia e
la vostra regione negli ultimi anni, ha le sue radici nelle condizioni di
stabilità della finanza pubblica che i governi succedutisi nel tempo sono
riusciti a creare e a preservare, e nell'accettazione generale, da parte delle
forze economiche e sociali, di una nuova cultura della stabilità, feconda per
tutti.
Fra tutti i segnali positivi riguardanti la vostra economia, e le vostre
condizioni di vita, è particolarmente significativo quello riguardante la
discesa del livello di disoccupazione, un livello che può definirsi oramai
fisiologico. In molti comuni umbri si registrano condizioni di piena
occupazione, tali da rendere necessario il ricorso a manodopera proveniente da
altre regioni meno fortunate, o da paesi stranieri. Quella manodopera deve poter
vivere serenamente la propria vita in mezzo a noi.
Ma è proprio in una società fondamentalmente sana qual è la vostra, che
assicura ai suoi abitanti qualità della vita, condizioni ambientali e servizi
che vi collocano ai primi posti nelle classifiche nazionali, che si vedono più
chiaramente le carenze e i problemi ancora irrisolti.
Diversi di questi sono difficoltà comuni a molte regioni d'Italia: penso
anzitutto alla necessità di potenziare le vie di comunicazione, condizione
indispensabile per lo sviluppo di nuove attività produttive e per attirare
investimenti, come per la crescita delle iniziative turistiche, destinate ad
acquistare sempre maggiore rilevanza in una regione come l'Umbria, che ha un
patrimonio storico straordinario, per la trama di città e di centri minori
ricchi di valori ambientali ed artistici giustamente famosi nel mondo.
Il potenziamento delle infrastrutture, e più in generale la creazione di solide
basi per lo sviluppo, richiede l'azione congiunta e coordinata delle autorità
di governo, a tutti i livelli. E' questa una cooperazione altrettanto necessaria
per affrontare nel modo migliore i problemi che inevitabilmente solleva il
passaggio di importanti funzioni di governo dallo Stato centrale alle autorità
locali.
I vantaggi che da questo processo si attendono, e che ne sono la ragion
d'essere, sono noti: una maggiore vicinanza e conoscenza, da parte degli organi
amministrativi, delle realtà locali e dei loro problemi; una più diretta e
diffusa partecipazione democratica e un maggiore controllo delle scelte e
dell'operato degli amministratori; un accorciamento e quindi un'accelerazione
dei percorsi decisionali dell'Amministrazione, articolata a diversi livelli.
Ma vi sono anche delle incognite, e dobbiamo esserne coscienti, per prevenirne e
scongiurarne i rischi: quali lo svilupparsi di nuovi centralismi, il
moltiplicarsi delle funzioni amministrative, o l'appesantimento delle strutture
burocratiche, nel momento stesso in cui si vuole alleggerirle.
Accade anche che la frammentazione delle autonomie locali sia talvolta
eccessiva, per il moltiplicarsi del numero di piccoli e piccolissimi comuni,
importanti ai fini della coesione sociale, come per la difesa dell'identità,
delle tradizioni e del patrimonio artistico locale; ma bisognosi di raggrupparsi
in associazioni per poter raggiungere una dimensione operativa giusta, per i
servizi che essi debbono offrire ai loro cittadini.
Imparare a governare e a far funzionare bene uno Stato decentrato non sarà un
compito semplice. Soprattutto, sia nel legiferare, sia nel tradurre in atto lo
spostamento di competenze e di risorse, dobbiamo aver sempre presente il limite
invalicabile, il vincolo inviolabile, consacrato nell'articolo 5 della
Costituzione: l'Italia è "una e indivisibile". Questa è
l'eredità che abbiamo ricevuto dai nostri Padri, questo è l'impegno sacrosanto
che abbiamo preso, questo per me è il giuramento solennemente fatto.
Non mi stanco inoltre di ripetere che il nostro nascente federalismo deve
essere, anzitutto, un federalismo solidale. Affinché funzioni bene, occorre
impegnarsi in un'opera di formazione ed anche di rieducazione, che deve
coinvolgere gli organi del governo locale, a tutti i livelli, nella sfera
politica come in quella amministrativa. Per evitare delusioni e insuccessi, è
necessario che vi sia spirito di collaborazione fra di essi, indipendentemente
dal colore politico.
Per il bene del Paese, occorre, in verità, che un tale spirito di buona
volontà e di reciproco rispetto animi le parti politiche, a partire dai livelli
più alti. In una democrazia, il buongoverno si fonda, in ogni epoca e
situazione, su un rapporto di dialogo, anche aspro ma costruttivo, tra le forze
politiche, tra maggioranze e minoranze, tra governo e opposizione. Auspico la
piena ripresa di questo dialogo, quale si era positivamente iniziato dopo le
ultime elezioni politiche. Non occorre, per giustificarlo, una grande crisi
mondiale, tale da provocare, come già accadde in passato, un ricompattarsi
dell'unità nazionale. E' la vita della Repubblica che lo richiede: esso si
fonda sul riconoscimento che tutte le parti politiche condividono una
piattaforma di valori, un patrimonio di principi, che è l'essenza dell'intera
Nazione.
Per tornare al livello locale: l'"alleanza delle autonomie",
come a me piace definirla, deve abbracciare non soltanto tutti i pubblici
poteri, ma allargarsi a comprendere anche le associazioni di rappresentanza di
categoria, imprenditoriali e sindacali, i poteri autonomi, come le università
con i loro istituti di ricerca, e le associazioni del volontariato. Un'opera
preziosa di raccordo fra i vari protagonisti di questa nuova, articolata e
complessa struttura di governo, viene già esercitata, in misura crescente,
anche se le realtà locali possono differenziarsi, dalle Prefetture, che
acquisiscono nuovi compiti e funzioni, e che a tal fine debbono a loro volta
acconciarsi alle nuove condizioni e strutture di governo locale in corso di
costruzione.
Il buongoverno, in questa parte d'Italia, è stato messo a durissima prova dal
terremoto, di cui è stato ricordato nei giorni scorsi il quarto anniversario.
Ho ascoltato con molto interesse ciò che mi avete detto in proposito. Mi
recherò più tardi a Foligno, per un incontro in cui mi propongo di fare il
punto, con i rappresentanti dei comuni più gravemente colpiti dell'Umbria e
delle Marche, sull'opera di ricostruzione: sui successi ottenuti, come sulle
difficoltà ancora da superare, e sulle iniziative da adottare per superarle il
più rapidamente possibile. Come qui è appena stato detto, "ogni giorno
che passa prima che sia stata restituita una casa a tutti coloro che l'hanno
perduta rappresenta un insopportabile ritardo". Sono d'accordo.
Una parola vorrei anche dire, qui a Perugia, una città (le cui due università
hanno insieme attorno ai quarantamila studenti, all'incirca un quarto, almeno in
alcuni periodi dell'anno, della popolazione della città) sul tema del rapporto
tra università e società. Perugia è oggi una delle città universitarie
d'Italia; questo è uno dei punti di forza della vostra vita cittadina, e della
vostra stessa capacità di sviluppo. Ma ciò richiede che vi siano legami di
collaborazione creativa fra università, città, territorio, forze produttive, e
che la struttura stessa dei programmi di studio e di ricerca, e la dislocazione
stessa degli istituti universitari, nel rispetto della piena autonomia
dell'Università, siano correlate in modo costruttivo, e con spirito innovativo,
alle esigenze della città, della provincia, della Regione. So che l'importanza
di questo rapporto è a voi ben presente, e che esso si sta intensificando.
Lo stesso processo sta investendo tutte le università italiane: lo scambio di
esperienze fra di esse, pur nella diversità delle condizioni locali e delle
tradizioni, può contribuire alla crescita e all'ammodernamento di tutto il
sistema dell'educazione superiore e della ricerca. Ne dipende in buona parte il
futuro dell'Italia nel quadro dell'economia mondiale.
Dagli incontri che ho già avuto dopo il mio arrivo a Perugia, come dai discorsi
che ho appena ascoltato, traggo la convinzione che la società umbra sta
affrontando i problemi del nostro tempo col giusto spirito creativo e con la
coscienza della ricchezza delle sue peculiarità. Come uno scrigno prezioso,
l'Umbria racchiude, in un piccolo spazio, tante piccole, grandissime città, un
patrimonio straordinario di civiltà. Questa è la vostra forza; ma non deve
diventare un motivo per limitarsi a conservare ciò che avete ereditato.
Per andare incontro al nuovo, per creare il nuovo, la forza delle tradizioni di
civiltà ben radicate in questa regione, e in tutto il nostro Paese, è certo di
grande aiuto; ma talvolta accade che il viver bene, serenamente, in città che
sono ancora, come oggi si usa dire, a misura d'uomo, godendo ogni giorno della
bellezza intatta di paesaggi che tutti ci invidiano, possa anche frenare la
spinta a una più ardita capacità d'innovazione, a una più audace
progettualità. In questo può anche esserci una certa saggezza: innovare non
deve mai portare a distruggere. Ma la preoccupazione di conservare non deve
condurre all'immobilismo. Tra queste opposte esigenze penso e so che avete
dimostrato di saper trovare un buon punto d'equilibrio.
Vi auguro di proseguire con successo lungo il cammino che avete intrapreso. A
tutti voi buon lavoro e grazie per la vostra affettuosa accoglienza, per il
sostegno che sento nei vostri cuori. Lo vedo dai vostri occhi. Grazie.