INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA SEDUTA DEL
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
PER L'ELEZIONE DEL NUOVO PROCURATORE GENERALE
PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Roma, Palazzo dei Marescialli, 26 aprile 2006
Invio al Dottor Mario Delli Priscoli le più vive felicitazioni per la nomina
a Procuratore Generale della Corte di Cassazione e formulo a lui i più fervidi
auguri di buon lavoro per lo svolgimento delle altissime e particolarmente
delicate funzioni alle quali è stato chiamato.
A nome di tutto il Consiglio e mio personale, sento di dover rivolgere al Dottor
Francesco Favara - che il prossimo 29 aprile lascerà l'incarico - sentimenti di
viva e sincera gratitudine per l'intelligenza, la cultura e soprattutto per
l'appassionato impegno di cui ha dato prova nei sei anni durante i quali è
stato al vertice degli Uffici requirenti della Magistratura italiana
Ho presenti in modo particolare la serenità, l'acume e la profondità delle
analisi che hanno caratterizzato le sue documentate e penetranti relazioni
annuali sull'amministrazione della giustizia, nelle quali ha messo a fuoco le
problematiche più rilevanti ed ha avanzato concrete proposte di soluzione,
soprattutto con riferimento al valore costituzionale della ragionevole durata
del processo. Le sue relazioni possono ancora rappresentare un saldo punto di
riferimento per la riflessione di tutti gli operatori della giustizia.
Nella sua qualità di Procuratore Generale della Corte di Cassazione, il Dottor
Favara - con il Vice Presidente, Onorevole Rognoni, e con il Primo Presidente
della Corte di Cassazione, dott. Marvulli, al quale va il mio saluto più
affettuoso e grato - è stato componente del Comitato di Presidenza del
Consiglio Superiore, struttura fondamentale di impulso e di coordinamento
dell'attività del Consiglio, Comitato che non mi ha mai fatto mancare la
collaborazione più attiva e il più costruttivo sostegno per l'esercizio delle
mie funzioni di Presidente dell'Organo di autogoverno.
In questa occasione, desidero rivolgere al Vice Presidente, Professor Virginio
Rognoni - al quale mi legano da gran tempo sentimenti di stima sincera - il mio
più vivo apprezzamento e la mia gratitudine, sia per l'attento e puntuale
ausilio che mi ha fornito per la comprensione dei temi di volta in volta
affrontati, sia per l'autorevolezza e l'equilibrio con i quali - in piena
sintonia con me - ha presieduto il Consiglio anche nei momenti più delicati. A
lui rivolgo l'invito a estendere il mio ringraziamento anche al Segretario
Generale, dottoressa Donatella Ferranti, ai magistrati e al personale
amministrativo che, in questi anni, hanno collaborato con grande dedizione alle
attività del Consiglio.
Ho avuto chiaro, fin dai miei primi atti di Presidente della Repubblica, il
ruolo essenziale e insostituibile del Consiglio Superiore per l'attuazione di
principi e norme fondamentali della nostra Costituzione, quali l'autonomia e
l'indipendenza della Magistratura. Nel rivolgermi a voi, all'atto del vostro
insediamento, il 1° agosto 2002, dissi testualmente: "Spetta al Consiglio
Superiore della Magistratura vigilare sulla tutela di questi principi
fondamentali e irrinunciabili. Per quanto sta in me, sarò sempre garante - come
Capo dello Stato prima ancora che come Presidente del Consiglio Superiore della
Magistratura - dell'autonomia e dell'indipendenza dell'Ordine giudiziario da
ogni altro potere, nonché della dignità dei singoli magistrati e della loro
funzione. E sarò garante del ruolo e delle prerogative del Consiglio Superiore
della Magistratura. Sono convinto che l'attività di ogni magistrato può essere
svolta con serenità, nella fiducia dei cittadini e a presidio della loro
libertà, solo quando egli sa di poter contare sulla determinazione di chi deve
difendere la sua indipendenza, con la consapevolezza che tale difesa non ha
finalità corporative, in quanto volta soltanto ad assicurare una reale garanzia
di giustizia".
Non credo di poter trovare parole diverse per esprimere questi concetti, nei
quali continuo a riconoscermi pienamente.
Il valore fondamentale del dialogo fra i poteri dello Stato ha costituito una
costante linea guida della mia azione e più volte mi sono intrattenuto con voi
su questo tema di grande importanza, mettendo in evidenza che la stabilità
delle Istituzioni si fonda sulla divisione dei poteri e sul rispetto pieno e
reciproco delle funzioni di ciascuno.
Ho sempre sottolineato, a questo riguardo, che le pronunce degli Organi
giudiziari, di ogni ordine e grado, possono essere criticate anche con toni
forti ma che l'esercizio del diritto di critica, non deve mai tradursi in prese
di posizioni che possano suonare delegittimazione della Magistratura.
Lasciate che citi, su questo tema di così grande rilievo, le parole di una
Persona alla quale ero legato da sentimenti di profonda stima e sincera
amicizia, il compianto Pontefice Sua Santità Giovanni Paolo II; parole da lui
pronunciate in occasione dell'udienza ai partecipanti al Congresso
dell'Associazione Nazionale Magistrati il 31 marzo 2000: "E' in questo
quadro che acquista grande significato anche la distinzione dei poteri tipica
dello Stato democratico moderno, nel quale il potere giudiziario è posto
accanto ai poteri legislativo ed esecutivo, con una sua funzione autonoma,
costituzionalmente protetta. Il rapporto equilibrato tra i tre poteri, operanti
ciascuno secondo le proprie specifiche competenze e responsabilità, senza che
l'uno prevarichi sull'altro, è garanzia di un corretto svolgimento della vita
democratica.
Compito della Magistratura è di rendere giustizia, dando attuazione piena ai
diritti e ai doveri riconosciuti e di offrire tutela agli interessi protetti
dalla legge nel quadro dei valori etici fondamentali, che in Italia, come
normalmente avviene negli Stati democratici del nostro tempo, sono iscritti
nella Costituzione e costituiscono la base civile e morale della convivenza
organizzata".
Per la tutela del prestigio e della dignità dei Magistrati, che sono corollari
dell'autonomia e dell'indipendenza dell'Ordine giudiziario, è fondamentale,
accanto all'esercizio consapevole delle funzioni di tutela da parte del
Consiglio Superiore, curare con particolare attenzione la formazione dei
Magistrati, come premessa indispensabile per consentire loro di acquisire
profonda coscienza della loro funzione e per raggiungere il risultato di una
maggiore efficienza del servizio.
Sul versante della formazione, il Consiglio Superiore ha ben meritato, curando
l'aggiornamento culturale del magistrato lungo l'intero arco della sua vita
professionale e imponendogli periodiche rivisitazioni delle esperienze
accumulate. Il Consiglio ha dedicato al tema la Relazione al Parlamento
approvata nel 2004 e ha fatto sì che sempre più incisiva fosse la diffusione
di una comune cultura della giurisdizione fra i magistrati europei, facendosi
promotore e soggetto trainante della costituzione della Rete europea dei
Consigli superiori di Giustizia.
Una specifica sottolineatura merita, a questo proposito, l'attività di
formazione e aggiornamento che il Consiglio ha rivolto ai magistrati non
professionali e ai giovani uditori. Con i giovani uditori ho avuto al Quirinale
quattro incontri. Nei loro volti ho visto entusiasmo, passione civile e
consapevolezza della importanza dei compiti che si accingevano a svolgere. Fate
di tutto per preservare tali sentimenti e per guidare questi giovani con ogni
cura nel periodo in cui iniziano a calare le loro conoscenze teoriche nella
difficile realtà giudiziaria.
Varie volte ho ricordato la delicatezza che assume, per più versi, la tematica
relativa ai dirigenti degli uffici giudiziari. La loro nomina, la loro
"promozione" debbono essere il risultato di una seria e approfondita
valutazione e non configurarsi mai come una sorta di "atti dovuti"
sulla base di puri e semplici dati anagrafici o di anzianità ovvero di semplice
assenza di demerito.
Su questo campo e, più in generale, su quello dell'amministrazione della
giurisdizione, e, segnatamente, della gestione dei trasferimenti e delle nomine,
il Consiglio ha incontrato difficoltà. Ci sono state delle lentezze che il Vice
Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e il Primo Presidente
della Corte di Cassazione hanno addebitato anche ai condizionamenti di logiche
correntizie che hanno imposto "pause, frenate e mediazioni faticose ben al
di là della pur necessaria dialettica". Capisco, condivido, auspico
l'esercizio della dialettica; comprendo le "affinità elettive", ma
non "discipline di gruppo" che tendano a influenzare le valutazioni
dei singoli.
Il Consiglio si è impegnato e si sta impegnando sul versante organizzativo
attraverso attività di monitoraggio e di rilevazione statistica dei carichi
degli uffici in rapporto ai dati strutturali e alla consistenza degli organici,
così come sul versante della diffusione della cultura informatica con
particolare riferimento al processo telematico.
Questo impegno va comunque intensificato perché i risultati ottenuti finora,
purtroppo, non possono essere considerati soddisfacenti, avuto riguardo al
"problema dei problemi" della giustizia: quello della durata del
processo.
Non si ripeterà mai abbastanza che la giustizia ritardata è giustizia
denegata, con grande perdita di fiducia da parte dei cittadini.
Sta per concludersi il mio mandato presidenziale e debbo dichiarare che il mio
più grande rammarico è quello di non aver visto avviato a soluzione questo
problema che obiettivamente incide sulla credibilità stessa dello Stato.
Il ruolo del Consiglio Superiore è fondamentale anche in questo campo,
attraverso il monitoraggio delle ricadute delle leggi sull'attività giudiziaria
e il conseguente esercizio della sua facoltà di esprimere pareri e di formulare
proposte all'interlocutore naturale, che è il Ministro della giustizia,
facoltà che ho sempre ritenuto connaturata alle funzioni essenziali dell'Organo
di autogoverno. Tale facoltà è da esercitare con profondo, leale spirito
collaborativo e nella consapevolezza del suo limite consultivo.
Il Consiglio Superiore non può esimersi da un'opera di attenta vigilanza sul
momento deontologico dell'attività dei magistrati. Più volte ho affermato, e
lo ribadisco in questa occasione di commiato, che il magistrato non soltanto
deve essere indipendente ed autonomo, ma deve anche apparire tale, adeguando a
questa esigenza il suo comportamento in ogni situazione, anche al di fuori
dell'esercizio delle sue funzioni. La giustizia è connotato essenziale della
vita dello Stato e in essa forma e sostanza debbono necessariamente coincidere.
Lo ha detto con forza anche il Primo Presidente della Corte di Cassazione,
Marvulli, nella sua relazione di inaugurazione dell'Anno Giudiziario 2006.
L'intangibilità dei principi di autonomia e indipendenza della Magistratura
deve essere sempre fuori discussione. Ma le norme dettate dalla Costituzione
affinché i magistrati possano svolgere senza condizionamenti i loro compiti non
debbono divenire motivo di orgoglio esteriore.
Debbono, anzi, spingerli ad assolvere con senso di responsabilità, con solerzia
e doveroso riserbo l'alta funzione di interpretazione e applicazione della
legge. Il magistrato deve "parlare con i suoi atti" ed essere
consapevole dei limiti che le norme etiche, non solo quelle scritte, impongono
alle sue presenze e ai suoi comportamenti anche fuori delle aule di giustizia.
Il giusto orgoglio di essere magistrato, coniugandosi con la riservatezza e
l'umiltà nell'esercizio del suo alto ufficio e nella sua stessa condotta di
vita, troverà rispondenza nella stima e nel rispetto dei propri concittadini.
Il Paese deve poter contare sulla serenità, sulla riservatezza e sul superiore
equilibrio del magistrato. Per questo è necessaria una particolare attenzione
alla necessità di non alimentare tensioni, evitando reazioni emotive anche
davanti ad attacchi ritenuti ingiusti, diretti sia a singoli magistrati sia
all'intero Ordine giudiziario. Da sempre i magistrati hanno mostrato coraggio
civile e fisico: lo attesta il lungo, glorioso elenco di coloro che sono giunti
al sacrificio della vita per garantire la legalità. La sala delle conferenze di
questo palazzo è stata dedicata, il 15 luglio 2002, alla "memoria di
magistrati uccisi nell'adempimento del loro dovere". Fui presente a quella
cerimonia come a quella dell'11 febbraio 2005 nel corso della quale fu celebrato
il XXV° Anniversario dell'omicidio di Vittorio Bachelet, Vice Presidente del
Consiglio Superiore, cui quest'aula è intitolata.
La giustizia è valore fondante della nostra democrazia. Per averla difesa, quei
magistrati e lo stesso Vittorio Bachelet furono assassinati.
Tutto questo ho voluto dirvi nel momento, non scevro di commozione, che segna il
mio ultimo incontro con Voi. Al commiato unisco un sentito ringraziamento per
gli apprezzamenti e la stima che, spesso con affetto, avete voluto manifestarmi.