Arezzo - Palazzo del Governo 07/10/2004

Intervento del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, in visita alla città di Arezzo, in occasione dell'incontro istituzionale con le autorità

 

VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CITTA' DI AREZZO

INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'

Arezzo, 7 ottobre 2004

 

Signor Presidente della Regione Toscana,
Signor Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Arezzo,
Signor Sindaco di Arezzo,
Onorevoli Parlamentari,
Autorità militari, civili e religiose,
cari Sindaci della provincia di Arezzo,
Signore e Signori,

grazie per le vostre parole di benvenuto, che si aggiungono alla calorosa accoglienza ricevuta al mio arrivo nella splendida piazza della Libertà, rendendo particolarmente felice l'inizio di questa giornata aretina; che mi consentirà anche, nel pomeriggio, di recarmi a Civitella per la posa di una corona, nel ricordo di una strage atroce, indimenticata da una provincia che ha meritato la medaglia d'oro al valor militare per la parte avuta nella Resistenza.

Con la visita di domani a Massa Carrara completerò la serie di incontri con i capoluoghi di provincia della Toscana: toscano io stesso, non spenderò parole per lodare le bellezze, che ben conosco, della vostra città, di questa provincia e di tutta la nostra amata terra toscana.

Ma in verità tutto il mio lungo viaggio in Italia, che ha ormai superato il traguardo delle ottanta province, ha lasciato nella mente una collana di splendide immagini, che rafforzano, se possibile, il mio orgoglio di Italiano, e il mio amor di patria.

Prima di questo nostro incontro, ho visitato, non senza emozione, e con tanti ricordi di antiche letture, per la verità mai abbandonate (poche gioie superano quella di tornare alla lettura di testi che hanno lasciato un'impronta incancellabile nell'età giovanile), la casa natale di Francesco Petrarca: colui che ha fissato in modo definitivo, più di sei secoli fa, con la limpidezza del suo lungo percorso poetico, le forme della nostra lingua, e quindi del nostro pensiero e della nostra stessa identità nazionale.

Al Petrarca si ispirò nei secoli non soltanto la nostra poesia, ma tutta la poesia europea. La trama culturale che unisce le nazioni d'Europa, e che nel corso della vita degli uomini della mia generazione si è tradotta in una imponente costruzione politica e istituzionale, ha qui, nella terra che fu anche patria di Piero della Francesca e di Michelangelo, alcune delle sue prime e più vigorose radici; potete esserne orgogliosi.

Ma, come è stato detto or ora, questa è "una città in movimento", "un territorio che ha intrapreso di nuovo una sua corsa". Ciò può dirsi, in verità, di tutta l'Italia. La nostra storia, lunga e gloriosa, ci impegna ad avanzare sulla via del progresso civile e culturale; ci rende anche consapevoli di quanto sia impegnativo il confronto con i grandi del nostro passato. Per iniziare una "nuova corsa" ci vogliono insomma gambe buone, e idee chiare. Dalle vostre parole mi rendo conto che molte idee chiare le avete già. Aggiungo qualche considerazione.

Oltre l'orizzonte europeo, che nell'ultimo mezzo secolo abbiamo contribuito a illuminare con la luce della concordia e della pace, si apre oggi dinanzi a noi uno sconfinato paesaggio globale, come mai prima nella storia.

Questo paesaggio è ricco di novità positive. Il rapido progresso economico di grandi Paesi che ci apparivano un tempo molto lontani, come la Cina, o l'India, o all'altro capo del mondo il Brasile, è un bene per tutti. Ma il paesaggio mondiale, a differenza di quello europeo d'oggi, purtroppo non è pacifico, è anzi ricco di incognite, di tragici conflitti in cui tutti siamo coinvolti. E questo complica molto le cose.

Tuttavia è bene non dimenticare con quali complessi sentimenti affrontammo, quasi mezzo secolo fa, i primi passi del Mercato Comune. Anche allora, negli anni della Guerra Fredda, gli anni della "Pace del Terrore", le incognite politiche e i pericoli erano tanti. Li affrontammo, uniti ad altri popoli fratelli, con coraggio, e riuscimmo a superarli.

E c'erano anche allora, da parte nostra, molte apprensioni per il futuro della nostra economia. Temevamo di trovarci, entrando nelle Comunità Economiche Europee, di fronte a concorrenti molto più forti di noi, come un vaso di coccio fra vasi di ferro. Preoccupazioni simili vengono espresse oggi di fronte alla sfida di un libero mercato globale.

Ma avevamo anche molte speranze e ambizioni, che si sono realizzate, e che sono fortunatamente presenti ancora oggi, mentre guardiamo ai nuovi orizzonti che si aprono al "made in Italy". Negli spiriti vitali del nostro mondo imprenditoriale, nell'ingegno e inventiva dei nostri artigiani, nel prestigio dello stile italiano, abbiamo molta fiducia, una fiducia motivata.

Però conosciamo anche le nostre debolezze. Esse discendono, in parte, dalle stesse peculiarità strutturali dell'economia italiana, che per altri versi ne sono la forza. Tutti noi sappiamo che le nostre piccole e medie imprese sono un valore straordinario, che ci viene invidiato da molti altri Paesi. Ma sappiamo anche - e voi, in base alla vostra esperienza di provincia altamente industrializzata, che potrebbe fregiarsi del titolo di capitale mondiale dell'arte orafa - sapete bene che, per fronteggiare la sfida del mercato globale, e per cogliere tutte le opportunità che ci si offrono, bisogna rimediare alle manchevolezze di un sistema produttivo povero di grandi imprese.

I rimedi sono diversi. Il primo mi è suggerito da un avvenimento che ha dominato la nostra mente, e che ci ha anche riempito di angoscia, nelle settimane scorse. Potete immaginare a che cosa alludo: all'ignobile sequestro delle "due Simone", e alla felice conclusione di quella che temevamo diventasse una intollerabile tragedia. I nostri peggiori timori non si sono realizzati, e da parte di tutti è stato detto e riconosciuto, ed è vero, che la straordinaria prova di solidarietà nazionale che ha dato la nostra gente, e anche la nostra classe politica, ha molto contribuito al buon esito dell'operazione complessa, necessaria per liberare le due giovani. Se ne può trarre una lezione generale? Io penso di sì. Intendiamoci: non penso affatto che il confronto politico, in sede locale come sui grandi temi della vita nazionale, sulle grandi scelte della nazione, debba scomparire, annegato in un mare di reciproci complimenti. Nulla del genere. La democrazia si nutre dell'aperto, anche aspro confronto delle opinioni. Ma penso che la vicenda che abbiamo vissuto con tanta intensa partecipazione confermi una verità che a me pare evidente, e che vado ripetendo da tanto tempo. La mia insistenza per praticare, in ogni momento, un vero dialogo, fra le forze politiche come fra le istituzioni, tanto più quando si tratta del quadro costituzionale e delle istituzioni portanti della nostra democrazia, non vuol essere una predica inutile, da ascoltare benevolmente per poi metterla nel cassetto; è un consiglio di buongoverno.

Si tratta di un atteggiamento mentale, che può manifestarsi concretamente in forme diverse, di fronte a problemi diversi in momenti diversi. Per esempio: sappiamo tutti che la concorrenza è l'anima del progresso economico.

Ma è anche evidente che quando si è necessariamente piccoli, per la natura stessa del proprio lavoro, e si affronta una sfida grande come il mondo, bisogna saper mettersi insieme per fare, insieme, quello che da soli non si potrà mai fare.

Bisogna evitare, come qualcuno qui mi ha detto, illustrando le realizzazioni e i problemi del sistema economico aretino, in buona parte fondato su imprese medie, piccole e anche piccolissime, che "la nostra risorsa diventi il nostro limite". E penso alla ricerca e all'innovazione, che richiedono di allargare la collaborazione in questi campi tra gli imprenditori, come tra le imprese e i centri di studio, le università, le scuole professionali che preparano i tecnici e gli artigiani. Cito ancora parole di un interlocutore aretino: "un Paese che si scolarizza cresce". Concetti simili si sono ripresentati con forza alla mia mente nel mio recente viaggio in Norvegia, pensando all'esperienza positiva di tutti i Paesi scandinavi, spesso all'avanguardia nei settori più moderni della ricerca scientifica e quindi nello sviluppo delle tecnologie avanzate.

Non possiamo affidarci, per superare la sfida di nuovi concorrenti, che spesso hanno, almeno per ora, il vantaggio di una manodopera a basso costo, soltanto al genio italico, alla ricchezza delle nostre tradizioni, al ricchissimo patrimonio di civiltà che ci ispira. Dobbiamo anche innovare, senza posa, nel prodotto e nei metodi della produzione, e per questo bisogna raggiungere le dimensioni giuste, o saper lavorare insieme.

Questo è vero per tutta l'Europa, che soffre di ingiustificati ritardi e lentezze dei ritmi della crescita, proprio per l'insufficienza delle risorse pubbliche e private dedicate alla ricerca di base e all'innovazione; ma forse è ancora più vero proprio per noi.

In alcuni casi può essere utile delocalizzare parte della propria produzione, creare oltre confine le condizioni per una crescita economica più rapida di aree poco sviluppate, crescita che alla fine giova anche a noi, creando nuovi mercati di consumo. E non bisogna guardare soltanto lontano; guardate anche al Sud, dove abbonda una manodopera di grande qualità, e dove non manca una capacità organizzativa di cui il Tarì di Caserta, che voi ben conoscete, è soltanto un esempio.

Bisogna anche saper collaborare, superando antiche rivalità, anche nell'affrontare l'ingresso in mercati vasti e lontani che si vanno aprendo, e che non ci propongono soltanto dei nuovi concorrenti, ma anche moltitudini crescenti di nuovi clienti. L'attitudine innata del nostro avventuroso piccolo imprenditore, che mette la sua merce in valigia e va alla scoperta del mondo, è ancora una risorsa importante: ma non basta più. Ci vuole coordinamento delle iniziative, pubbliche e private; ci vuole, nel proporsi di entrare in mercati nuovi, immensi e lontani, quella che è stata chiamata recentemente "una regia comune". Bisogna che il singolo imprenditore si senta sostenuto da quello che oggi si usa definire il "sistema Paese". Questa è la grande prova che debbono affrontare le organizzazioni di categoria, insieme con le istituzioni pubbliche.

Una economia per alcuni aspetti atipica, come è quella italiana, deve saper inventare e seguire percorsi un po' speciali, per tenere alto nel mondo il "made in Italy". Come qui è stato detto, "la nostra splendida unicità" deve ispirare "un nuovo dinamismo di azione e di sviluppo". A ciò devono concorrere molte iniziative.

E quindi avete ragione di sottolineare l'importanza del vostro polo universitario; o la necessità di completare sistemi di trasporto lasciati a metà; o di realizzare in tempi brevi la riqualificazione di aree dismesse da vecchi insediamenti; o di sviluppare il grande potenziale turistico di un territorio ricco, come il vostro, di straordinarie bellezze naturali e di opere d'arte uniche al mondo.

Un'ultima annotazione, molto positiva, che riguarda il vostro territorio, e che non posso non fare, e riguarda il vostro volontariato, forte e vitale. Qui, come altrove in Italia, si sono sposate tradizioni religiose fortemente radicate nel territorio con un'ispirazione sociale laica che ne condivide lo spirito di solidarietà: il rispetto reciproco e la collaborazione fra istituzioni religiose e mondo laico è un esempio per tutti.

Con questo chiudo un intervento ispirato alla mia ammirazione per quello che sta realizzando la vostra provincia, una provincia all'avanguardia, da tanti punti di vista, in Toscana e in Italia. Di ciò con voi mi congratulo. E auguro a tutti voi buon lavoro, certo che supererete le presenti difficoltà.