VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CITTA' DI LUCCA
Incontro con le Autorità istituzionali politiche, civili e
militari locali
e con i Sindaci della Provincia di Lucca
17 settembre 2002
Signor Presidente del Senato,
Onorevoli Parlamentari,
Signor Presidente della Giunta Regionale della Toscana,
Signor Presidente della Provincia di Lucca,
Signor Sindaco di Lucca,
Autorità civili e religiose e militari,
cari Sindaci della Provincia di Lucca,
grazie della vostra accoglienza, grazie delle vostre gentili
parole. (Sono lieto della presenza a questo incontro del Presidente del Senato,
illustre cittadino di Lucca). Ritornare a Lucca provoca in me ogni volta una
forte emozione. L'emozione di tutti i visitatori che da ogni parte del mondo
vengono ad ammirare la cerchia perfetta delle vostre mura, scrigno che racchiude
tanti monumenti insigni, tante opere d'arte.
E in più l'emozione di chi, livornese, ha avuto fin da ragazzo contatti un po'
speciali con Lucca: non foss'altro perché la mia nonna paterna era lucchese.
E perché Lucca vuol dire per me pensare ad Augusto Mancini,
professore di letteratura greca all'Università di Pisa - nativo di Livorno,
lucchese di adozione - col quale mi sono laureato, qualche decennio fa, con una
tesi su uno scrittore greco il cui nome - Favorino da Arelate - avete tutto il
diritto di non conoscere. Ricordo bene di avergli reso più volte visita a
Lucca, per discutere delle mie prime ricerche. Era un dotto filologo classico,
un uomo di vasta cultura, soprattutto un italiano dal forte impegno civile e
politico, che, anche in quegli anni di dittatura, traspariva nel suo
insegnamento, così come nel suo abbigliamento, caratterizzato da un mai
dismesso "fiocco", in luogo della cravatta….
Lo incontrai, anche nel dopoguerra, da ultimo nella sua
qualità di presidente della Domus Mazziniana di Pisa. Fra poco scoprirò, non
senza commozione, una targa che ne ricorda la figura
L'onda dei ricordi induce a riflettere sulla grande
ricchezza della provincia italiana. L'identità italiana è come un prisma dalle
tante facce. Cento fili diversi di storia, di civiltà, hanno contribuito a
formare una trama straordinaria, che forse non ha l'eguale.
La cosa ancora più straordinaria è che quelli che già
furono, in secoli lontani, centri di cultura, d'arte, di potere politico, come
lo fu Lucca, abbiano saputo inserirsi oggi, senza nulla perdere della loro
specificità, in un quadro tanto più vasto di quello provinciale, più vasto
anche di quello nazionale, aprendosi, con tutta naturalezza, all'Europa e al
mondo, e trovando in queste nuove dimensioni spunti e motivi di un loro
ulteriore progresso.
Queste nostre piccole, grandi città, attraverso tanti
cambiamenti, sono rimaste se stesse.
E' stato giustamente ricordato quanto sia vitale, nella
Lucchesia, quella cultura della solidarietà, con radici religiose e laiche, che
ispira le vostre 500 associazioni di volontariato, forse un primato in Italia.
E' lo spirito che animava il sindaco di Piazza al Serchio Roberto Nobili, medico
e volontario del soccorso alpino, morto nel generoso tentativo di soccorrere due
escursionisti feriti, alla cui memoria ebbi l'onore di conferire la medaglia
d'oro al valor civile.
Le "città del silenzio" sono oggi centri
attivissimi di crescita economica e sociale, impegnati in un intenso
interscambio di merci e di idee col mondo intero.
Molte nostre realtà provinciali hanno attinto ad antiche
tradizioni per acquisire specializzazioni produttive che fanno, di ciascuna di
queste province, la sede di "distretti", di poli industriali, che si
collocano all'avanguardia in Italia e in Europa.
In questa occasione non avrò il tempo di raggiungere anche
la vostra fascia costiera. Lo farò in un'altra occasione, e so che troverò a
Pietrasanta quella che mi dicono venga oggi chiamata "una piccola
Atene", per il gran numero di scultori di varie parti del mondo che vi
risiedono, per lavorare in loco quello stesso marmo che Michelangelo amava
scegliere personalmente per le sue grandi sculture; mentre troverò a Viareggio,
oltre a una città da molte generazioni regina dei bagni e dei carri
carnevaleschi, ornati da sculture di cartapesta, anche dei cantieri navali
prestigiosi; vorrei rivedere il superbo Duomo di Barga, e di là la cerchia
delle Apuane.
E qui a Lucca, se non vado errato, fin dal Trecento si
faceva carta; sono vive nella mia memoria di ragazzo, in villeggiatura a Bagni
di Lucca, le cartiere alimentate dalle acque del Lima; e oggi il vostro
distretto della carta ha conquistato con i suoi prodotti tutta l'Europa.
La fioritura nel nostro Paese, da Nord a Sud, di
"distretti" produttivi specializzati, oggi proiettati verso i mercati
europei e mondiali, è, come dicevo, un fenomeno che ha radici antiche. Esso ha
ricevuto stimoli forti dalla storica scelta, che facemmo subito dopo la guerra,
di accettare la sfida europea, di non chiuderci in uno sterile protezionismo, di
fare il gran salto nel mercato comune europeo.
Fu un atto di coraggio; non mancavano motivi per temere che
potessimo essere sopraffatti dalla concorrenza di Paesi con industrie più
forti.
Ebbero ragione coloro che confidavano, per vincere la sfida
europea, nelle energie imprenditoriali e nell'ingegno dei nostri industriali e
dei nostri artigiani, nella loro capacità di far crescere le loro imprese e di
crearne delle nuove, nella laboriosità della nostra gente.
Oggi ci si presenta una sfida analoga, ma su scala ancora
più grande, la sfida di un mercato globale che ci offre nuove opportunità,
nuovi sbocchi per i nostri prodotti, ma che vede anche crescere il numero dei
nostri concorrenti.
Ieri come sapete ero a Pistoia, e di questo abbiamo già
ragionato. Ovviamente ho ritrovato qui, anche nei discorsi che abbiamo insieme
ascoltato, temi e spunti di riflessione simili, che in qualche misura erano già
stati anticipati nel corso di una recente visita a Prato.
Con questo incontro di Lucca ho quasi completato il percorso
di quella fascia ininterrotta di province vicine, somiglianti e pur diverse, che
da Firenze corre fino al mare: mi manca Massa-Carrara.
Condivido il senso d'urgenza, che ho ritrovato nei vostri
discorsi, sulla necessità di attrezzare meglio le strutture di comunicazione
tra Est e Ovest, soprattutto ferroviarie, che servono questa Toscana
settentrionale, così bella e così operosa.
Ci confrontiamo, continuamente, con il mondo, e dobbiamo
essere forti.
Non stupisce che si siano manifestate, negli ultimi mesi,
preoccupazioni e per la crescita della produzione e per l'andamento dei prezzi.
Su ambedue i temi vorrei fare qualche considerazione, cominciando dal secondo.
Anzitutto, non è fuori luogo ricordare che in Italia siamo
stati a lungo, troppo a lungo abituati a giudicare lo stato della nostra
inflazione misurando l'aumento del livello dei prezzi per punti percentuali;
oggi lo si misura per decimi di punto. La parola inflazione ci spaventa perché
evoca in noi ricordi e immagini di una realtà angosciosa, quando avevamo tassi
d'inflazione di molto superiori, spesso del doppio, a quelli dei Paesi europei
nostri compagni di viaggio, e nostri concorrenti.
Oggi non è più così. Oggi il divario fra il nostro tasso
di aumento dei prezzi e quello medio europeo si misura in decimali. La
differenza fra la situazione attuale e quella del passato è dunque grande.
Quell'inflazione selvaggia non c'è più, e questo è fondamentale.
Il rientro dal presente divario con gli altri Paesi dell'euro
nella dinamica dei prezzi è un problema non paragonabile a quello di allora,
risolto anche grazie all'accettazione di regole chiare e semplici, saggiamente
accettate dalle parti sociali, che permisero di rompere la spirale
prezzi-salari, a beneficio di tutti. Quelle regole, e ancor più i principi e le
finalità che le animarono, sono ancora validi.
Tuttavia dobbiamo stare attenti a non sottovalutare la
rilevanza del problema: perché i divari nell'aumento dei prezzi oggi avvengono
in una realtà profondamente mutata. Prima avevamo valute nazionali, e all'alta
inflazione potevi, o dovevi, rimediare con misure estreme, quali le
svalutazioni: anche se queste avevano un ben pesante costo per la popolazione,
perché riducevano il potere d'acquisto della lira, dei nostri soldi, dei nostri
risparmi.
Oggi questo non è più possibile, non è più concesso, né
a noi né a nessun altro dei Paesi che hanno adottato l'euro.
Oggi, se si registra un aumento dei prezzi più elevato,
anche di poco, di quello medio degli altri Paesi dell'euro, non lo si può più
recuperare in quel modo. La conseguenza è che diventiamo meno competitivi; la
crescita della nostra economia, l'occupazione ne soffrono.
Così, come sempre, crescita e stabilità si intrecciano, si
influenzano, si condizionano reciprocamente. Questo, le nostre imprese lo sanno
molto bene. Esse sanno anche quanto sia duro ricuperare: l'unico modo è
accrescere, più degli altri Paesi concorrenti, la produttività, ridurre i
costi complessivi, migliorare la qualità del prodotto.
Il problema è complesso, e richiede risposte complesse, che
riguardano in primo luogo le imprese e i lavoratori, ma anche la pubblica
amministrazione, dal governo centrale a quelli locali.
Sono temi che riguardano al tempo stesso la stabilità e la
crescita: le risposte implicano interventi congiunturali e strutturali, che
coinvolgono la responsabilità di molti.
Bisogna anzitutto continuare nel consolidamento del
risanamento dei conti pubblici. Ne ho già accennato ieri a Pistoia.
Viene poi immediato il richiamo al miglioramento delle
infrastrutture, e agli investimenti, pubblici e privati;
come a una maggiore apertura dei mercati interni, laddove vi
siano ancora situazioni di privilegio e di imperfetta concorrenza, che
consentono aumenti ingiustificati dei prezzi di beni e servizi;
come alle riforme istituzionali in corso di realizzazione,
che debbono consentirci di avere amministrazioni locali e centrali più
efficienti;
come a un più intenso grado di cooperazione tra il mondo
della produzione e gli istituti di formazione, di studio e di ricerca, per
consentirci di realizzare rapidamente le innovazioni produttive che il mercato
globale impone, e per far corrispondere l'offerta di manodopera alla domanda; e
ciò richiede in primo luogo il potenziamento della formazione dei giovani.
Queste sono, in un sommario esame, le condizioni principali
affinché al mantenimento della stabilità si accompagni la crescita, e l'una e
l'altra si rafforzino a vicenda, come vuole il "patto europeo di stabilità
e di crescita" che diede vita alla moneta unica.
Per l'Italia - e anche questo l'ho ricordato ieri a Pistoia -
quando si parla di crescita si intende la crescita di tutto il paese; il che
significa accelerare il processo di sviluppo delle regioni meridionali.
Solo così si potrà non solo cancellare quella
disoccupazione giovanile, acuta in quelle regioni, che considero un dovere per
tutta la nazione, ma favorire anche il miglioramento delle condizioni
economiche, sociali, politiche dell'intera Italia.
Pochi giorni fa, i rappresentanti di un comune delle Marche
mi dicevano che il potenziale di crescita della loro economia soffriva della
scarsità non solo di forze di lavoro, ma anche di spazi, di territorio. E' un
fenomeno che ho avvertito anche altrove. Ed allora perché non insediare nuovi
stabilimenti a poche centinaia di chilometri di distanza, in casa nostra?
Il nostro domani dipende sostanzialmente e in primo luogo da
noi, da come sapremo coltivare insieme il giardino di casa.
Dipende al tempo stesso, non vi sono dubbi, anche dai
progressi che l'Unione Europea saprà fare, per portare avanti le proprie
riforme istituzionali e per realizzare l'allargamento ai Paesi dell'Europa
centro-orientale che bussano alla nostra porta, chiedendoci di riannodare,
insieme con noi, i fili di una vicenda storica comune che erano stati così
brutalmente tagliati.
Bisogna operare con gli altri paesi europei per trovare
insieme le vie che consentano all'Europa di dare alla propria crescita un ritmo
più rapido, quale consentono oggi le dimensioni di un grande mercato
continentale europeo e le nostre tradizioni di operosità e di
imprenditorialità.
Questa è una fase decisiva per il processo di unificazione
europea; una fase decisiva per la storia d'Europa e del mondo nel nuovo secolo.
E' necessario, per superarla con successo, dar prova di
prudente ma coraggiosa lungimiranza.
Non sarebbe saggio rinchiudersi in se stessi, per paura del
nuovo: questa è la lezione che abbiamo tratto dall'ultimo mezzo secolo di
storia italiana ed europea. L'Italia saprà fare la sua parte, come sempre in
passato.
Al di là dell'Europa, il nostro progresso - questo è più che evidente a
una provincia operosa come la Lucchesia, che ha già il mondo come proprio campo
d'azione - dipenderà infine da come sarà governato il progresso civile ed
economico su scala globale.
Avviandomi a concludere queste mie riflessioni, il pensiero
corre al recente grande convegno di Johannesburg, dove si è posto il problema
di come colmare, o avviarsi a colmare, il divario fra popoli ricchi, la
minoranza, e popoli poveri, la maggioranza dell'umanità; e di come si possa
ottenere uno "sviluppo sostenibile".
Il benessere conquistato, col loro ingegno e col loro lavoro,
da quella minoranza di nazioni che hanno saputo riscattarsi da una condizione di
povertà un tempo universale - e di ciò non dobbiamo certo vergognarci - rende
sempre più intollerabile alla nostra coscienza le condizioni miserabili di vita
che sono ancora comuni alla maggioranza dei popoli della terra.
Un sistema globale fondato sulla prosperità dei pochi, e la
miseria dei molti, non assicura a nessuno un futuro di pace e di prosperità.
E' stato questo il tema centrale a Johannesburg. La larga
partecipazione di Capi di Stato e di Governo e di decine di migliaia di delegati
di centottantanove paesi, ha di per sé sottolineato la gravità dei problemi e
l'urgenza di porvi riparo.
Il piano d'azione approvato, anche se non ha soddisfatto
tutte le aspettative, offre importanti percorsi operativi per rivitalizzare il
patrimonio ambientale, per difendere la diversità biologica e per ridurre il
divario tra Nord e Sud. Gli impegni assunti sono molti. E' essenziale che si
traducano in risultati concreti e che il percorso si attuazione sia
diligentemente monitorato.
L'Italia è impegnata a fare la sua parte, anzitutto ponendo
mano agli adempimenti previsti dal protocollo di Kyoto, che diventerà operativo
entro pochi mesi a seguito dell'impegno di Russia e Canada a ratificarlo.
Concludo, grato a coloro che mi hanno preceduto nel
prendere la parola, per avere stimolato con le loro considerazioni - animate da
giusti sentimenti di orgoglio cittadino, da concretezza e da spirito di
concertazione - queste mie riflessioni.
A tutti auguri di buon lavoro: con particolare affetto ai
Sindaci dei Comuni della Lucchesia, con l'invito a portarlo a tutti i loro
concittadini.