VISITA DI STATO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
NELLA REPUBBLICA DI TURCHIA
INTERVENTO AL FORUM
"ITALIA E TURCHIA: OPPORTUNITA' DI COOPERAZIONE INDUSTRIALE"
ORGANIZZATO DA CONFINDUSTRIA, ICE E ABI
Istanbul, 24 novembre 2005
Signori Ministri,
Autorità,
Signori rappresentanti del mondo economico italiano e turco,
è con grande piacere che concludo la mia visita di Stato in Turchia incontrando gli operatori economici e finanziari. La dimensione economica è una componente essenziale delle nostre relazioni, complemento indispensabile degli eccellenti rapporti politici e della profonda amicizia che lega i nostri Paesi.
Turchia e Italia sono due grandi nazioni mediterranee. Il nostro rapporto è
stato plasmato dal comune affacciarsi su questo mare, che definisce entrambe le
nostre identità.
E' soprattutto grazie all'ininterrotto flusso dei commerci che, attraverso la
lunga e ricca storia del Mediterraneo, nel corso dei secoli il dialogo tra i
nostri popoli non si è mai interrotto.
Oggi abbiamo l'occasione e la responsabilità di fare del Mediterraneo, ancor
più che in passato, uno spazio di incontro, di scambi e di sviluppo. Dobbiamo
coglierne tutte le opportunità.
Crocevia di scambi economici e culturali, terra di confine tra Oriente e
Occidente, la Turchia ha una popolazione giovane e un formidabile potenziale di
crescita. Per l'Italia è un partner naturale.
Il nostro interscambio commerciale cresce a ritmi elevati: 30% nell'ultimo anno;
assorbiamo il 13% dell'export turco verso l'Unione europea; partecipiamo per il
17% all'export europeo verso la Turchia.
Imprese italiane operano da tempo in questo Paese. Non lo hanno abbandonato
neanche nei momenti difficili, come la grave crisi finanziaria del 2001. Hanno
avuto fiducia nella capacità del popolo turco di superare le difficoltà. Oggi
sono oltre 300, il triplo rispetto a dieci anni or sono.
Le numerose iniziative congiunte già avviate fanno dell'Italia un partner
fondamentale per la Turchia in settori strategici, come le telecomunicazioni, le
banche, i trasporti, le infrastrutture, la farmaceutica, la meccanica di
precisione, l'agroalimentare, la difesa.
Non dobbiamo però accontentarci. I tempi sono maturi per un ulteriore
ampliamento della nostra presenza, anche al di là delle tradizionali aree di
concentrazione industriale della costa egea e del mar di Marmara.
Vogliamo che le nostre aziende si stabiliscano anche nelle regioni interne - che
si configurano come nuove zone di sviluppo industriale - e contribuiscano a fare
della Turchia una piattaforma di espansione nei mercati limitrofi, nel
Mediterraneo, in Medio Oriente, nei Balcani, nel Caucaso, nell'Asia Centrale.
La cooperazione economica bilaterale con la Turchia non può prescindere da una maggiore presenza delle piccole e medie imprese. Mercé anche l'organizzazione in distretti, esse sono il tessuto connettivo del nostro sistema produttivo.
Si dice che questo "modello italiano" sia in crisi. Siamo qui per
dimostrare il contrario.
Il sistema dei distretti si è evoluto; sta sfruttando la rivoluzione
informatica e la tecnologia digitale per superare i vincoli territoriali. I
nuovi distretti non sono più unicamente luoghi di contiguità fisica delle
imprese, ma anche reti di aziende collegate su base funzionale, flessibili e
capaci di adattare la composizione merceologica alla dinamica degli scambi
internazionali.
E' un sistema produttivo a geometria variabile, in grado di competere in
qualunque mercato. Il successo in Paesi difficili e lontani come l'India e la
Cina lo dimostra.
Nel mondo c'è domanda di Italia, dei nostri prodotti, del nostro stile di vita. Avverto forte questo desiderio anche in Turchia. Sta a noi rispondere al meglio a questa domanda. Per aumentare la loro presenza in questo Paese le nostre imprese hanno bisogno di condizioni favorevoli all'insediamento produttivo.
La Turchia ha già compiuto significativi progressi, attraverso l'adozione di
riforme strutturali e di politiche macroeconomiche coerenti, d'intesa con le
Istituzioni Finanziarie Internazionali.
I risultati non si sono fatti attendere: crescita annua del reddito superiore al
9%, la più alta tra i Paesi OCSE; inflazione al livello più basso da trent'anni;
aumento della spesa per gli investimenti; ribasso dei tassi di interesse; avanzo
primario in continua crescita; incremento delle esportazioni.
Questi successi sono stati accompagnati da misure coraggiose, ad alto
significato simbolico, come l'introduzione della nuova lira turca,
favorevolmente accolta dai mercati valutari.
La Turchia soffre ancora di alcuni elementi di debolezza, che ha ereditato
dal passato.
Elevato debito pubblico, deficit esterno e un afflusso di capitali
prevalentemente a breve termine rendono la Turchia vulnerabile all'andamento dei
tassi di interesse e fortemente dipendente dalle aspettative degli investitori.
La scarsa produttività del settore agricolo, che contribuisce solo al 12 per
cento del PIL mentre assorbe un terzo della forza lavoro, l'insufficiente
concorrenza in alcuni settori d'investimento, le rigidità che ancora sussistono
nei mercati limitano la capacità di esportazione e frenano gli investitori
stranieri.
La Turchia pesa nel commercio esterno dell'Unione Europea solo per il 3,5%,
nonostante che gli scambi bilaterali siano raddoppiati dopo l'entrata in vigore
dell'unione doganale. Tra il 2002 e il 2004 è riuscita ad attirare solo una
frazione degli investimenti che si sono indirizzati verso altri Paesi
dell'Europa sud-orientale.
Questi dati non riflettono il grande potenziale della Turchia.
Sono certo che la ritrovata stabilità contribuirà ad attirare volumi ben più significativi di investimenti esteri a lungo termine, indispensabili per ridurre la vulnerabilità agli shocks esterni, ad accrescere il peso delle produzioni ad alto valore aggiunto, a stimolare l'occupazione, ad aumentare la propensione all'esportazione e consolidare i legami con i mercati esteri.
Vi sono evidenti analogie tra la prova che attende la Turchia e l'esperienza
già vissuta dall'Italia.
L'Italia ha anch'essa trasformato un'economia prevalentemente agricola in una
solida e moderna economia industriale. In questa impresa, l'ancoraggio europeo
è stato l'elemento determinante, l'obiettivo che ha consentito di tenere dritta
la barra attraverso le successive fasi di trasformazione.
Nei primi anni Novanta il governo che allora presiedevo avviò, sotto l'occhio
attento dell'Europa, la privatizzazione delle grandi imprese e banche pubbliche,
così come sta ora facendo il governo turco.
Solo quindici anni or sono l'economia italiana era caratterizzata da
instabilità finanziaria, crisi valutarie, deficit esterno; il servizio del
debito pubblico era un fardello reso particolarmente gravoso dagli elevati tassi
di interesse, che sono giunti ad assorbire il 13% del PIL. La prospettiva della
partecipazione all'Unione Monetaria impose un risanamento che ha dato al Paese
stabilità, una moneta solida, inflazione moderata e un costo del denaro
storicamente basso.
La straordinaria capacità del progetto europeo di galvanizzare le energie e orientare le risorse verso lo sviluppo si sta già manifestando anche in Turchia; è riflessa nel balzo dell'indice telematico della Borsa di Istanbul il giorno dopo l'annuncio dell'avvio dei negoziati per l'adesione all'Unione Europea.
Signore e Signori,
il compito che la Turchia si è assunto è un compito gravoso. Le richieste
dell'Unione Europea sono necessariamente severe. Lo sono per tutti e non
consentono sconti. Ad esse va data puntuale e piena applicazione.
Il completamento del processo di riforma non serve solo a conformarsi con le regole dell'Unione Europea: è nell'interesse stesso della Turchia. La modernizzazione del sistema produttivo e del quadro normativo di riferimento va portata avanti a prescindere dall'andamento dei negoziati per l'adesione all'Unione; è necessario per rendere la Turchia più forte, più ricca, più stabile.
In uno scenario internazionale caratterizzato da profonde incognite, in cui
l'interdipendenza dei mercati amplifica gli effetti delle scelte di politica
economica, nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità.
Non può farlo la Turchia: se vuole continuare a crescere ai ritmi attuali, deve
porsi in grado di competere in un mercato globale nel quale irrompono
continuamente nuovi e agguerriti protagonisti. Non può farlo l'Unione Europea,
che ha a sua volta bisogno di compiere scelte importanti - politiche ed
economiche - se vuole tenere il passo con il XXI secolo.
L'Italia crede nella Turchia. Lo dimostra la mia visita di Stato. Lo dimostra
la presenza in questa sala di centinaia di esponenti delle principali
istituzioni imprenditoriali e finanziarie italiane, di grandi, medie e piccole
imprese, in rappresentanza di un fatturato globale superiore ai 400 miliardi di
dollari.
Queste imprese sono qui per esplorare forme concrete di cooperazione industriale
e finanziaria, per condividere tecnologie, per partecipare allo sviluppo delle
infrastrutture, per conquistare insieme alle imprese turche i mercati vicini.
Sono qui per cogliere le grandi opportunità offerte dal vostro Paese.
Sono lieto di apprendere che il Dipartimento della Protezione Civile, le Associazioni organizzatrici del Forum Economico e molte delle imprese italiane qui presenti hanno assicurato la loro adesione al progetto di restauro di Villa Tarabya, sul Bosforo, che potrà divenire un punto di riferimento prestigioso per le attività italiane in Turchia.
Il Presidente della Repubblica Sezer, il Primo Ministro Erdogan e il
Presidente della Grande Assemblea Nazionale Arinc mi hanno tutti espresso la
volontà della Turchia di sviluppare i rapporti con l'imprenditoria italiana e
la loro fiducia nella capacità dell'Italia di contribuire allo sviluppo
dell'economia turca.
Io condivido questa fiducia.
Dimostrare che è ben riposta è compito di Voi imprenditori, turchi e italiani.
Nell'augurarVi un proficuo proseguimento dei lavori, rivolgo a tutti l'invito ad
affrontare insieme la sfida mondiale della competitività, a preparare con
spirito creativo l'avvenire, ad investire insieme nel futuro.