VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CITTA'
INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'
Padova - Palazzo della Ragione, 19 marzo 2002
Signor Presidente della Giunta Regionale del Veneto,
Signor Presidente dell'Amministrazione Provinciale,
Signor Sindaco di Padova,
Signori Parlamentari,
Eccellenza,
Signori Sindaci della Provincia di Padova,
sono tra voi da ieri, e l'inizio del mio incontro con voi, con la riscoperta,
se così posso dire, della Cappella degli Scrovegni mirabilmente
restaurata, e con il Concerto diretto da Lorin Maazel nella Chiesa degli
Eremitani, renderà questa visita indimenticabile.
Questa introduzione a Padova, nei secoli uno dei cuori pulsanti dell'arte e
della civiltà italiana, è stata al di là di ogni aspettativa. Anche se ogni
tappa dell'ormai lungo viaggio in Italia, intrapreso da quando sono stato eletto
alla Presidenza della Repubblica, mi riserva gioie ed emozioni. Non credo esista
altro Paese che offra tante diverse meraviglie.
Ad ogni tappa di questo viaggio si accresce il mio amore per l'Italia, il mio
orgoglio di essere italiano.
Con questo animo inizio il mio incontro con voi. Grazie Padova.
Grazie, ovviamente, per l'accoglienza così calorosa che ho ricevuto da ieri in
città, e oggi in questo straordinario Palazzo della Ragione (non c'è migliore
definizione, per il Palazzo in cui si rendeva giustizia), in questo Salone, che
penso non abbia l'eguale. Ma grazie, soprattutto, per quello che siete.
Perché la grandezza dell'Italia, e il prestigio della nostra Patria in Europa e
nel mondo, sono la somma della grandezza e gloria di tante città. Ognuna è
diversa dalle altre. Ma tutte sono inconfondibilmente italiane: per le comuni
radici nella civiltà di Roma, per il fitto interscambio di esperienze fra
città e tradizioni regionali diverse, per una secolare trama di civiltà che le
unisce. Il legame tra Toscana e Veneto, tra Giotto fiorentino o Galileo pisano e
Padova, ne è uno degli esempi più insigni, ma solo uno fra tanti.
Si sente, ovunque in Italia, il battito della storia, di una storia che nel caso
vostro, con le trimillenarie, mitiche origini troiane (che certo non metto in
discussione), ha remotissime origini.
Quello che più colpisce, in una città come Padova, è che il peso di tanta
storia, il peso della grandezza e fama mondiale, nei secoli, della vostra
Università, risulti tutto l'opposto di un peso; si riveli invece come la
sorgente di una sempre rinnovata vitalità.
Colpisce che Padova, famosa per lo Studio, per gli Scrovegni, per la Basilica
del Santo, sia oggi altrettanto famosa come la capitale del Nord Est, di una
terra che, in poco più di un trentennio, è divenuta una delle regioni di punta
del progresso economico e civile dell'Italia e dell'Europa.
Padova non è soltanto uno scrigno di capolavori; è anche una città la cui "zona
industriale", con le sue più di 1200 aziende, è oggi una delle più
importanti concentrazioni produttive d'Italia e d'Europa. Come è accaduto?
Molti se lo chiedono, in giro per il mondo, e si sforzano di scoprire il segreto
del vostro successo.
Il fatto è che, in questi ultimi decenni, le vicende di Padova e del Nord
Est possono essere considerate esemplari, per l'Italia e per l'Europa. E' una "storia
di successo", nel quadro di una più vasta "storia di
successo" che è quella dell'Italia repubblicana; e nella cornice,
ancora più larga, ma anch'essa necessaria, della "storia di
successo" dell'Europa della seconda metà del Novecento, da quando
siamo riusciti a lasciarci alle spalle gli orrori dei conflitti mondiali, e gli
odii che ne erano all'origine.
E' in questa Europa, e insieme con essa, che l'Italia è risorta dalle macerie
della guerra, ed è stata protagonista di una crescita civile, sociale ed
economica, a suo tempo giustamente definita "il miracolo italiano",
che ci ha portato a livelli di benessere e di progresso pari a quelli degli
altri maggiori Paesi europei, e che ha fatto dell'Italia uno dei Paesi
d'avanguardia di questa nuova Europa, unita e in pace.
La strada è stata talora impervia. La mia generazione, che ha vissuto questa
lunga, felice stagione della storia italiana, non dimentica i momenti di gravi
difficoltà che abbiamo incontrato, gli ostacoli che abbiamo dovuto, e saputo,
superare. Come ne supereremo altri che stiamo vivendo o che vivremo.
Il pensiero corre indietro fino all'8 settembre del '43, alle ardue scelte che
misero alla prova la coscienza e l'amor di Patria di ognuno; e poi agli anni
dell'occupazione tedesca e della lotta di Liberazione. Furono gli anni in cui lo
Studio padovano si conquistò, col sacrificio di molti dei suoi figli, la
medaglia d'oro al valor militare, sola Università d'Italia a potersene
fregiare. La figura del Rettore Concetto Marchesi, il grande filologo che seppe
riconoscere il momento di un supremo impegno civile, suscita ancora, negli
uomini della mia generazione, ammirazione e gratitudine.
Prove difficili ha dovuto affrontare anche la rinata democrazia. Nella nostra,
come nella vostra memoria, è ancora vivo il ricordo di come questa città, come
tutta l'Italia, ha vissuto e patito gli anni del terrorismo, gli anni di lotte
politiche feroci.
Ma a rievocare quei tempi, nella Padova d'oggi, sembra di parlare di una
preistoria lontana e felicemente dimenticata. Una crisi grave e pericolosa è
stata vinta, e si è iniziato un periodo di sviluppo che ha visto Padova
trasformarsi, nel giro di una generazione, da centro di una regione agricola
dall'economia stagnante, in una delle locomotive del nostro progresso. Crescita
politica e civile, e crescita economica, sono state l'una condizione necessaria
dell'altra.
Come è accaduto? Le radici prime di questa trasformazione stanno nella forte coscienza democratica della nuova Italia, più forte di ogni sfida; e stanno, in questa città, nelle sue tradizioni umanistiche e cristiane; nella sua antica e sempre viva università, capace di far fronte alla sfida della modernizzazione; nell'operosità dei Padovani e della gente veneta, nella vostra concretezza. Qualcuno mi ha detto, ed è una frase che mi ha colpito: Padova è come Perlasca, fa le cose, ma non le dice.
Voi le cose le avete fatte, in un quadro politico locale in cui, dopo una fase di rivolgimenti profondi, si è affermata una grande civiltà di rapporti fra le forze politiche, in un nuovo spirito di conciliazione, che ha permesso alla vostra società di dare prova di tutta la sua capacità di progresso. Questa realtà padovana mi suggerisce alcune considerazioni più generali.
In democrazia, la politica deve avere un'anima. Deve anzitutto ispirarsi a
una genuina etica delle istituzioni e a un forte senso della Legge. E' questo il
patrimonio vero di un popolo, presidio delle sue libertà e del suo vivere
democratico.
La politica deve avere una visione del bene comune; deve esprimere dei valori.
Senza di essi non si possono fare progetti, né realizzarli; non si può dare
fiducia ai cittadini, o motivarli a impegnarsi nel pubblico e nel privato. Il
servizio ai cittadini è la sola giustificazione del potere.
La buona politica deve fondarsi su un processo democratico la cui premessa è il
riconoscimento reciproco tra le forze politiche, consapevoli che la loro
legittimazione è il voto popolare.
Questa sana dialettica democratica deve essere rafforzata da un quadro di
garanzie, non ancora adeguatamente definito nel nostro ordinamento, per
assicurare che il sistema maggioritario, succeduto al metodo proporzionale,
consenta pienamente l'esercizio dei diritti sia della maggioranza sia
dell'opposizione, evitando entrambe le parti dannosi oltranzismi preconcetti.
La maggioranza ha il diritto di usare il potere che l'elettorato le ha dato per
dimostrare di saper governare per il bene di tutti. Toccherà poi di nuovo agli
elettori di giudicare.
L'opposizione ha il diritto egualmente legittimo di esercitare il suo
insostituibile compito di controllo, di critica e di proposta, in un quadro
parlamentare reso vitale dall'esercizio della libertà d'opinione e da un sano
pluralismo dell'informazione, giornalistica e radio-televisiva.
Non meno essenziali al sistema democratico sono le garanzie offerte da una
magistratura indipendente.
Tutto ciò è vero per l'ambito del potere locale, nelle sue diverse
strutture istituzionali. Lo è, in ancora maggior misura, per il corretto
esercizio della vita politica a livello nazionale, in questa Italia, Paese
libero e sovrano, in un'Europa libera e sovrana.
Solo in un quadro di libertà democratiche, di libero confronto, aperto al
dialogo e a spazi di collaborazione, può crescere una società sana. Il nostro
fine è di rafforzare questo quadro.
Senza queste premesse non ci sarebbero stati né un miracolo italiano, né un
miracolo padovano; e questi miracoli, che miracoli non sono, ma frutti della
libertà e dell'ingegno italiano, non si rinnoverebbero continuamente.
Teniamoci ben saldi nell'anima questi principi e valori, operando con tenacia,
affinché questa nostra idea dell'Italia trovi nella nostra opera quotidiana
concrete realizzazioni. Essi sono la stella polare che deve guidare il nostro
cammino.
Così come l'idea dell'Europa è una delle nostre stelle polari. Ciò ci
appare evidente, se appena riflettiamo sul "miracolo del Nord Est",
sul suo passato come sul suo futuro. Voi avete saputo costruire un originale
reticolo produttivo, che più volte, ad ogni momento di ricambio generazionale,
o ad ogni fase di bassa congiuntura internazionale, è stato giudicato in
pericolo.
Esso si è invece dimostrato solido, capace di superare ogni svolta critica
dell'economia europea o mondiale; ha approfittato delle grandi opportunità
offerte dal mercato europeo, e ora dalla moneta europea; ha mantenuto intatti e
fecondi i propri "spiriti vitali" e la propria capacità di
espansione in questa grande Europa senza frontiere.
Ora si dice che la vostra regione è "satura" dal punto di
vista dell'economia e del territorio e che essa è giunta al limite massimo
della propria crescita. Ma ciò non è vero, non è mai vero in assoluto.
Esistono, certo, fenomeni di "saturazione", esistono limiti
potenziali per ogni specifico modello produttivo. Ma essi si superano "inventando"
un diverso e più avanzato modello, grazie a nuove combinazioni della qualità e
della quantità dei fattori della produzione.
E' quanto qui sta avvenendo. Innanzitutto, ci si sforza di applicare e far meglio fruttare gli avanzamenti della tecnologia, che sta a voi produttori promuovere, in spirito di collaborazione con il mondo della ricerca e della formazione. Al tempo stesso si accresce la disponibilità di forze di lavoro, attraverso il duplice fenomeno dell'immigrazione e della delocalizzazione.
Qui, come altrove, ci si interroga sui pro e i contro di un flusso
immigratorio, che ha capovolto quello ormai lontano dell'emigrazione figlia
della povertà. Questo flusso pone certamente dei problemi, ma appare
indispensabile, anche per riempire i vuoti della forza lavoro lasciati da una
società dove si vive, felicemente, più a lungo, ma che fa pochi figli.
A questo proposito, mi auguro che le recenti notizie dell'ISTAT di una
inversione di tendenza, di un ritorno alla crescita demografica, trovino
conferma in avvenire. Una società senza culle è una società che non ha
fiducia nel futuro.
Torno al tema dell'immigrazione. Gli studi approfonditi della Fondazione Nord
Est e di altri centri di ricerca indicano che il Veneto ha dimostrato di essere
una società capace, forse più di ogni altra, di assorbire gli immigrati,
rispettandone l'identità e la cultura. Questa è una delle regioni che li sa
meglio "regolarizzare", che li sa meglio integrare nelle
proprie strutture e nella propria etica del lavoro. Qui, chi lavora merita ed
ottiene rispetto e giustizia, quale che sia il colore della sua pelle, o la sua
religione. Certo, c'è un problema di enormi dimensioni che investe l'intera
Europa nei suoi rapporti con i Paesi al di là del Mediterraneo. Questo problema
va affrontato, da un lato accettando una immigrazione governata, anche
attraverso discipline concordate tra i paesi dell'Unione Europea e i principali
Paesi d'emigrazione; dall'altro lato, portando in quei Paesi iniziative
imprenditoriali e capitali per creare là lavoro e con questo mercati futuri.
Nelle emergenze, lo spirito umanitario non può non prevalere su ogni altra
considerazione.
Una seconda risposta, che è una concreta realizzazione di quanto ho or ora prospettato, la offre la cosiddetta delocalizzazione: l'espansione produttiva, che attualmente avviene a ritmi straordinariamente elevati verso l'Est, verso quell'Europa ritrovata che una volta era irraggiungibile, "di là dal Muro", oltrecortina. In questi territori di una nuova e in realtà antica Europa, in quei Paesi nostri vicini che si preparano a entrare anch'essi nell'Unione Europea, la vostra capacità di produrre ha trovato nuovi vasti spazi, che vi sono necessari per continuare a crescere, a dare sfogo al vostro genio creativo.
Sappiamo bene che questa vostra impresa non è facile. Da sola, né l'Italia,
né alcun altro Paese, saprebbe creare il quadro istituzionale in cui si
riescano a far convivere e convergere, realtà economiche e sociali così
diverse.
Soltanto l'Unione Europea è capace di creare, anzi ha già creato in
larghissima parte, questo quadro di progresso. L'Europa ha già saputo far
convergere, verso l'alto, i Paesi più diversi, dalla Scandinavia all'Italia, al
Portogallo o alla Grecia.
Noi questa storia la conosciamo, l'abbiamo vissuta. Per questo non abbiamo
né diffidenza né paura dell'Europa di Bruxelles, sede operativa di una
comunità di Paesi democratici, responsabilmente rappresentati dai loro governi
nazionali come dalle istituzioni comuni che essi hanno creato; né possiamo
diffidare di Strasburgo, dove ha sede il Parlamento, liberamente eletto, dei
popoli dell'Unione.
Abbiamo scoperto, tutti insieme, che possiamo creare, applicando il principio di
sussidiarietà, diversi livelli di governo capaci di convivere e lavorare
insieme. Sono già almeno cinque: comunale, provinciale, regionale, nazionale ed
europeo. Siamo convinti che ogni decisione operativa debba essere presa al
livello più basso possibile, il più vicino al popolo degli elettori, rinviando
al livello più alto le scelte che solo a quel livello possono essere compiute
meglio, con beneficio di tutti.
La struttura politica che stiamo creando non ha precedenti nella storia.
Comporta una duplice "devolution", un trasferimento di compiti
e di poteri dallo Stato centrale, sia verso la periferia, verso il basso, sia
verso un nuovo centro di governo comune europeo, verso l'alto.
In questa struttura, democratica a tutti i livelli, ogni apparente cessione di
sovranità si rivela, in realtà, quale conquista di una maggiore, più vera e
più forte, sovranità comune. In una Europa che va sempre più integrandosi, la
sovranità non la cediamo; la mettiamo in comune, che è una cosa profondamente
diversa. E' stato già così per la moneta, lo sarà anche per altri settori.
L'Europa che stiamo così costruendo, utilizzando e combinando il metodo della
messa in comune di sovranità e il metodo intergovernativo, è la nostra
speranza, è la nostra garanzia nel mare magno della globalizzazione. L'Europa
è lo scudo di tutte le libertà e identità locali contro un'omogeneizzazione
che rifiutiamo. Siamo Europeisti perché siamo patrioti, perché siamo gelosi
difensori delle nostre tante piccole patrie - cito Carlo Cattaneo - prima e
soprattutto della Patria Italia.
Ho tralasciato molti temi, che sono stati toccati negli interventi che mi hanno
preceduto, e di cui ho preso nota, a cominciare da quello, così vitale, del
potenziamento delle infrastrutture. Il fatto è che più ricca e avanzata è una
società e un'economia, e più è bisognosa di cure. Ma so che avete idee chiare
sulle cose da farsi, avete progetti, li state realizzando, e confido che saprete
ottenere il giusto appoggio delle istituzioni centrali vecchie e nuove,
regionali, statali, europee. Fate la vostra parte, in spirito di dialettica, con
animo costruttivo, e poi non date tregua agli altri livelli istituzionali,
perché facciano la loro.
Mi avvio a concludere. In questi miei viaggi, sono solito raccomandare
fortemente di coltivare la cultura del dialogo, della collaborazione fra
istituzioni e associazioni, fra società politica e società civile, fra mondo
della produzione e mondo dell'università e della ricerca. E' quello che a me
piace definire l'"alleanza delle autonomie". Sono convinto che
è possibile e necessaria. Sono convinto che tutti ne possono trarre vantaggio.
So che voi avete un vostro slogan, che è quello di "fare sistema".
E' una locuzione che anch'io uso. Stiamo dicendo la stessa cosa. Avete, fra i
fattori a voi favorevoli, una grande università. La città ha fatto e reso
grande l'università. L'università è "decoro" e "anima"
della città; può renderla sempre più grande e viva.
Perfezionate dunque la vostra capacità di fare sistema; fate crescere la
cultura delle istituzioni, coltivate l'etica delle istituzioni. La forza delle
vostre tradizioni umanistiche e religiose vi aiuta ad affrontare i problemi
nuovi di una società del benessere, di una società multirazziale.
Con questo stato d'animo rivolgo a Padova, alla sua Provincia e all'intera
Regione, un caldo augurio di buon lavoro e di nuovi successi. E, come ho detto
all'inizio, grazie. Grazie in nome dell'Italia.