Rivolgo un saluto alle Ministre Messa e Bonetti, al Presidente della Regione, al Sindaco, alla Senatrice Cattaneo, a tutti i presenti. E invio un saluto, attraverso coloro che sono presenti, al Corpo accademico, al personale amministrativo e tecnico e agli studenti attraverso il Presidente della loro Conferenza.
Ringrazio molto il Magnifico Rettore per l’invito che finalmente siamo riusciti a realizzare: è un segno - come ha detto nella sua prolusione - di speranza, di ripresa delle attività in presenza, dopo la faticosa ma preziosa fase di docenza a distanza, di mantenimento, comunque, della vita e del funzionamento dell’Ateneo.
Vorrei iniziare anch’io da quel che non si può omettere in questo momento, da quello che il Magnifico Rettore ha chiamato, nella sua prolusione, la "crisi che su ciascuno di noi ha provocato la pandemia". Non è stato uno stress-test straordinario soltanto per gli Atenei, per le Università, lo è stato per l’intera società, lo è stato per tutti, in ogni parte del mondo.
Ed è bene mantenere alta l’attenzione su quanto è avvenuto, non soltanto perché non siamo ancora riusciti a pervenire al traguardo della sconfitta della pandemia - siamo avviati velocemente sulla buona strada, ma è un traguardo ancora da conseguire - ma soprattutto perché quando l’emergenza sarà alle nostre spalle sarà bene non pensare di rimuoverla dal ricordo, sarà bene tenerla sempre presente per comprendere quel che è avvenuto e per ricavarne alcuni criteri di comportamento.
Vorrei riprendere delle parole che ha poc’anzi adoperato il Presidente della Conferenza degli studenti, il dottor Mina, con una frase che è significativa. Ha detto, più o meno: "Abbiamo riscoperto nelle nostre vite la trama di relazioni". È così, in realtà. È una delle esperienze che questa drammatica fase che abbiamo attraversato, e dalla quale stiamo cercando di uscire, ci ha consegnato: la percezione che ognuno ha bisogno degli altri, che ciascuno di noi ha avuto bisogno di tutti gli altri e, viceversa, gli altri hanno avuto bisogno di noi, di ciascuno di noi.
E questo è un criterio che speriamo non venga abbandonato o rimosso dalla memoria e dai comportamenti quando sarà tramontata – fortunatamente - la fase dell’emergenza. Non lo sia a livello di relazioni tra le persone, a livello interpersonale, nel nostro Paese, come in ogni parte del mondo. Non lo sia neanche nelle relazioni internazionali fra gli Stati.
È un insegnamento che sarà bene coltivare, custodire e mettere a frutto.
Nelle circostanze di questi incontri universitari cerco sempre di cogliere il filo logico che ha attraversato gli interventi che si succedono nel corso della cerimonia. E da questa riflessione sulla pandemia emerge anche, con un filo logico assolutamente coerente negli interventi, il senso del valore della ricerca e della riflessione critica.
Il Rettore poc’anzi ha ricordato che nelle cerimonie con cui si inaugurano gli anni accademici abitualmente si fa il punto sulla vita dell’Ateneo. E ha ricordato alcune lusinghiere valutazioni dell’ANVUR, ha ricordato alcuni programmi importanti dell’Ateneo. Ma essendo ormai in prossimità della conclusione dell’anno accademico ha poi opportunamente posto l’attenzione sulla realtà delle università nel loro complesso nel nostro Paese, sollecitando una riflessione sulla governance dei nostri atenei - riflessione che è ben presente alla Ministra Messa - per pervenire a modelli che siano adeguati, per efficienza e aderenza ai tempi che attraversiamo, per quello che è un luogo di formazione alla capacità critica e alla riflessione. In linea con quanto la Ministra Messa ha detto, evocando la vocazione delle università a suscitare negli studenti la passione per la buona ricerca.
Ed è la linea che ha attraversato la lectio magistralis del Professor Dionigi, che ringrazio molto.
Certo la tentazione irrefrenabile è rifarsi alla citazione di Gorgia, del medico e del filosofo trascurati a vantaggio del retore e del sofista che diffondono promesse e illusioni.
Verrebbe da dire talvolta che il mondo mantiene una certa continuità, ma per fortuna non è sempre così. E lo abbiamo visto in questa stagione in cui è emerso agli occhi di chiunque, di tutti, il valore della scienza, della ricerca. Non saremo mai abbastanza grati al mondo della scienza per la velocità e l’impegno con cui hanno consegnato all’umanità gli strumenti per sconfiggere la pandemia. Questo ha riportato l’attenzione "sui medici e sui filosofi". Ed è una riflessione che è stata arricchita nella lectio magistralis dal ricordo delle parole del Rettore di Harvard.
Vorrei ripeterle: "Possiamo soltanto insegnarvi a imparare, perché dovete sempre, continuamente, reimparare".
Questo in realtà riguarda, insieme, docenti e studenti degli Atenei. Certo, i docenti insegnano, trasmettono conoscenze, verificano i progressi di apprendimento degli studenti; ma gli uni e gli altri sono accomunati dalla ricerca che devono sempre coltivare di nuovi ambiti, di nuovi confini di conoscenza.
Non a caso circa mille anni fa il nome Universitas è nato per indicare la comunità di scienza composta in maniera indistinta da maestri e allievi.
Per questo è molto importante quella triade di parole: intelligere, interrogare, invenire. E questo è il senso dell’incontro di questa mattina. E vorrei concluderlo con un riferimento ulteriore a quanto diceva il dottor Mina, parlando delle università come luogo in cui si formano le persone critiche, capaci di spirito critico.
Ci si interroga sempre sul futuro; si progetta sempre il futuro. Non lo potremo mai conoscere. Ma se si forma spirito critico e lo si incentiva, lo si sviluppa, possiamo essere certi che lo costruiremo bene. Auguri.