VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CITTA' DI VITERBO
INCONTRO ISTITUZIONALE
Viterbo, 25 febbraio 2002
Signor Presidente della Giunta Regionale del Lazio,
Signor Presidente dell'Amministrazione Provinciale,
Signor Sindaco di Viterbo,
Signori Parlamentari,
Eccellenza,
Signori Sindaci della provincia,
anzitutto grazie per l'accoglienza, per le calorose parole di benvenuto che
ho ascoltato.
Nel corso dei miei viaggi nella provincia italiana trovo sempre forte - e l'ho
ritrovata anche qui a Viterbo, oggi come già in passati incontri -
l'espressione di orgoglio per l'appartenenza a una nazione così ricca di
diversità, e al tempo stesso così convinta, nel sentimento popolare, della sua
identità e della sua unità. A questi sentimenti è dovere della Presidenza
della Repubblica di dare riconoscimento.
Questo è il senso del nostro patriottismo. Questa la ragione della nostra
attenta ricerca di forme di espressione di un amor di Patria che forse siamo
stati troppo a lungo restii a manifestare, ma che era pur vivo nei nostri animi,
e che si riafferma con forza ogniqualvolta se ne offra l'occasione.
L'intensità della partecipazione popolare a questi sentimenti di italianità
è di conforto per i governanti, quale che sia il livello della loro
responsabilità: a partire dalla funzione di sindaco, la più vicina alla
volontà popolare, e per certi aspetti quindi anche la più difficile.
Perché un sindaco, e lo sapete bene voi che siete qui oggi presenti, con le
vostre belle fasce tricolori, deve rispondere ogni giorno del suo operato a
cittadini che sanno tutto delle loro esigenze e che possono giudicare
quotidianamente, con conoscenza di causa, l'operato dell'amministrazione
comunale, parole e fatti. Compito davvero difficile, il vostro, ma forse anche
il più bello di tutti, quello che può riservare le maggiori soddisfazioni,
perché consente alla fine della vostra giornata di vedere concretamente i
frutti del vostro lavoro, di constatarne la rispondenza alle attese di coloro
che vi hanno eletto.
Per chi esercita responsabilità pubbliche a più alto livello, è certamente,
più che utile, necessario avere contatti frequenti e intensi con le realtà
locali. Se ne traggono motivi di fiducia nel nostro popolo, nella sua capacità
di scoprire le molte diverse vie che si possono percorrere per la crescita
civile, sociale, economica, di tutta la nazione.
Sono trascorse meno di due settimane dalle visite che ho compiuto a Grosseto e a
Livorno, dando il via, con questo percorso tirrenico, a quello che definisco il
mio secondo "giro d'Italia". Sono, queste, terre che conosco da
tanto tempo, come vuole la mia origine. Le ho visitate e rivisitate, col
trascorrere degli anni e dei decenni.
Ad ogni nuovo incontro, sullo sfondo delle immagini della realtà d'oggi
riaffiorano le immagini del tempo che fu: della Livorno della mia infanzia e
giovinezza, della Maremma e della Tuscia degli anni in cui erano ancora terre
ricche di intatti paesaggi e di gloriose memorie architettoniche, ma come
rinchiuse in una sorta di solitudine, sotto molti aspetti tutt'altro che
splendida.
Respirando di nuovo l'aria di Viterbo, ammirando la grandiosità dei suoi
palazzi, immergendosi nell'intensa atmosfera di questa città, capoluogo di una
provincia ricca di straordinarie testimonianze della nostra storia millenaria,
confrontando le immagini d'oggi con quelle del tempo passato, ancora vive nella
memoria, sono colto dalla sensazione di vedere scorrere, come in un filmato, la
testimonianza dei progressi civili compiuti dalla nostra società, nel corso di
questo primo mezzo secolo di storia di Italia repubblicana. Penso sia utile ogni
tanto volgersi indietro, per prendere coscienza del cammino compiuto, e trarne
conforto e incitamento ad andare avanti sulla strada intrapresa.
Ognuna delle nostre città, ognuna delle nostre province, deve scoprire e
seguire la sua vocazione, o come oggi si usa dire, il suo "modello di
sviluppo". Pochi giorni fa a Grosseto mi hanno spiegato tutto sul "modello
maremmano", e ho preso atto con molto piacere dell'avanzamento di un
territorio che, negli anni della mia giovinezza, era noto piuttosto come la "Maremma
amara". Nel prepararmi a questo incontro di oggi, non mi ha stupito
leggere un attento, documentato resoconto dei progressi compiuti dal "modello
made in Tuscia", come lo definiscono gli autori di questa ricerca, che
lo giudicano "ormai avviato", ormai in cammino, anche se, a
loro avviso, esso presenta ancora "fattori di criticità".
Alto Lazio e Bassa Toscana hanno molto in comune: oggi sono soprattutto
egualmente consapevoli dell'importanza di avere conservato intatto un ambiente
naturale che poteva sembrare, in un passato anche recente, un segno di
arretratezza, e che si rivela oggi come un valore prezioso, una grande risorsa
economica, un vero e proprio fattore di sviluppo.
A questo sviluppo contribuiscono sia talune importanti tradizioni industriali
(nel caso vostro il distretto della ceramica); sia il potenziamento del settore
agricolo, la "filiera agro-alimentare" (come oggi si usa dire),
che a Viterbo ha trovato un'importante controparte in una Università giovane ma
già prestigiosa; sia il settore turistico-alberghiero. E' su questa pluralità
di settori produttivi che può reggersi il "modello di sviluppo
sostenibile della Tuscia", che, come altre regioni italiane, può
giovarsi di non essere stata coinvolta in un più tradizionale modello di
sviluppo fondato su una massiccia industrializzazione.
Di tutto questo hanno già parlato i responsabili del governo comunale,
provinciale e regionale, scendendo in più concrete analisi di dettaglio. Hanno
messo in luce, come era giusto, anche i "fattori di criticità",
i "colli di bottiglia" infrastrutturali che ostacolano la
vostra crescita, come le strade o superstrade incompiute, le ferrovie antiquate;
ma anche i progetti già avviati per sciogliere questi nodi, e per dare il via a
nuove iniziative, come l'aeroporto civile della Tuscia, che può in un futuro
non lontano acquistare un'importanza rilevante sia per il complesso portuale di
Civitavecchia, sia per la stessa area metropolitana romana.
I problemi da risolvere voi li avete già identificati, e siete impegnati ad
avviarne le giuste soluzioni. Ho preso ben nota di ciò che mi avete detto, e
sarò lieto se vorrete tenermi aggiornato sulla realizzazione dei vostri
progetti. Oggi mi limito ad invitare gli amministratori locali, a tutti i
livelli, a fare periodici controlli del grado di avanzamento verso la
realizzazione di tali progetti. Vi invito anche a dar prova di un grande spirito
di collaborazione. Bisogna abituarsi a "fare sistema", nella
convinzione che ciò giova all'interesse di tutti.
Governare la nuova Italia, avviata sul cammino del decentramento delle funzioni
di governo, con una riforma di ispirazione federalista, in base ai principi di
sussidiarietà e solidarietà, è una vera e propria sfida. Governare un grande
Paese come il nostro, così ricco di realtà locali diverse, facendo lavorare
insieme almeno cinque diversi livelli di responsabilità e di potere - comunale,
provinciale, regionale, nazionale ed europeo - è difficile come far suonare
armoniosamente insieme tutti gli strumenti di una grande orchestra sinfonica.
Questa è una generazione che si è proposta obiettivi giusti ma molto
ambiziosi: ora deve dar prova di essere all'altezza dei compiti che si è data.
Qui si dimostreranno le nostre capacità e il nostro impegno civile.
Dobbiamo anche essere capaci di inventarci - per prendere a prestito
un'espressione dal gergo politico europeo - strutture di governo locale "a
geometria variabile", che ben si adattino alle esigenze del territorio,
tenendo conto dei suoi legami con i territori confinanti; coinvolgendo, per di
più, nella realizzazione dei progetti di sviluppo già avviati, o che si
vogliono avviare, tutti gli organismi di rappresentanza della società civile,
responsabilizzandoli e facendosene degli alleati: è quella che io chiamo la "alleanza
delle autonomie".
Nel corso di questo mio viaggio in Italia ho constatato come ogni provincia si
trovi a dover affrontare problemi diversi dalle altre. Essi discendono, oltre
che dalla sua storia, dalla sua collocazione geografica, e dal carattere dei
suoi abitanti.
Parliamo di Viterbo. Tra Viterbo e Roma la distanza è piccola: ma alla prova
dei fatti si avverte maggiore di quanto si pensi. Avete Roma all'orizzonte, ma
è un orizzonte non troppo vicino. La "perifericità"
geografica, nel quadro regionale, di questa provincia, dell'Alto Lazio, la
peculiarità di una terra a cavallo fra Nord e Sud, non inclusa a suo tempo, a
differenza delle province del Lazio meridionale, nell'area della Cassa del
Mezzogiorno, ha avuto ed ha ancora oggi i suoi costi.
Ma, come ho già accennato, in questa condizione possono esserci stati anche dei
vantaggi, che col tempo sono divenuti più evidenti. Il non essere stati troppo
vicini a Roma vi ha evitato di venire investiti massicciamente dall'espansione
naturale della grande metropoli, e di vedervi trasformati in un'anonima
periferia romana. Anche per questo godete di un ambiente largamente
incontaminato. Mi pare che di tutto ciò voi siate oggi pienamente consapevoli,
e che su questa consapevolezza si fondi il "progetto di sviluppo della
Tuscia".
Per noi Romani (come credo oramai di poter dire, Presidente Storace, dopo tanti
decenni di residenza nella capitale), per noi Romani Viterbo rimane comunque una
meta prediletta, né troppo lontana né troppo vicina, per visite che
rinfrescano lo spirito. La strada da Roma a Viterbo l'ho già percorsa una volta
da Capo dello Stato, per partecipare alla celebrazione del ventennale della
fondazione dell'Università della Tuscia: fu un'occasione particolarmente
felice, anche perché già allora colsi, nei discorsi che ascoltai, pubblici e
privati, la sensazione confortante, di cui oggi ho ritrovata conferma, di una
società che si sente ormai sicura di avere scoperto in quale direzione vuole
volgere i suoi passi, e dei mezzi di cui può e deve dotarsi per avanzare sul
giusto cammino.
Viterbo offre anche una nuova prova dell'importanza degli istituti
universitari come sorgente necessaria di vitalità per una città, per una
provincia: purché si stabilisca, come so che si è qui stabilito, un rapporto
operativo felice, costruttivo, tra l'intera area e l'università. Occorre che vi
sia un giusto spirito di collaborazione tra le forze economiche, gli organi
amministrativi, e un grande centro di studi, di insegnamento e di ricerca,
perché questo fiorisca e dia i suoi frutti: essendo giustamente geloso delle
sue prerogative e della sua indipendenza, ma consapevole anche della necessità
di trarre dalla terra dove si è radicato i motivi più diretti, gli stimoli e
le finalità del suo impegno culturale e civile.
A questo, e soltanto a questo, ossia al senso del dovere e del servizio verso i
cittadini, può e deve ispirarsi chiunque occupi pubblici uffici, posti di
pubblica responsabilità. Questa è la sola giustificazione del potere, più o
meno grande, che a ciascuno di noi è dato di esercitare. Concludo augurando a
tutti voi buon lavoro. E grazie ancora per la calda accoglienza a mia moglie e a
me.