VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CITTA' DI AVELLINO
Incontro con le Autorità politiche, istituzionali, civili e militari della Provincia di Avellino
Avellino, 1° ottobre 2002
Signor Presidente della Giunta Regionale della Campania,
Signor Presidente della Provincia di Avellino,
Signor Sindaco di Avellino,
Onorevoli Parlamentari,
Autorità civili, militari e religiose,
cari Sindaci della Provincia di Avellino,
Presidente Mancino,
Presidente De Mita,
anzitutto vi ringrazio per la cordiale accoglienza;
ringrazio gli oratori che mi hanno preceduto per essere andati al di là delle
espressioni di circostanza, e per avere ben interpretato nei loro discorsi - con
i quali mi hanno offerto un quadro concreto di questa operosa provincia, con le
sue luci ed ombre - lo spirito di questa mia visita, di questa nuova tappa del
lungo viaggio che ho intrapreso nella provincia italiana. E vi faccio i miei
complimenti per aver costruito questo bellissimo teatro.
Viaggio (ripeto un concetto che non mi stanco di esprimere)
per conoscere meglio l'Italia, e per farla conoscere meglio agli Italiani. Sono
alla ricerca di fatti, di esperienze: ad ogni nuovo incontro, si aggiunge una
tessera di quel ricco mosaico di realtà provinciali che è la nostra Patria.
Il quadro d'insieme che ne emerge convalida la mia fiducia
nella vitalità della nostra società e della nostra economia, nella più vasta
cornice dell'Unione Europea. Soprattutto, trovo al Nord come al Sud, come al
Centro una comunanza di valori, di cultura, di linguaggio, di aspirazioni e di
visioni del futuro che è la più forte dimostrazione di quanto sia salda oggi,
più che mai in passato, l'unità d'Italia.
Ad ogni nuova sosta, ad ogni nuovo incontro, è importante
distinguere i dati legati alla congiuntura, alle circostanze del momento, dai
dati strutturali, che esprimono le tendenze di fondo della società e
dell'economia italiane.
Non ignoro l'importanza e anche la serietà dei problemi che
dobbiamo affrontare, in questa fase di attesa di una ripresa economica che
tarda, non soltanto in Italia. Ma questa condizione rende ancora più urgente
moltiplicare gli sforzi per porre rimedio ai nostri punti deboli.
Molti sono comuni a quasi tutte le nostre realtà
provinciali. Penso per esempio alla necessità di potenziare e ammodernare le
vie di comunicazione, inadeguate anche come conseguenza di un fatto positivo: la
società e l'economia italiane crescono, e creano, crescendo, nuove esigenze.
Più uomini e merci da trasportare, significano più strade o
ferrovie o nuove vie del mare da costruire. In questo adeguamento siamo in
ritardo.
Poi ci sono problematiche particolari, legate alle realtà
locali. Soprattutto, vi sono ancora troppi ritardi da colmare per i territori
che si sono incamminati più tardi sulla via dello sviluppo.
Nelle due ultime visite, a Pistoia e Lucca, due province tra
le più avanzate d'Europa nella graduatoria del benessere, non ho potuto non
insistere su un tema che ritengo doveroso mantenere all'attenzione del Paese:
l'inaccettabilità del fatto che vi sia più di mezza Italia dove le imprese non
trovano manodopera (e talvolta neppure terreni disponibili) per poter continuare
ad espandersi e a crescere, e un'altra parte d'Italia dove c'è forza di lavoro
che rimane inoperosa.
Su questo tema voglio continuare a ragionare con voi, qui ad
Avellino, in un territorio che è un esempio di come, in un periodo di tempo
relativamente breve, un paio di decenni, una provincia quasi esclusivamente
agricola possa diventare provincia industrializzata potenziando e
specializzando, al tempo stesso, anche le sue produzioni agricole.
Lo sviluppo è un processo che ha motivazioni in parte
evidenti, in parte misteriose e anche casuali. Mi era già accaduto nel Friuli,
e poi in Basilicata e di nuovo qui ad Avellino, di sentirmi dire che gli esperti
datano l'avvio del processo di "decollo", come si suol dire, da un
grande disastro naturale, da un evento tragico.
Non dimentichiamo quella tremenda sera del 23 novembre 1980,
non dimentichiamo i tremila morti, i 10 mila feriti vittime del sisma che colpì
la Campania e la Basilicata: decine e decine di abitati distrutti o gravemente
danneggiati, la lunga ferita lasciata nel paesaggio di queste regioni, nelle
vostre città e villaggi dal sapore artistico antico. A quel disastro della
Natura la società irpina ha dimostrato di saper reagire.
Tocca agli studiosi il compito di analizzare i meccanismi di
questa particolare sequenza di eventi.
Osservo però che se oggi l'Italia è un Paese abbastanza
prospero da poter trasferire un elevato volume di risorse in zone colpite da un
disastro naturale, e questo afflusso si trasforma in un poderoso motore di
decollo, vuol dire che in quelle zone esistevano le premesse di questo sviluppo;
già c'erano, prima della devastazione, energie locali latenti o emergenti,
capacità di lavoro e imprenditoriali, capacità organizzative e amministrative,
in grado di reagire creativamente allo stimolo esterno. Anche se sulla strada
della rinascita si sono poi dovute superare non poche difficoltà, che hanno
frenato per qualche tempo lo sviluppo.
Da queste considerazioni - e premesso che l'equilibrio dei
conti pubblici nazionali e la credibilità e il prestigio del Paese sono un bene
fondamentale per tutti - si possono trarre almeno due conclusioni.
La prima è che le politiche di agevolazioni alle attività
produttive, quando sono ben indirizzate, riescono a produrre gli effetti
positivi auspicati. Quindi questa impostazione non deve essere abbandonata.
La seconda è che si debbono migliorare le condizioni locali,
le potenzialità per mettere a frutto le risorse esistenti e per attirarne di
nuove. E non dimentichiamo che l'incontro, ossia la combinazione fra condizioni
ambientali e risorse, richiede, per essere fecondo, la "scintilla"
dell'iniziativa, dell'imprenditorialità.
E' utile ed è giusto che si creino, in ambito nazionale o
europeo, agevolazioni miranti a stimolare nuovi investimenti, a creare nuovi
posti di lavoro. La convergenza verso l'alto dei livelli di sviluppo delle
diverse regioni fu fin dall'inizio uno degli obiettivi dichiarati e dei principi
ispiratori fondamentali del processo di unificazione europea.
Lo è, lo deve essere a maggior ragione, della politica di
uno stato ben governato.
Ciò che è avvenuto ad Avellino può e deve avvenire in
tante altre aree del Mezzogiorno, dove ve ne sono le condizioni: in primo luogo
una gioventù ben preparata, e accettabili situazioni di sicurezza.
Non c'è tempo da perdere: alcune disponibilità esterne, in
prospettiva, possono ridursi. L'allargamento dell'Unione Europea, un obiettivo
storico che perseguiamo con convinzione, includerà nell'Unione Paesi a più
basso livello di reddito e quindi bisognosi di aiuti, che assorbiranno risorse
dal bilancio comunitario. La consapevolezza di questa prospettiva ci impone,
come immediata reazione, di compiere ogni sforzo per il completo utilizzo degli
incentivi finanziari previsti per le regioni italiane dal Quadro comunitario di
sostegno 2000-2006.
Qualche altra considerazione.
Una prima: l'esperienza ha dimostrato che è preferibile
affidarsi alle forze vive del mercato - sia a quelle esistenti in loco sia a
quelle esterne - per ottenere il massimo dei risultati con un dato volume di
risorse.
Una seconda: le imprese, grandi o piccole, di altre regioni
d'Italia, che non trovano più spazi e manodopera nel loro territorio d'origine,
hanno un naturale interesse a cercare nuove localizzazioni. Hanno di fronte a
loro un'offerta di occasioni ampia, su scala addirittura globale. Sempre più
numerosi sono i Paesi in ritardo nello sviluppo che mirano ad attrarre
investimenti di imprese dei Paesi sviluppati; imprese che guardano al mondo
intero come loro spazio naturale, e che sono capaci di una grandissima
mobilità.
Il Mezzogiorno non può proporsi di competere con regioni o
Paesi in condizioni di offrire livelli salariali particolarmente bassi; e non
vuole né deve accettare produzioni inquinanti.
Può offrire altro. Non soltanto un ambiente naturale ancora
largamente incontaminato e attraente: come è il vostro. Ma anche e soprattutto
una manodopera ben istruita e altamente motivata (e lo dimostrano i bassi tassi
di assenteismo nelle vostre fabbriche).
Un grande avellinese, Francesco De Sanctis, che fu
governatore della provincia di Avellino, nel proclama per il referendum di
annessione al nascente Regno d'Italia del 16 ottobre 1860, scriveva parole quasi
profetiche, che cito: "Quando avremo scuole popolari, scuole tecniche per
gli operai, scuole agrarie, scuole industriali, allora si apriranno nuove vie
per guadagnarci la vita e acquisteremo coscienza della nostra dignità".
Dodici anni dopo, nel discorso inaugurale all'università di
Napoli del novembre 1872, De Sanctis biasimava le università italiane per
essere "come tagliate fuori dal movimento nazionale", e le invitava ad
affrontare (e di nuovo cito) "problemi attuali", divenendo "il
gran vivaio delle nuove generazioni".
Anche in una realtà economica già attivamente impegnata in
un processo di sviluppo come la vostra queste parole conservano tutta la loro
attualità. La tradizione culturale e civile avellinese, che ebbe già nel De
Sanctis, come in Pasquale Stanislao Mancini, illustri esponenti, favorisce la
consapevolezza della necessità di un continuo ammodernamento, al fine di
realizzare quella "rivoluzione meridionale" di cui scrisse con tanta
penetrante conoscenza Guido Dorso.
La cultura del lavoro, la cultura dell'impresa sono cultura,
non meno nobile e qualificante per l'umanità, delle lettere e del diritto.
Per accelerare la crescita dobbiamo porre attenzione ad altri
fattori non meno rilevanti, quali:
il potenziamento delle infrastrutture, e non mi riferisco soltanto alle vie di
comunicazione - o all'adeguamento dell'edilizia scolastica, di cui qui si è
parlato con giustificata passione - ma anche alle infrastrutture "non
materiali", innovative;
un'attenta selezione dei progetti e periodiche verifiche dell'esecuzione delle
opere nei modi e nei tempi previsti;
il superamento delle antiche lentezze delle burocrazie, confidando nell'ingresso
di nuove generazioni capaci di accogliere e usare le più moderne tecnologie
della comunicazione e dell'organizzazione amministrativa;
l'individuazione e la realizzazione di aree industriali attrezzate;
il miglioramento del contesto sociale, il consolidamento di un ambiente sicuro,
governato dalla Legge.
Non tutto si può attendere, né dipende, dall'alto. In
particolare, la guerra alla criminalità organizzata è vincente soltanto se
gode del convinto appoggio della società locale. Deve essere a tutti chiaro
quanto sia alto il costo della criminalità per la collettività e per i singoli
cittadini.
Le organizzazioni di camorra o di mafia sono il peggior
nemico del benessere della gente comune e della crescita delle occasioni di
lavoro. Spaventano e tengono lontani potenziali investitori.
Non creano lavoro, lo distruggono; sono una delle cause
determinanti dei livelli di disoccupazione ancora intollerabilmente alti del
Mezzogiorno.
E vengo più direttamente al problema che deve essere al
centro dell'impegno di tutti: autorità centrali di governo, autorità locali,
imprenditoria e sindacati, organizzazioni di categoria. L'ultimo dato in materia
di utilizzo della forza lavoro, di pochi giorni fa, segnala un tasso di
disoccupazione nel Mezzogiorno che è ancora del 18 per cento, contro il 6 del
Centro, il 4 del Nord, e l'8,7 per cento della disoccupazione media italiana (un
minimo storico dall'ottobre 1992).
Il tasso di disoccupazione giovanile rimane, al Sud, a un
livello inaccettabilmente alto: secondo le statistiche, superiore al 42 per
cento, contro il 9,3 del Nord e il 15 del Centro.
Confrontando questi dati con quelli di un anno fa, si deve
bensì rilevare che è proprio nel Mezzogiorno che si è verificato, anche in
valori assoluti, l'incremento maggiore dell'occupazione, e la riduzione maggiore
della disoccupazione. Ma lo scarto fra il Nord e il Centro, da una parte, e il
Sud dall'altra, rimane inaccettabile. Ridurlo ulteriormente è una priorità
nazionale, sociale, economica, politica.
L'Irpinia è cosciente di presentare condizioni di sicurezza
più favorevoli di quelle esistenti in altre aree del Mezzogiorno (e livelli di
disoccupazione minori). Deve consolidare e rafforzare questa condizione.
La criminalità organizzata va sconfitta, per il futuro dei
nostri figli. Non volete, non vogliamo che continui l'emorragia di giovani,
preparati, capaci, volonterosi, costretti a cercare lavoro altrove.
Da circa cinque anni è in atto un nuovo dinamismo del
tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno, particolarmente nel settore delle
piccole e medie imprese: con una crescita delle imprese nei settori
extra-agricoli percentualmente superiore a quella del Centro-Nord.
Ciò che avete già realizzato conforta la mia, la vostra
fiducia in ulteriori progressi.
Fate sì che l'immagine del Mezzogiorno, che soffre ancora di
diffusi pregiudizi che spesso non trovano più riscontro nella realtà,
s'imponga all'attenzione del Paese.
Fate sapere, facciamo sapere all'Italia tutta "quello
che succede al Sud", quello che è oggi il Mezzogiorno d'Italia: un'area
dove le cosiddette "macchie di leopardo" di un nuovo sviluppo si
stanno ampliando; un Mezzogiorno che si candida credibilmente, con la
concretezza dei risultati già raggiunti, come la frontiera d'avanguardia nel
Mediterraneo dell'Europa unita.
La realtà odierna, nonostante le difficoltà congiunturali,
presenta molti aspetti positivi. Il Mezzogiorno sta oggi riguadagnando terreno.
Deve continuare a riguadagnarlo, consolidando le nuove tendenze positive in
atto.
Concludo rivolgendo a tutti voi, amministratori locali,
imprenditori, rappresentanti dei lavoratori, esponenti della classe politica
irpina che di generazione in generazione esprime autorevoli uomini delle
istituzioni, l'augurio di buon lavoro, di andare avanti sulla strada che state
percorrendo.
E' un augurio che rivolgo soprattutto ai giovani, con una
calda raccomandazione: guardate in alto, nutrite ambizioni, abbiate fiducia in
voi stessi, nel futuro vostro e della vostra terra.