Nel rievocare alcuni giorni fa il trentennale della Costituzione nello storico Palazzo Giustiniani dove essa fu promulgata, ho detto - e lo ripeto questa sera a voi diretti destinatari di quel messaggio - che la nostra Carta Costituzionale non è qualcosa di astratto, ma - resa più viva da trent'anni di lotte, di sacrifici e di lavoro - definisce una società libera e civile, che è quella in cui siamo e vogliamo rimanere; una società più ricca di solidarietà, che è quella in cui vogliamo vivere.
Eppure dobbiamo riconoscere e valutare con molto realismo il malessere profondo che si avverte nel Paese. Pesano su di noi infatti molti problemi non risolti. E non mi riferisco solo alla crisi della nostra economia, che presenta gravi fenomeni di disoccupazione e un Mezzogiorno drammaticamente bisognoso di sviluppo. Mi riferisco a un elemento più preoccupante, che si incunea nella coscienza popolare e rende tutto più difficile: la sensazione o la consapevolezza che non sempre ad ogni diritto riconosciuto ha corrisposto e corrisponde la possibilità di un suo effettivo esercizio; di qui pesanti delusioni e quindi, di riflesso, un affievolimento generale del senso del dovere.
Il diritto alla scuola, ad esempio. Davanti a questa grande conquista, voluta da tutti, quanto di non graduata previsione vi è stato, sia pure per una esaltante volontà di rinnovamento, che ha determinato non solo carenze nelle strutture, ma soprattutto impossibilità di predisporre quel collegamento tra scuola e mondo produttivo, tra insegnamento e sbocchi professionali che oggi rappresenta uno dei più drammatici nodi da sciogliere! La disoccupazione dei giovani, con la coscienza di un titolo acquisito, crea drammi familiari e pesanti frustrazioni.
E ancora: quando è stato sancito per tutti i cittadini il diritto all'assistenza sanitaria, non si è riusciti a predisporre, nell'ansia di allargare questo diritto alle varie categorie, l'adeguato e necessario complesso di presidi sanitari o ospedalieri, determinando le disfunzioni e i disagi che troppo spesso dobbiamo riscontrare.
Dunque, squilibri ve ne sono, in questi, come in altri settori. Ed è giusto chiedere che i diritti siano resi operanti con l'impegno e la decisione delle forze politiche. Ma occorre da parte di tutti realismo, solidarietà e fiducia. E quando voi chiedete alla classe politica, di darvi questa fiducia, ritenete di poter dire che ciascuno di voi la ritrovi innanzi tutto in se stesso? Rispetto ai problemi insoluti è pensabile porsi in una posizione di fatalistica attesa? e non verificare piuttosto se fino in fondo si compie il proprio dovere?
E qui il discorso si deve fare ancora più incisivo e senza equivoci. Spetterà proprio a quelli di noi, che hanno beneficiato in qualche misura del progresso degli anni trascorsi - quel progresso che la grave recessione ha interrotto specie dopo la drammatica crisi energetica - sopportare il peso dello sforzo necessario alla ripresa. Saranno ancora tempi di rinunzie e di sacrifici, indispensabili perché i disoccupati, i giovani, i poveri, gli emarginati possano trovare prospettive ragionevoli. E perché queste prospettive non appaiono illusorie, cominciamo intanto col non disperdere quello che abbiamo finora conquistato. Molti di voi, anche i più giovani, sanno che la società di oggi è certamente più giusta e progredita di quella che ci siamo lasciati alle spalle anche solo venti o dieci anni fa.
Rispetto a questa realtà, non ci dovrebbe essere spazio per quella sorta di compiaciuta indicazione del peggio che non aiuta nessuno e che costituisce solo un modo assurdo di deformare persino le cose buone che riusciamo a fare svilendo gli elementi di progresso.
Perciò fiducia in se stessi, spirito di solidarietà, disponibilità ai sacrifici, orgoglio di partecipare alla ripresa del Paese. E' su questa base che alla classe politica si deve chiedere qualcosa di ben preciso: un programma che nasca dalla forza del consenso e sia sorretto da un'autentica animazione democratica, diretto a predisporre un quadro organico per affrontare i modi della crisi.
E in questa prospettiva desidero sottolineare alcuni punti che considero essenziali. E' necessario che lo Stato abbia quadri nuovi e ben preparati in grado di assicurare una maggiore efficienza amministrativa; che vi sia un sistema fiscale che nella sua progressività sia più equo e non si appunti prevalentemente, come è accaduto specie in passato, sui redditi meno occultabili; che vi siano trattamenti retributivi che, a parità di lavoro e specializzazione, non presentino assurde divaricazioni (e qui l'azione dei sindacati può rivelarsi essenziale); che si affermi l'esigenza di valorizzare la professionalità e di lottare contro quelle forme di livellamento che spingono al disimpegno; che si crei, attraverso un imponente sforzo di previsioni e di riorganizzazione, un collegamento sempre più funzionale tra la scuola e il mondo produttivo; e infine che, vi sia una giustizia pronta, in cui alle esigenze di garanzia della società facciano riscontro degli strumenti legislativi e una nuova forma di efficiente organizzazione giudiziaria.
In rapporto a questi problemi da affrontare, alla grave situazione economica e a questo stato d'animo che prevale nel Paese, dobbiamo auspicare impegni solidali e completi.
Le forze sociali sembrano optare al presente per posizioni di contrasto o quanto meno di dura dialettica, ma appaiono consapevoli delle difficoltà e desiderose di contribuire ad affrontarle. I partiti che hanno stipulato un'intesa di programma devono esprimere una solidale volontà di convergenza riformatrice. Come ho già avuto occasione di dire ogni forza politica deve conservare il suo patrimonio ideale, ma le intese raggiunte o da raggiungere su specifiche proposte politiche dovranno sempre avvenire sul terreno della fedeltà ai valori della Costituzione.
Quindi idee e proposte concrete; decisione e coraggio nel formularle e nell'attuarle; partecipazione più attiva dei cittadini alla determinazione del programma che deve garantire la ripresa.
Né possiamo pensare a forme elusive rispetto ai programmi nazionali.
Il 1978 potrebbe essere l'anno dell'Europa con un Parlamento eletto a suffragio universale. Ma non è realistico credere che i problemi della nostra società nazionale si possano risolvere in tutto o in parte affogandoli in quelli più generali di una società europea. All'opposto, occorre rendersi conto e affermare con decisione che il vero problema è quello di costruire la nostra società in funzione dell'Europa. Tutto ciò comunque va visto non in forma egoistica, ma nella più ampia prospettiva di partecipazione a quel processo di civiltà e di pace che è in atto e che, anche per la nostra posizione nel Mediterraneo, dobbiamo sostenere col massimo impegno.
Questo è il quadro della situazione. Nessuno di noi si illude che la condizione presente possa trasformarsi d'incanto. Siamo anzi indotti a ritenere che il prossimo sarà certamente anch'esso un anno difficile, non meno difficile di quello che oggi abbiamo concluso; ma, perché non sia privo di speranze, dovrà essere un anno ancor più impegnativo, se si vuole avviare quella ripresa che realisticamente riteniamo possibile.
Ripresa economica, dunque, che tuttavia sarebbe di per sé inidonea o in gran parte vanificata se non fosse accompagnata da un recupero della sicurezza dei cittadini.
Il clima di paura e di violenza non può rimanere alla lunga l'immagine di un paese civile. Bisogna riconoscere che vi sono stati in questi ultimi tempi un più accentuato impegno, una grande sensibilità a anche l'adozione di strumenti nuovi, posti in essere per la lotta alla violenza, al terrorismo, al crimine, sulla base delle direttive del Governo, sostenuto dal Parlamento e dalle forze politiche e sociali anche attraverso grandi mobilitazioni democratiche. Troppo spesso però dimentichiamo che il crimine si combatte soprattutto se viene isolato dalla coscienza civile, e mai coperto o teoricamente giustificato.
Guardiamoci intorno. Quanti sono i coraggiosi, quelli che fanno la loro parte fino in fondo, quanti sono i magistrati, gli uomini dei servizi dell'ordine, i militari, i lavoratori nei vari settori, i dirigenti e via via fino ai vertici dello Stato, quanti sono quelli che ogni giorno, spesso in silenzio e con sacrificio, assolvono tutto intero il dovere che loro compete!
Ebbene noi dobbiamo essere con questi uomini; noi dobbiamo essere questi uomini!
Ciascuno nel ruolo che svolge nella società deve accogliere questo invito ad adempiere fino in fondo il proprio dovere; e soprattutto coloro che sono investiti di funzioni pubbliche; così come io stesso cerco di compierlo, in adempimento di una responsabilità assunta sempre al servizio degli interessi generali, con umiltà e con rispetto profondo delle esigenze del Paese.
Se questo appello alla responsabilità non divenisse operante e non si tramutasse nell'impegno di tutti, il rischio per il sistema democratico sarebbe estremo.
A quelle anime fragili che pensassero di poter barattare la propria libertà, ritenuta insicura, con una futura condizione di sicurezza, ritenuta possibile, noi diciamo che dove la libertà, dove si sono consolidati valori di giustizia e di democrazia che nessuno può distruggere, lì vi saranno pure incertezze e momenti oscuri, ma lì c'è critica, c'è contrasto, lì c'è la vita.
Su queste basi, negli anni che ci attendono dobbiamo riproporre, anche di fronte al mondo, la vera immagine dell'Italia; l'immagine di un popolo che ha una sua integra tradizione di civiltà, che ha un forte impianto morale, che ha milioni di uomini e di donne che nei momenti più difficili della storia hanno saputo esprimere una grande forza e un eccezionale coraggio; l'immagine di un Paese tra i più liberi e democratici del mondo.
Non vi ho detto parole serene, come avrei voluto; anzi in esse avrete trovato motivi di preoccupazione, ma anche quelle prospettive di speranza sulle quali orientare il nostro comune impegno per il nuovo anno.