Ti ringrazio molto Prokopīs per la tua amicizia, ma desidero ringraziarti molto anche per l'accoglienza e per aver organizzato così bene questo nostro incontro, e per averlo fatto scegliendo come base il tema della solidarietà. La solidarietà è il valore fondante dell'Unione, è il motivo che ha fatto avviare il processo di integrazione settant'anni fa, ed è il motivo dell'ampliamento che si è progressivamente realizzato nell'integrazione.
L'alternativa alla solidarietà tra Paesi o tra persone nel nostro continente, come altrove, rischia di essere soltanto quella che si esprime - come ieri davanti alla Sinagoga di Halle, o come tante volte è avvenuto in Paesi del nostro e di altri continenti - con la violenza terroristica e con l’odio vicendevole.
L'Unione è anzitutto una comunità di valori, non è un comitato di interessi.
Se l'Unione si riducesse a una comunità di interessi, il legame che la tiene insieme non reggerebbe a lungo senza il continuo riferimento - di interpretazione di fatti, di avvenimenti, di comportamenti e di guida - alla solidarietà.
Mi permetto di proporvi qualche riflessione sui due temi che sono stati indicati, quello della crisi economica e quello dei rifugiati, delle migrazioni.
Ovviamente non c'è il tempo di riprendere tutti gli argomenti così importanti che nei vari interventi sono stati posti in evidenza, né di sviluppare adeguatamente le considerazioni, che richiederebbero poi una ulteriore argomentazione.
Vorrei partire dal primo tema, quello della crisi economica. L’integrazione economico- finanziaria per l'Unione è sempre stato un terreno fondamentale e impervio, caratterizzato da sperimentazioni costanti.
L’unione economica e monetaria è una sorta di cartina tornasole, di elemento di valutazione della condizione della costruzione europea e indica, in realtà, la fragilità di questa costruzione.
Gli ultimi anni hanno manifestato come l’unione economica e monetaria nell’Unione sia un cantiere aperto: la sua architettura ha bisogno di essere completata e consolidata, per la stabilità economica e il benessere per i nostri cittadini, facciano parte o non della zona dell'euro, perché le economie sono strettamente intrecciate.
L'Unione del resto ha bisogno di quel livello di ambizione di cui ha parlato il nostro amico Presidente della Bulgaria e ha bisogno anche di tener conto della condizione di congiuntura economica sfavorevole di cui ha parlato la Presidente croata.
L'Unione ha bisogno di disporre di una completa cassetta degli attrezzi di fronte a un orizzonte internazionale che volge verso prospettive negative, con grandi tensioni commerciali crescenti e con una congiuntura economica che evolve negativamente. Rispetto a questo problema, la dicotomia che sovente viene sottolineata nella vita dell'Unione, tra riduzione dei rischi e condivisione dei rischi, è artificiale. Le due esigenze, i due obiettivi, in realtà, si rafforzano l’un l'altro. Dobbiamo sforzarci di superare le diffidenze reciproche e capire che su questo piano, su questo tema, con la riforma dell'unione economica e monetaria e il suo completamento si ha l'occasione per mettere in campo il valore aggiunto dell'integrazione dell’Unione europea.
Credo che occorra sviluppare una politica fiscale che abbia una duplice finalità: nel breve periodo quella di stabilizzazione e, nel medio-lungo periodo, quella di crescita. Quest’ultima richiede investimenti in settori fondamentali: le infrastrutture fisiche e informatiche, la ricerca, la transizione energetica, l'intelligenza artificiale. Tutti temi già evocati questa mattina nei vari interventi, ma tutti temi sui quali i nostri Paesi da soli, ogni Paese da solo, non è in condizione di muoversi adeguatamente.
C'è una dimostrazione inequivocabile dell’esigenza di integrazione crescente. Nel mondo non c'è più alcuna impresa europea che compaia ai primi posti nelle aziende con maggiore capitalizzazione. Questo significa che occorre recuperare da parte dell'Unione un ruolo che l'architettura incompleta sul piano economico e finanziario non le consente ancora.
Completare questa architettura significa anche sviluppare un sistema di garanzie sociali. Non in tutti i Paesi la disoccupazione è un problema. In molti Paesi lo è ancora fortemente. Ma in tutti i Paesi, o in quasi tutti, in questi anni sono cresciute le diseguaglianze e questo contribuisce a creare una condizione di insicurezza e di incertezza percepita da molti nostri concittadini.
Io spero che l’avvio di questo nuovo ciclo istituzionale dell'Unione rafforzi ulteriormente l'attenzione verso la dimensione sociale dell'Unione dando concretezza al pilastro europeo dei diritti sociali. Soltanto così si può recuperare anche - come sta avvenendo, per fortuna - in maniera massiccia il consenso dei cittadini europei nei confronti dell'Unione.
Sul fenomeno migratorio va posta, al centro del problema, l'attenzione ai valori fondanti dell'Unione. Dobbiamo insieme costruire strumenti adeguati per una gestione comune del fenomeno, naturalmente una gestione sostenibile dai vari Paesi, dall’Unione nel suo complesso, ma una gestione comune; non la rimozione del problema o il tirarsene fuori. Perché questo esporrebbe l'Europa nei prossimi decenni a essere travolta dal fenomeno migratorio. Non soltanto i Paesi di primo ingresso, ma tutti i Paesi dell'Unione.
Occorre una gestione sostenibile, certamente, ma che sia una gestione comune, che abbia la capacità di affrontare e governare il fenomeno. Sono proprio i grandi numeri che l'amico presidente ungherese poc'anzi ha citato che ci ricordano che il fenomeno va affrontato per governarlo, perché se non viene governato diventerà una condizione che travolgerà qualunque equilibrio nel nostro continente.
Naturalmente rimane anzitutto il dovere morale di salvare vite umane e quello di cancellare questo ignobile traffico di esseri umani che è un costante rimprovero alle nostre coscienze.
Nei giorni scorsi i ministri dell'interno di Germania, Francia, Malta e Italia si sono riuniti a Malta avanzando una proposta all'Unione che, naturalmente, tiene conto che le rotte dei migranti sono diverse e che, in questo momento, la rotta principale, quella più battuta, quella con maggiori flussi, è quella orientale, che riguarda la Grecia, la Bulgaria, il settore orientale.
Ma per questo occorre una gestione comune dell'Unione che tenga conto complessivamente dei problemi e trovi un punto d'incontro per una soluzione che sia dell'Unione. Che lo sia nel sostegno ai Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, sviluppando le risorse del fondo fiduciario per l'Africa. Che attribuisca all’Unione europea il compito dei rimpatri di chi non merita asilo,perché nessun Paese singolo è in condizione di farlo in maniera davvero efficace. Che preveda una ripartizione degli arrivi in maniera da poter gestire tutti, in maniera collaborativa, un fenomeno di questa portata. E infine ipotizzando e realizzando canali legali di accesso che consentano di gestire in maniera sostenibile il fenomeno, scoraggiando così l'affidamento ai trafficanti di esseri umani.
Sono le cose che poc'anzi ha ricordato il Presidente irlandese, sul ruolo che nei nostri Paesi ha avuto l’emigrazione, che inducono anche a tener conto che senza una assunzione complessiva come problema comune, da parte dell’Unione, nessuno potrà risolverlo, ma ne avremmo tutti conseguenze negative.