Palazzo del Quirinale 01/05/2004

Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione dell'incontro con i nuovi Maestri del Lavoro del Lazio e dell'Umbria



INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
IN OCCASIONE DELL'INCONTRO CON
I NUOVI MAESTRI DEL LAVORO DEL LAZIO E DELL'UMBRIA

Palazzo del Quirinale, 1° Maggio 2004



Signori Vice Presidenti della Camera e del Senato,
Signor Ministro del Lavoro,
Signor Giudice Costituzionale,
Signor Presidente della Regione Lazio,
Autorità,
soprattutto, Cari Maestri del Lavoro,

buon primo maggio a tutti. Quest'anno la festa dei lavoratori avviene in un momento speciale, che interessa tutti i cittadini, in primo luogo coloro che lavorano; oggi la famiglia dell'Unione Europea si allarga a dieci nuovi Paesi membri: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria.

La gioia per questo evento storico è turbata dalla trepidazione con cui tutti gli italiani seguono la vicenda degli ostaggi in Iraq. La nostra speranza è che essi possano presto riabbracciare le proprie famiglie.

Come detto, questo è il giorno della riunificazione del continente.

E' l'allargamento più vasto mai realizzato finora. L'Unione ampliata è molto più di un grande mercato. E' terreno comune di valori; territorio che amplifica le possibilità di investimento; luogo multi-culturale che moltiplica le potenzialità dei nostri giovani, liberi di studiare e lavorare ovunque lo desiderino.

Sono convinto che l'adesione di questi Paesi - molti dei quali hanno da poco riconquistato la libertà e l'indipendenza - imprimerà nuovo slancio alla costruzione europea; libererà ulteriori risorse economiche; apporterà inedite energie culturali e sociali; soprattutto una rinnovata volontà di avanzamento politico in tutto il continente.

In un'Europa forte ed unita risiedono le migliori garanzie del nostro futuro.

Nel giorno in cui questi Paesi entrano nell'Unione a pieno titolo, non possiamo non inviare un augurio sia agli altri Paesi che per cultura, per tradizioni, sentiamo parte integrante della famiglia europea, che seguiranno nel tempo il loro percorso di avvicinamento all'Unione, sia a tutti coloro, uomini e donne di altri popoli, che da subito dobbiamo integrare, abituandoci a lavorare sempre di più e sempre meglio con loro, con i loro lavoratori, con le loro imprese.

Abbiamo bisogno di lavoratori stranieri che sappiano interagire con i nostri modelli di vita, con i nostri valori, che condividano lo spirito delle leggi dell'Unione. Guardando oltre le frontiere dell'Unione, è necessario un forte rilancio del dialogo mediterraneo per fare del nostro mare uno spazio di sviluppo e di scambio economico, ma anche per lavorare con forza e determinazione al dialogo e alla comprensione fra tutti i popoli che si affacciano sul nostro comune mare, in primo luogo, tra civiltà islamica ed europea; le nostre diversità culturali, questa stessa capacità di comprensione, sono una caratteristica costitutiva dell'identità europea che stiamo, con fatica ma con successo, costruendo.

Certo, l'economia italiana e quella europea attraversano un momento difficile, di stagnazione ormai di lungo periodo.

Qualche settimana fa ho detto che serve una "scossa". Lo ripeto oggi.

La scossa deve partire dall'iniziativa di ciascuno di noi, sulla base di un'analisi precisa della realtà.

Domandiamoci: che cosa sta attraversando l'economia italiana, il suo sistema industriale, che cosa frena la nostra capacità di competere?

Per invertire la rotta, dobbiamo ragionare con una prospettiva di lungo periodo, prepararci a un lavoro di anni. Ma decidere e cominciare ad agire al più presto; subito. Al rilancio dello sviluppo italiano devono collaborare tutti, in spirito di unità: economisti, autorità pubbliche, lavoratori, imprenditori, sistema bancario e finanziario, mezzi di informazione.

Torno, prima di tutto, su un aspetto di fondo a me caro: l'andamento demografico. Non è possibile uno sviluppo sostenuto nel lungo periodo, se la popolazione di una Nazione non cresce e si rinnova. L'anno scorso sono nati in Italia 250 mila bimbi in meno che in Francia, il Paese, con dimensioni demografiche pari alla nostra, che per primo ha impostato una forte politica demografica a favore della famiglia, dei giovani che desiderano avere figli.

Fa dunque bene il Ministro del Lavoro ad insistere su proposte per affrontare questo problema. Nel frattempo, a integrazione della forza lavoro, servono decine di migliaia di immigrati regolari, di buona scolarità, dotati di professionalità tecnica.

Nel presente, non positivo contesto, i dati sull'occupazione hanno continuato tuttavia a migliorare. La disoccupazione è scesa sotto il 9 per cento; è aumentata la partecipazione al lavoro. Riforme del mercato del lavoro, recenti e meno recenti, stanno dando buoni risultati. Gli infortuni sul lavoro continuano ad essere molti ma - soprattutto quelli mortali - in netta riduzione.

Premesse queste mie considerazioni, non è solo un prodotto interno lordo, da troppo tempo ristagnante, a preoccupare, ma soprattutto la riduzione della quota italiana nel commercio internazionale, che in pochi anni si è ridotta del 25 per cento. Perché nello stesso periodo, la Francia e la Germania, pur nel generale ristagno europeo, hanno saputo difendere, o accrescere, le loro quote di mercato? Domande, come questa, devono stimolare - come sta accadendo- un intenso dibattito, dal quale trarre conclusioni operative.

Desidero sottolineare la responsabilità dell'informazione nella delicata fase di passaggio che stiamo attraversando. Quando l'Italia passava da una crisi valutaria a un'altra, la drammatizzazione veniva imposta dalle cronache dei mercati. Oggi, la perdita o la riconquista di una quota di mercato dello 0,5 per cento, l'andamento di indicatori più sottili come la produttività per unità di prodotto, passano sotto silenzio: invece sono di vitale importanza per il nostro futuro. Dobbiamo affinare strumenti di informazione e avere orecchie più attente.

Nei viaggi nella provincia italiana, ho maturato una convinzione: il modello italiano di sviluppo è ancora valido.

Il sistema industriale ha solide basi e una sempre crescente diffusione sul territorio, da Nord a Sud.

Abbiamo tutte le possibilità di contrastare con successo la deindustrializzazione.

La stabilità finanziaria e monetaria che abbiamo conquistato, consacrandola con l'euro, è una cornice fondamentale, irreversibile per programmare il nostro futuro. Certo, si deve imparare a competere avendo alle spalle una moneta forte. Questo impone scelte forti - organizzative, di investimento - che nel sistema, anche tra le imprese, sono in ritardo rispetto ad altri Paesi. Certo è anche mancato, nell'Eurogruppo, l'ho già detto più volte, un seguito di politica economica comune coerente con la moneta unica.

Limitandomi all'ambito italiano, riassumo alcuni appunti di lettura tratti da interventi, rapporti dei centri studi, dai tanti libri che stanno uscendo sulla materia:

1. Il "made in Italy" può essere ancora vincente, ma va affermato sui nuovi mercati ad alto sviluppo prima che su quei mercati si radichi un falso "made in Italy" che sfrutta l'immagine così positiva del nostro stile ineguagliabile. Fuori dall'Italia dobbiamo ricordarci che, prima di tutto, siamo italiani; dobbiamo aiutarci, sostenerci a vicenda: istituzioni, banchieri, imprenditori. Dobbiamo fare sistema, far gioco di squadra.

2. Le imprese italiane sono una ricchezza preziosa, che dobbiamo difendere. Ci sono tante industrie medie che possono fare il salto dimensionale, anche approfittando delle nuove opportunità di un'Europa più ampia, e, come ci auguriamo, più coesa. Per la competitività della nostra economia deve crescere la loro dimensione.

3. Il modello dei distretti industriali ha incontrato dei limiti nella competizione di prezzo in alcuni settori merceologici, ma non è superato. Costituisce un capitale strategico del nostro territorio. Dobbiamo affinarlo, diffonderlo ed ampliarlo.

4. Dobbiamo continuare a favorire l'affermazione dello spirito imprenditoriale sul territorio, soprattutto nel Mezzogiorno. L'impresa non genera solo ricchezza e capitale, ma anche comportamenti positivi di responsabilità sociale. Il Sud rimane una riserva di crescita decisiva per il Paese.

5. La distribuzione del reddito, pur nella sua naturale dinamica, deve mantenere un giusto equilibrio. Il reddito disponibile delle famiglie, che è formato essenzialmente dal reddito dei dipendenti, è il vero polmone per la domanda di beni di consumo. E' necessario poi che la giusta parte che va alle imprese venga destinata principalmente a quegli investimenti in innovazione e ricerca, vitali per affermarsi sui mercati.

6. L'investimento in ricerca deve essere favorito in tutti i modi possibili: con una accorta politica fiscale a favore dell'investimento privato; col finanziamento diretto da parte dello Stato; con una politica mirata di domanda pubblica nei settori della difesa, dei satelliti e dello spazio.

7. All'Italia servono più laureati, più diplomati. Non va disperso lo straordinario patrimonio degli istituti tecnici superiori. Ne ho visitato di recente alcuni davvero straordinari, a Cantù e a Como, come mi era occorso prima in tante altre province d'Italia. Parimenti, deve essere favorita la formazione "permanente", non limitandola all'apprendimento in fabbrica.

8. Bisogna insistere nel potenziare le reti di comunicazione - materiali e immateriali - che rappresentano un collo di bottiglia per la nostra economia. I corridoi europei 5 e 8 rimangono due infrastrutture vitali per il nostro futuro.

Concludo: al suo primo articolo, la nostra Costituzione definisce l'Italia "una Repubblica democratica, fondata sul lavoro".

Ma il lavoro non è soltanto principio fondante della nostra democrazia. Non è soltanto la prima sorgente del nostro benessere. E' un valore morale che dà significato alla vita di ciascuno di noi.

Cari Maestri del Lavoro;

l'onorificenza che oggi la Repubblica vi ha conferito è il coronamento di una vita di lavoro. Voglio che il mio plauso giunga personalmente a ciascuno di voi. La vostra vita di lavoro costituisce un esempio, al quale le giovani generazioni possono ispirarsi.

E' bello, volgendo indietro lo sguardo al percorso della propria esistenza, poter dire: ho fatto la mia parte di onesto lavoro, per il bene dei miei familiari, per il progresso della mia Patria. Nel farlo, mi sono sentito realizzato. Questo voi potete dire oggi a voi stessi, con coscienza serena; con giusto orgoglio.

Di ciò mi rallegro con voi. Vi ringrazio.