Rivolgo a tutti un saluto di grande cordialità.
Sono davvero lieto di trovarmi a Livorno, in questo splendido teatro, con tanti ragazzi.
Saluto il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, il Sindaco e tutti i livornesi attraverso di lui.
Sono lieto di trovarmi qui in questo anno centenario della nascita di uno dei suoi cittadini più illustri, venuto alla luce il 9 dicembre 1920 a pochi passi da questo teatro Goldoni, nella casa di corso Amedeo.
Saluto con molto affetto i familiari del Presidente Ciampi, ringraziandoli per la loro presenza.
Carlo Azeglio Ciampi può, a buon titolo, essere definito l'uomo dell'orizzonte comune.
Nella sua vita professionale, nel lungo servizio prestato, con grande integrità, alle istituzioni della Repubblica, ha sempre avuto chiaro un obiettivo: quello della coesione e della unità del nostro Paese.
Ormai prossimo alla scadenza del suo mandato presidenziale, ne volle fare espresso riferimento il 25 aprile 2006, in occasione del 61° anniversario della Liberazione, citando il compito al quale aveva giurato di non venire mai meno, quello di “essere garante della libertà dei cittadini e dell'unità della Patria”.
Un giuramento, continuò – come confidandosi con i suoi concittadini - che “è stato costantemente l'ispirazione del mio agire”.
“Ho chiara nella mente un'idea di Italia, che so condivisa dai miei compatrioti”, aggiunse. “Un filo ideale ininterrotto – diceva - unisce gli eroi del Risorgimento, e i soldati che combatterono la Grande Guerra come ultima guerra risorgimentale, ai protagonisti della lotta di Liberazione che pose fine all'infausto ventennio della dittatura fascista, complice la Monarchia”.
Un'idea dell'Italia alla quale si coniugava, a suo giudizio “una idea dell'Europa, che la nuova Italia democratica e repubblicana ha fin dall'inizio contribuito a costruire. Animava i padri fondatori della Comunità Europea una risoluta volontà di pace, sola via di salvezza per i popoli europei, per la civiltà che insieme hanno creato, e che avevano rischiato di distruggere”.
Per poi concludere: “L'Europa unita e libera, non meno dell'Italia libera e unita, è la Stella Polare che fino ad oggi ha guidato il mio cammino”.
Un tema ripreso più volte nel percorso di congedo dalla funzione cui era stato chiamato dal Parlamento nel 1999.
Nel messaggio agli studenti per l'apertura dell'anno scolastico, al complesso monumentale del Vittoriano, il 20 settembre 2005, il presidente Ciampi richiamava identità italiana e identità europea citando Benedetto Croce che, in un'Italia ancora sofferente per le ferite della guerra – era il 1949 - proponeva ai giovani questa considerazione: “L'amore per la Patria non consiste in gelosia e odio verso le altre Patrie, ma nella purezza degli ideali, nel congiungimento con quanto la Patria compì nel passato e può e deve compiere nel presente per promuovere l'umanità degli uomini, la civiltà della società”.
Dunque la acuta consapevolezza che non può esistere ragion di Stato che possa opprimere gli uomini, i popoli, altri popoli.
Il suo vissuto, quello di un ufficiale dell'Esercito Italiano nella cesura rappresentata dall'8 settembre del 1943, lo porterà, mezzo secolo dopo, a una lettura meditata di quel passaggio storico: non la morte della Patria come ipotizzato da taluno, ma, al contrario, la sua rinascita. Azzerando così ogni ipotesi speculativa che pretendesse necessario ricostruire un'identità nazionale italiana dopo la guerra, per di più a prescindere, se non contro, l'eredità antifascista.
La parabola che lo vedrà impegnato, prima al governo e poi alla più alta magistratura della Repubblica, risulta, davvero, come ha avuto modo di osservare il prof. Gentiloni Silveri, conseguente alle sue scelte di vita.
Ciampi parlerà della Costituzione come della sua “Bibbia civile”. Ce lo ha ricordato poco fa il prof. Emanuele Rossi.
“E' il testo – confiderà – su cui ho riflettuto in ogni momento difficile” del settennato, offrendo di sé l'immagine che preferiva: ”Non sono mai stato – ebbe a dire - un uomo politico, ma soltanto un cittadino al servizio dello Stato”.
In effetti fu il primo presidente della Repubblica eletto al di fuori dei membri del Parlamento.
Carlo Azeglio Ciampi aveva trascorso larga parte della sua esistenza all'interno della Banca Centrale del nostro Paese, sino a divenirne Governatore.
Un tecnico, si sarebbe dunque potuto dire, se non fosse stato per la atipicità della sua formazione, non di economista.
La sua esperienza lo portò a privilegiare un lavoro di squadra, di ampia consultazione dei tecnici, avendo tuttavia sempre ben presente, come ebbe a sottolineare, “la differenza tra conoscenza e atto volitivo”.
E i suoi gesti parlano da soli, nel senso di una sapiente assunzione di responsabilità negli atti di cambiamento sistemico ai quali ebbe modo di concorrere.
Vale per l'apporto che diede nel 1981, da Governatore, a una nuova “Costituzione monetaria”, con il noto divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca centrale, a favore di un processo di disinflazione che consolidasse l'economia e difendesse i risparmi.
Vale ancora per il contributo offerto da Ciampi alla definizione delle regole europee in materia di cooperazione monetaria, finanziaria ed economica, riguardo alle quali lamentò sempre la timidezza con cui ci si incamminò sulla strada di una vera e propria Unione.
Una pagina di amarezza fu, per lui, la tempesta monetaria nell'autunno del 1992.
La speculazione contro la valuta del Regno Unito coinvolse ben presto anche la lira italiana e il franco francese.
Il venir meno di impegni assunti dalla Bundesbank portò alla uscita di lira e sterlina dal Sistema Monetario Europeo e alla loro svalutazione.
Ciampi non esitò a trarre conseguenze da quella vicenda, rassegnando al Ministro del Tesoro, Piero Barucci, le dimissioni da Governatore della Banca d'Italia, quattordici anni dopo la sua nomina. Dimissioni che furono prontamente, doverosamente e saggiamente respinte.
A questo uomo dei tempi difficili, di lì a pochi mesi, nel pieno di una crisi politica profonda, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, affidò il compito di formare il governo.
Fu una stagione di grande tensione, accompagnata da attentati terroristici di gravissima portata, da quello dei Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), all'autobomba fortunatamente non esplosa il 2 giugno successivo, a Roma, nei pressi di Palazzo Chigi, alle bombe del 27 luglio a Milano, in via Palestro e ancora a Roma a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano.
La violenza stragista mafiosa si configurò come vera e propria emergenza nazionale.
Un clima che lo portò a temere, in quel mese di luglio, sviluppi di carattere eversivo.
La ridefinizione del quadro internazionale in quegli anni, a seguito della fine della “Guerra fredda”, e la ridefinizione della situazione politica interna, non fecero trascurare al suo governo il percorso di modernizzazione dell'Italia e la sua progressiva integrazione nella comunità economica e finanziaria internazionale, con il Patto sociale per la crescita, siglato in quello stesso luglio del 1993.
Le istituzioni della Repubblica seppero, ancora una volta, contrastare con successo, con la sua guida, logiche di disfacimento del tessuto connettivo del Paese.
La politica di concertazione – come sarebbe stata poi definita – proponeva un metodo e conteneva scelte lungimiranti, puntando, fra l'altro, sulla capacità di crescita della produttività della base industriale italiana, ottenendo significativo credito internazionale.
Quel credito pose le premesse per il successo che conseguì da ministro del Tesoro, alla fine del 1996, con il rientro della lira italiana nello SME e poi con l'ingresso nell'Euro.
Sullo sfondo era la profonda convinzione di Ciampi che l'Italia dovesse avere l'ambizione di darsi un orizzonte comune: rappresentanze sociali, imprenditoriali, istituzioni, anche guardando all'esempio offerto dalla Repubblica Federale di Germania.
Con il prevalere del senso di responsabilità, quella che Ciampi sollecitava a tutte le parti in gioco, continuamente, in vista, appunto, dell’orizzonte comune.
Era una visione di Italia coesa e unita contro ogni scetticismo e rassegnazione.
Fu un metodo, quello dei “patti”, che sviluppò anche a livello territoriale, nella sua esperienza alla guida del Ministero del Tesoro.
In quel Ministero, coerentemente con la sua visione, sviluppò una continua azione per la coesione sociale.
E coerentemente con la sua visione, in una fase in cui nel dibattito politico si accentuò l'uso dell'espressione “secessione” - a significare una divaricazione crescente tra le diverse parti della nazione - da presidente della Repubblica Ciampi intensificò il dialogo con i territori, lanciando l'iniziativa di incontro con le 100 provincie d'Italia.
Una maratona faticosa, impegnativa, importante, che lo pose in ascolto e a confronto con le realtà locali, ribadendo con fermezza uno dei suoi credo, quello della unità dell’Italia.
Non abbandonò mai anche il dialogo con le parti sociali. Ad esempio incontrando al Quirinale, nel gennaio del 2002, i segretari generali dei sindacati confederali sul tema delle pensioni e del mercato del lavoro, così come, nell'aprile dell'anno successivo, i promotori di un referendum riguardante lo Statuto dei lavoratori. Due incontri - nel 2002 e nel 2003 -che sottolineavano la sua costante attenzione, da Capo dello Stato, ai temi sociali del nostro Paese.
Nel medesimo discorso del 25 aprile 2006, il presidente Ciampi sui risultati di questo lavoro così testimoniava: “è scorsa davanti ai miei occhi l'immagine di un Paese molto più unito, molto più omogeneo, nei suoi sentimenti e nelle sue scelte, di quanto farebbe pensare l'eccessiva asprezza degli scontri politici di vertice. Tutto ciò mi ha dato forza per affrontare ogni nuova difficoltà, ogni momento di crisi, operando come mi suggeriva la Costituzione, come mi dettava la coscienza”.
Carlo Azeglio Ciampi fu un tenace sostenitore del multilateralismo in ambito internazionale e, in esso, di un ruolo per l'Europa, la cui unità gli appariva “come l'approdo di un lungo percorso di civiltà”.
Rivolgendosi agli studenti, il 20 settembre del 2005, ammoniva: “Noi europei dobbiamo dare forza e voce alla nostra presenza costruttiva sullo scenario internazionale. Proporre al mondo il nostro progetto di sviluppo, di affermazione della libertà e della dignità di ogni persona, di tutti i popoli”.
E ricordava, al tempo stesso, “nella nostra cultura millenaria abbiamo dato prova della capacità di accogliere, di elaborare e di esprimere, valori etici che superano l'esame del tempo, che altri popoli a loro volta hanno saputo fare propri”.
“Geografia e storia – aggiungeva – hanno posto l'Italia al centro delle civiltà del Mediterraneo: un mare che ha unito, assai più di quanto abbia diviso, genti e culture. Tutte hanno lasciato la loro impronta nella nostra identità”.
“Questo scambio di culture si è nutrito di innumerevoli migrazioni” osservava e, riferendosi ai tanti studenti figli di altre terre, chiedeva ai giovani loro compagni di scuola:”Fate che la fiducia sia più forte della paura, il dialogo più forte dei timori che nascono dalle diversità”. “La Scuola, anche col vostro aiuto, contribuirà a renderli cittadini responsabili della Repubblica. Essi sono venuti per ricevere ma anche per dare”.
La crisi dei Balcani e in particolare del Kosovo fu, agli esordi della sua Presidenza, un banco di prova particolarmente delicato, seguito poi dall'attacco terroristico alle Torri gemelle di New York e dalla Seconda Guerra del Golfo.
In generale la politica estera rappresentò un ambito di impegno alto, in particolare su temi come la integrazione europea, il sostegno alle Nazioni Unite, il Medio Oriente, tanto da sollecitare da parte del presidente Ciampi, reiterate messe a punto nei confronti dei governi.
Sulla scorta degli esempi di Giovanni Gronchi - l’altro presidente della Repubblica di origine toscana -, e del suo immediato predecessore, Oscar Luigi Scalfaro, Ciampi ritenne di precisare al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuliano Amato, la necessità di essere informato prima che decisioni in materia di politica internazionale venissero assunte in sede governativa, per poter esprimere, anticipatamente “giudizi, esortazioni e valutazioni”, sottolineando così il contributo di garanzia del sistema delle alleanze e delle relazioni internazionali assicurato dalla Presidenza della Repubblica.
In modo ancora più puntuale si rivolse al successore di Amato, Silvio Berlusconi, nel febbraio del 2003, un mese prima dello scoppio della Seconda Guerra del Golfo, in Iraq.
“Conservo la speranza – scriveva al presidente del Consiglio – confortato dall'impegno attivo che i governi italiani hanno sempre assicurato al consolidamento del sistema multilaterale, che le Nazioni Unite riescano a mantenere la pace e la sicurezza internazionale ed ottenere l'eliminazione delle armi di distruzione di massa dall'Iraq”.
Dopo aver espresso apprezzamento per l'opera del governo diretta a tenere la crisi irachena in ambito Onu, il presidente Ciampi, nella stessa lettera, richiamava le linee di fondo della politica estera italiana “mantenute costanti nel volgere degli anni e dei governi”.
E le enumerava così: “il sostegno pieno al sistema delle Nazioni Unite; la complementarietà fra l'integrazione europea e il legame transatlantico, incarnato dall'Alleanza Atlantica e che venne definito, a ragione, una scelta di civiltà”.
E continuava: “Nella convinzione che queste finalità vadano perseguite l'una non a scapito dell'altra, riveste per i paesi europei una particolare importanza, per elevatezza di obiettivi e per la sua complessità, il processo di integrazione europea”.
E, infine, annotava – a proposito degli appuntamenti internazionali di quell'anno, che includevano il semestre di presidenza italiana della Ue – “Sono certo che il governo sarà all'altezza della grande tradizione europeista che l'Italia, insieme con le forze dinamiche e costruttive dell'Europa, ha contribuito a plasmare attraverso la coerenza e la continuità della propria politica”.
Un profilo che ha portato gli studiosi a definire l'esistenza di una “politica comunitaria della Presidenza della Repubblica”, suffragata anche dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, con il richiamo, all'art.117, dei vincoli relativi all'ordinamento comunitario.
Un ruolo attivo per un'Italia consapevole delle sue risorse e capace di intervenire nel contesto internazionale.
Di questa sua lezione troviamo ampie tracce anche nelle rare esternazioni successive che accompagnarono poi la sua attività di Senatore di diritto e a vita.
In una intervista ad Affari Internazionali, nel maggio del 2009, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, esortò la Repubblica a prendere parte a una avanguardia europea di “Stati determinati a non lasciarsi frenare dalle esitazioni e dalle contraddizioni di singoli Paesi”.
Nell'ottobre 2008, intervenendo in Aula al Senato sull'informativa del Ministro dell'Economia in tema di “sviluppi della crisi finanziaria in atto”, prese netta posizione avvertendo come un proprio “dovere dire ai cittadini italiani di avere tranquillità perché i risparmi investiti in depositi bancari e in titoli di Stato sono assolutamente sicuri...” perché “il nostro sistema è sostanzialmente stabile e di questo pure bisogna avere fiducia”, segnalando “l'occasione per fare un passo deciso nell'avanzamento europeo, sotto i profili del maggior coordinamento dell'azione europea. In particolare è necessaria una vigilanza bancaria su base europea”.
Sul piano delle iniziative legislative fu presentatore, come primo firmatario, del disegno di legge sulla istituzione della “Giornata del dono”, divenuto poi legge n.167, promulgata il 21 luglio 2015.
Una iniziativa basata sul secondo comma dell'art. 3 della Costituzione e che si proponeva di richiamare l'attenzione sul contributo che il dono reca “al pieno sviluppo della persona umana”.
Nella relazione illustrativa, il sen. Ciampi segnalava i valori primari di libertà e solidarietà, alla base dell'esperienza del dono.
Riflettere su questo tema – scriveva "significa contribuire al conseguimento di un più elevato grado di coesione del Paese e all'opera, mai conclusa, di formare un'identità nazionale sempre più matura”.
Ancora una volta si manifestava l’espressione della passione civile di un grande Italiano, al ricordo del quale la Repubblica rende omaggio.