VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA REGIONE PIEMONTE
INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'
Novara - Prefettura, 21 novembre 2001
Caro Presidente Scalfaro;
Signor Presidente della Regione Piemonte,
Signor Presidente della Provincia di Novara,
Signor Sindaco di Novara,
Signori Sindaci della Provincia,
Onorevoli Parlamentari,
Eccellenza,
Autorità civili e militari,
Signore e Signori,
grazie, innanzi tutto, per le vostre cortesi espressioni nei miei riguardi.
Il Presidente Scalfaro, che di incontri come questo ha avuto più lunga
esperienza, sa che esse sono rivolte soprattutto al rappresentante della suprema
istituzione della Repubblica, simbolo, e custode, dell'unità della nostra
Patria.
Desidero sottolineare che ancora una volta, come già è accaduto in passato,
nel momento in cui l'Italia si è trovata a dover affrontare, insieme con i suoi
alleati, la dura sfida di uno spietato movimento terroristico, minaccia per
tutto il mondo civile, la nostra classe politica ha saputo dimostrarsi unita,
con la voce larghissimamente maggioritaria del Parlamento. Prevale la
convinzione che la pace e la sicurezza, come bene supremo di tutti i popoli,
vanno difese anche con la forza.
L'unità del Paese di fronte a una crisi grave è fatto di grande rilevanza.
Ma, al di là del presente, è la vita della Repubblica che richiede lo sviluppo
costante di un dialogo fra le parti, di un confronto anche serrato sui
contenuti, ma fondato sul riconoscimento che tutte condividono una piattaforma
di valori, un patrimonio di principi, in cui si riconosce l'intera Nazione.
Ciò è particolarmente vero nel momento in cui si deve affrontare il compito,
alto e difficile, di adeguare le nostre leggi, e le nostre abitudini di lavoro,
a una importante riforma costituzionale, come quella, da poco approvata, del "Titolo
V" della Costituzione, che investe il rapporto fra il Governo, le
Regioni e le Autonomie locali.
A questi problemi si è fatto riferimento nei discorsi che abbiamo testé
ascoltato, e su di essi mi riprometto di fare qualche considerazione. Ma vorrei
anzitutto esprimervi un mio stato d'animo, nell'ultima giornata di questa mia
nuova visita in Piemonte.
In questa Regione, forse più che in ogni altra, riaffiorano vivide nella mente
le memorie di alcuni degli eventi fondanti dell'unità d'Italia, e con esse i
sentimenti di riconoscenza e di ammirazione per quei grandi uomini che fecero
l'Italia.
Il senso della nostra identità nazionale è tanto più importante in un'epoca
in cui stiamo costruendo, insieme con le nazioni vicine, una nuova Europa unita,
che protegge ed esalta, e non cancella, l'eredità di cultura, lingua, civiltà,
di ciascuna di esse.
Così come la coscienza e l'orgoglio della nostra italianità non cancellano
affatto la forza dei sentimenti di appartenenza alle grandi tradizioni locali
che ciascuno di noi ha ereditato. L'ho detto più volte: ho l'orgoglio di essere
livornese e toscano; mi sento soprattutto Italiano, cittadino europeo. E non
vedo contraddizione di sorta fra questi sentimenti.
Ed eccomi a Novara, capoluogo della Provincia il cui territorio si estende dalle
fertili plaghe della pianura, alla zona lacustre splendida di paesaggi, alle
colline coperte da vigneti famosi. All'orizzonte, la barriera alpina. Superarla
fu nei millenni un'impresa ardua.
In un'Europa dove il fiume dei traffici di uomini e merci si gonfia
incessantemente, aprire nuovi veloci, affidabili percorsi di transito fra il
Nord e il Sud delle Alpi fu, ed è ancora, una sfida al genio tecnologico.
Ancora oggi, come ben sappiamo, alcune delle più ardite soluzioni, come gli
straordinari trafori, ferroviari o autostradali, che uniscono l'Italia e i
nostri porti mediterranei all'Europa centro-settentrionale, richiedono continui
adeguamenti e stimolano ad ancor più grandiose imprese, per renderli più
agevoli e sicuri.
Proprio questi progressi delle vie di comunicazione, tra Nord e Sud come fra Est
e Ovest, hanno profondamente cambiato e sono destinati a mutare la sorte di
province come questa.
Un tempo era un angolo estremo d'Italia. Oggi è divenuta punto nodale
d'incrocio fra rotte di traffico che proprio qui si intersecano e che,
combinandosi con il vicino aeroporto internazionale della Malpensa, conferiscono
alla vostra città il carattere e la funzione di una sorta di porto d'Europa.
Ciò che ho appreso su di voi, preparandomi a questo incontro, e ciò che ho
appena ascoltato in questa sala, mi lascia intendere che voi siete al tempo
stesso stimolati, e in qualche misura sconcertati, da questa vostra nuova
condizione, sarei per dire geopolitica.
Questa è terra da tempo ricca di nobili produzioni agricole, rese possibili da
opere pubbliche grandiose compiute dai nostri avi, come di importanti e
diversificate imprese industriali; ed è sede di centri di ricerca famosi, come
il Donegani: parteciperò più tardi alle celebrazioni del centenario
dell'Istituto Geografico De Agostini.
Grazie a tanto fervore di lavoro, ed anche a dispetto di esso, Novara e la sua
provincia sono indicate fra le zone d'Italia dove più alta è la qualità della
vita, e non soltanto il tenore di vita; dove sono più bassi i disagi sociali e
personali, dove è più elevato il livello qualitativo dei servizi e delle
amministrazioni locali.
Mi accade di fare, a Novara come poche settimane fa a Perugia, altro luogo
esemplare della civiltà italiana, una riflessione: là dove si vive meglio,
più serenamente, nel solco di abitudini radicate ed antiche, maggiore è la
remora a cambiare.
Ma i tempi moderni propongono la convenienza, o addirittura l'esigenza di
continue innovazioni. Innovare non è sempre facile.
Ciò che ho appena detto può dirsi di molte altre province d'Italia. Ma vi è
una certa unicità nella vostra condizione. Laddove altri spesso lamentano il
freno allo sviluppo economico e civile che deriva loro dall'inadeguatezza delle
vie di comunicazione, qui è proprio lo sviluppo straordinario, ancorché
incompleto, delle vie di transito, stradale, ferroviario o aereo, che vi propone
una grande sfida, e vi offre una ineguagliata occasione di progresso. E voi
dovete coglierla; altrimenti è possibile che altri, ancorché meno ben
collocati sulla carta geografica, la colgano al posto vostro.
Novara, il Novarese, hanno un destino particolare. Voi siete piemontesi per
cultura e tradizione politica; siete quasi lombardi quale provincia di confine,
così prossima alla influente presenza di Milano. Questa condizione va
correttamente intesa come un dono, come una sfida; non come un fastidio, proprio
per gli stimoli che propone.
Qui è stato detto dal Presidente Pagani - con il quale ho avuto una
consuetudine di lavoro che anch'io, caro Pagani, ricordo con piacere - che il
problema del Novarese non è tanto lo sviluppo, quanto il controllo dello
sviluppo. "Sviluppo" è termine ricco di significati, così
come è complesso il fenomeno che esso simboleggia. Lo sviluppo, ossia il
progresso economico, sociale, civile, è il risultato di una confluenza di
iniziative e di energie, private e pubbliche.
A rendere fertile il terreno su cui crescono le capacità d'intrapresa dei
privati concorrono molti fattori; fra questi non mi stanco mai di sottolineare
l'importanza degli istituti di formazione e di ricerca: dalle scuole
professionali fino alle università. E la nascita dell'Università del Piemonte
Orientale sta già dimostrando tutto il suo valore per il futuro delle tre
province nei cui territori essa si è articolata.
Non meno importante è il "buongoverno" locale, a sua volta
collegato alla capacità delle varie istituzioni - comuni, province, regioni e
città metropolitane - di collaborare tra loro, e con gli organi rappresentativi
delle autonomie funzionali e di categoria.
La riforma costituzionale cui ho accennato all'inizio propone obiettivi
ambiziosi e problemi complessi. Non stupisce che la Conferenza delle Regioni
abbia proposto l'istituzione di una "cabina di regia"
dell'intero processo di attuazione della Riforma.
Essa richiede l'adozione di apposite norme al fine di regolare le aree dove
dovranno convivere le competenze legislative concorrenti dello Stato e delle
Regioni. Per altri settori si pone il problema della immediata vigenza della
Riforma stessa, dei modi in cui essa può fin d'ora cominciare a realizzarsi,
come degli strumenti operativi necessari a tal fine. E non dimentichiamo il
complesso compito di far corrispondere alle funzioni la disponibilità dei mezzi
finanziari necessari per eseguirle, e di impostare metodi di gestione che
permettano di fare, di quelle risorse, l'uso economicamente più valido.
E' ovvio che dentro quella cabina di regia, per ragionare assieme, dovranno
sedere, accanto al Governo centrale, i rappresentanti di tutti i livelli di
governo locale: dai comuni, che hanno nel nostro Paese, e nella ricca storia
delle sue cento città, la più antica legittimazione ed esperienza di governo,
alle Province e alle Regioni.
Il nostro nascente "federalismo solidale" si propone di dare, e
potrà dare, ricchi frutti, a cominciare da un più diretto rapporto operativo
fra i problemi, e le istituzioni e amministrazioni che quei problemi debbono
affrontare e risolvere; consentendo anche un più immediato controllo dei
cittadini sulle decisioni delle autorità di governo.
Ma anche le difficoltà e i rischi non vanno minimizzati: rischi di confusione
nella definizione e attribuzione dei poteri alle autorità di governo, del
centro o della periferia; rischi di un duplicarsi delle competenze, degli
interventi, delle burocrazie.
E ancora, a livello operativo, gli stessi uffici esecutivi locali debbono
acquisire nuove capacità, all'altezza delle funzioni aggiuntive. Conciliare la
costruzione della modificata struttura istituzionale con il buongoverno, o come
qui è stato detto, la "sussidiarietà" con la "governance",
è una grande sfida a tutta la classe dirigente italiana, a tutte le forze
politiche.
Questa battaglia ha importanza cruciale per la crescita della nostra democrazia,
per una maggiore fiducia fra cittadini e pubbliche amministrazioni. Ho
l'impressione che i mass media, e lo stesso dibattito politico di cui essi sono
lo specchio, stiano appena incominciando a rendersi conto del fatto che questo
sarà tema centrale della nostra storia nazionale in questo periodo, accanto
all'altra grande sfida, che tanto mi sta a cuore, che è la crescita dell'Unione
Europea.
Come accade in democrazia, la opportunità, ed anzi la necessità della riforma
istituzionale, è stata proposta in modi diversi, a prima vista anche
conflittuali, dalle diverse parti politiche, partiti e movimenti. Ma la
Democrazia, come la Ragione, ha le sue astuzie. Consente che emergano tutti gli
impulsi presenti e magari nascosti nella società. Dando ad essi piena libertà
di esprimersi e confrontarsi, le istituzioni democratiche si mettono in
condizione di elaborarli, di dare loro una forma compiuta ed accettabile, di
distinguere il grano dal loglio.
Imboccando la via della riforma delle istituzioni, noi ci siamo dati obiettivi
molto ambiziosi. Sappiamo di affrontare una battaglia difficile. Essa sarà
vinta soltanto se sapremo mettere da parte improduttivi e spesso dannosi eccessi
polemici, che prevalgono talvolta nel rapporto tra le diverse parti politiche,
così come nelle relazioni fra i vari livelli di potere locale.
Nella democrazia, le istituzioni crescono, si affermano unicamente se vivono la
propria vita nell'autonomia, quale è definita, per ciascuna di esse, dalla
Costituzione, dalle leggi, dagli statuti.
Talvolta sembra si dimentichino i principi guida del nostro vivere insieme in
questa Repubblica, maturata dalla Storia, voluta dal popolo. Ricordiamo quelli
fondamentali.
Cardine delle moderne democrazie è il principio della divisione dei poteri,
accolto e formulato, in modo esemplare, nella nostra Costituzione repubblicana;
è quindi, dovere di tutti rispettare il limite delle proprie competenze.
Titolare della funzione legislativa è il Parlamento; spetta ai Parlamentari, al
Governo e al Popolo l'iniziativa delle leggi; compete al Parlamento la facoltà
di discuterle e di approvarle.
Spetta, in via esclusiva, al supremo organo di garanzia, e cioè alla Corte
Costituzionale, il giudizio sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi, nonché la decisione dei conflitti di attribuzione
tra i poteri dello Stato.
Appartiene unicamente alla Magistratura la funzione giurisdizionale, che si
esercita interpretando e applicando la legge. L'autonomia e l'indipendenza della
Magistratura costituiscono valori intangibili, consacrati come tali nella nostra
Carta Costituzionale, che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge. Le
sentenze si pronunciano nelle sedi giudiziarie e si riformano, quando ne
ricorrano i presupposti, nel giudizio di appello e in quello spettante alla
Cassazione. Per ogni altro tipo di controversia il nostro ordinamento offre, con
larghezza di rimedi, appropriate sedi istituzionali di intervento.
La giustizia è il valore fondante di ogni società. E' dovere di tutti adoperarsi perché prevalga sempre lo
spirito di collaborazione istituzionale, così da superare le difficoltà e
risolvere i problemi.
Questi sono i grandi principi che i Padri della Repubblica, animati da una sete
di democrazia che i due decenni di dittatura avevano vieppiù rafforzato, ci
hanno lasciato in eredità; avendo essi stessi ricevuto, dalle generazioni di
statisti che fecero, col Risorgimento, l'Italia unita, una eguale fondamentale
eredità, ancor oggi ben presente nel nostro spirito.
In queste giornate piemontesi tutto ciò si è ripresentato con forza al mio
animo. E alcune considerazioni me le hanno suggerite alcune significative
circostanze locali: come l'apprendere che proprio a Novara eccelle, tra i
pubblici servizi, l'amministrazione della giustizia, che fa sì che il numero
delle cause pendenti in rapporto alla popolazione sia tra i più bassi d'Italia.
Me ne compiaccio. Questo è un esempio per tutti.
E' tempo di concludere: voglio lasciarvi con un messaggio di fiducia. In questi
due anni e mezzo ho visitato tante nostre città, e ormai quasi tutte le nostre
Regioni. La conclusione che ne traggo concorda pienamente con un giudizio che ho
ascoltato, proprio qui a Novara, da persona di grande esperienza e autorevolezza
morale: l'Italia, vista dal basso, presenta realtà positive straordinarie.
Nelle nostre cento città trova espressione viva una cultura di governo antica,
una coesione di fondo che è più forte delle pur naturali divergenze di parte.
Non siamo bravi soltanto a litigare; lo abbiamo dimostrato in tutti i momenti
difficili. Certo, dobbiamo far crescere la nostra cultura di governo, la nostra
religione della cosa pubblica, insieme con il nostro amore per l'Italia. Sono
avanzamenti che conseguono naturalmente, quando si opera con chiarezza di
obiettivi, con determinazione e impegno, con onestà di intenti.
Vi auguro pieno successo nella realizzazione dei progetti innovativi di cui mi
avete parlato; cambieranno sicuramente ancora in meglio la vostra vita. E vi
ringrazio ancora per la vostra accoglienza.