Rivolgo un saluto al Presidente della Camera, al Presidente della Corte costituzionale, al Rappresentante del Senato, ai Ministri degli esteri presenti, con una significativa manifestazione di senso delle istituzioni.
Signor Ministro,
Ambasciatrici, Ambasciatori,
Signore e Signori,
sono davvero lieto di poter partecipare a questa quattordicesima Conferenza e sono grato della cordiale accoglienza.
Vorrei iniziare esprimendo la mia riconoscenza per il supporto fornito in questi anni all’attività sviluppata dalla Presidenza della Repubblica, in Italia e all’estero.
Nel volgere lo sguardo ai sette anni passati, non posso non rilevare come l’attività internazionale che li ha caratterizzati non sarebbe stata possibile senza l’efficiente supporto del Ministero degli Esteri, nonché dell’intera rete diplomatico-consolare.
Non mi sarebbe stato possibile porre in essere e sviluppare positive interlocuzioni e condizioni collaborative senza la disponibilità, il sostegno, le indicazioni che da voi ho ricevuto.
Grazie al concorso delle vostre professionalità e della vostra dedizione la Repubblica continua nell’opera di promozione dei propri obiettivi, nell’azione di testimonianza e di affermazione dei propri valori iscritti nella Carta costituzionale, a cominciare dalla pace e dalla cooperazione internazionale, contribuendo alla costruzione nel mondo di condizioni migliori.
La politica estera dell’Italia repubblicana ha sempre cercato di ispirarsi a questi criteri, non ignorando il valore dell’accoglienza favorevole che spesso accompagna all’estero l’immagine italica e che si traduce in un rafforzamento di quello che si ama definire soft-power.
Signore Ambasciatrici, Signori Ambasciatori,
ogni epoca è contrassegnata da mutamenti di grande portata.
La nostra, segnata dai due conflitti mondiali del secolo scorso, dall’imponente processo di decolonizzazione, dall’eredità della Guerra fredda, dal sorgere e dal rafforzarsi delle dimensioni comunitarie in Europa, vive adesso la fase del definitivo tramonto del bipolarismo e dell’indebolimento della preminente rilevanza dell’Occidente, con l’avvento di un mondo nuovo, multipolare, in un contesto di rapporti economici fortemente globalizzato.
La pandemia ha contribuito a evidenziare le contraddizioni del processo in atto e ad accelerare notevolmente dinamiche che già si profilavano.
Lo stesso concetto di globalizzazione appare in discussione, lasciando spazio ad una fase di transizione e di analisi che va interpretata e guidata, individuandone l’approdo finale.
La ripresa avviene in un contesto nel quale la forte interdipendenza delle economie e la mobilità elevata delle merci incontrano una ritrovata competizione fra gli Stati - e anche fra le grandi corporazioni - per l’acquisizione di tecnologie, brevetti, componenti essenziali della filiera produttiva.
Si prospetta un futuro in cui il posizionamento nell’economia mondiale dei singoli Paesi - o, nel caso europeo, di gruppi di Paesi – e il ruolo delle imprese transnazionali e globalizzazione convivranno in un equilibrio mutevole destinato a condizionarne anche il grado di indipendenza e di libertà d’azione.
Mutamenti di ordine strutturale che incideranno profondamente sul modello europeo di “economia sociale di mercato”, già posto a dura prova nei passati decenni, e ne imporranno, per preservarlo, una riformulazione, anche alla luce delle transizioni gemelle, verde e digitale.
In secondo luogo, il baricentro politico ed economico sembra progressivamente spostarsi dall’Atlantico al Pacifico: l’Europa - e la stessa Africa - devono interrogarsi sul loro futuro e sul ruolo che saranno chiamati a svolgere.
È questione che il summit fra Unione Africana e Unione Europea non potrà eludere.
Il XXI secolo non deve essere vissuto con la rassegnazione di una ineluttabile marginalizzazione dell’area europea.
La conclusione della lunga stagione dell’impegno in Afghanistan e la formazione di nuove architetture politiche e di sicurezza nel Pacifico, segnalano una volontà degli Stati Uniti di riformulare l’approccio del proprio ruolo e della propria presenza internazionali.
Per tradizione consolidata, per cultura, per valori, per legami umani e per impianto istituzionale, Stati Uniti e Unione Europea si troveranno sempre fianco a fianco. Anche per questo, la scelta di spostare gradualmente il baricentro delle politiche degli Stati Uniti verso il Pacifico impone un’assunzione di responsabilità sempre più diretta da parte degli interlocutori europei.
Del resto, una richiesta di maggiore condivisione di responsabilità proviene non da oggi esplicitamente da oltre Atlantico.
Nel quadro di un rapporto equilibrato, l’Europa è chiamata a svolgere un ruolo più rilevante nella definizione della strategia dell’Alleanza Atlantica.
Lo sviluppo di una capacità di difesa da parte dell’Unione Europea rappresenta un tassello essenziale del necessario percorso di autonomia strategica.
Sono convinto che l’Unione saprà essere efficace nel perseguire questo obiettivo.
Rispetto al preoccupante angusto ridimensionamento di ambizioni, che negli anni passati aveva collocato al centro del dibattito le imperfezioni del processo di integrazione, la pandemia ha posto in luce la vitalità e il valore aggiunto della costruzione europea, che ha saputo coordinare le risposte degli Stati membri, ha evitato una chiusura totale delle frontiere nazionali, ha messo a fattor comune le risorse europee e nazionali per finanziare ricerca e acquisto di vaccini.
Infine, con il lancio del “Next Generation” è riuscita a costruire un’articolata risposta ai devastanti effetti economici e sociali della crisi.
Un’azione comune, frutto di una scelta lucida, che nasce dalla consapevolezza che i destini e gli interessi degli europei sono strettamente intrecciati tra loro.
Se l’europeismo delle origini è stato come una risposta alla forza distruttrice dello Stato nazione, che aveva condotto alle due fratricide guerre civili europee, quello odierno rappresenta soprattutto il superamento della sua debolezza, in un mondo globale dove si confrontano ormai Stati-continente, come la Russia, o Stati-civiltà, come la Cina e l’India. E, nel quale, le fragilità del sistema internazionale - che non ha ancora saputo affrontare le questioni poste dalla dimensione digitale dell’economia - vedono gli Over the top agire come nuovi poteri svincolati da ogni osservanza di norme derivante dall’appartenenza a ordinamenti sovrani.
L’integrazione europea consente, a chi vi partecipa, di contribuire a prendere decisioni che incidono concretamente sul proprio destino, salvaguardando così effettiva sovranità.
Non è e non sarà più stagione di attori di limitate dimensioni.
Nel confronto in corso - che vede nella Conferenza sul futuro dell’ Europa un passaggio che non può essere di maniera - a cui l’Italia, grazie anche al vostro impegno e alla vostra passione, sta dando un contributo rilevante in termini di idee e proposte, ritengo importante richiamare tre aspetti.
La coesione fra le democrazie liberali rimane priorità e costituisce il nucleo attorno al quale rafforzare un ampio e stretto raccordo tra i Paesi a ordinamento democratico.
La difesa dei valori liberal-democratici e dello Stato di diritto all’interno del nostro continente e fuori di esso - a cominciare da quel principio cardine della costruzione europea rappresentato dal primato del diritto comunitario - è, in questo senso, essenziale.
Sono valori che vanno tuttavia praticati e vissuti, sia attraverso il rafforzamento del carattere irreversibilmente democratico della cittadinanza europea, sia nella gestione delle crisi di fronte alle quali l’Europa si trova.
L’atteggiamento di “Fortezza Europa” che, con scarso rispetto dei diritti umani, alcuni manifestano, non corrisponde alle ambizioni di questa Unione Europea.
In secondo luogo, la riforma delle Istituzioni e dei processi decisionali dell’Unione, incluse le regole di bilancio, è condizione necessaria per il completamento dei tanti “cantieri aperti” al suo interno, oltre che per il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo prefissati con le agende verde e digitale.
Infine, l’Europa non potrà esprimersi con efficacia sulla scena internazionale senza aver dato risposta ai crescenti squilibri in termini di reddito, di accesso all’istruzione e alla sanità, di garanzie e di diritti che affliggono le nostre società e che rischiano di minare alle fondamenta la coesione delle nostre democrazie.
Signore Ambasciatrici e Signori Ambasciatori,
quali membri attivi di un’Unione europea forte e coesa, amica degli Stati Uniti, saremo in grado di tutelare i nostri valori repubblicani, di garantire la nostra sicurezza e di promuovere i nostri interessi in un mondo caratterizzato da sfide crescenti, e anche da numerose opportunità.
La gestione di queste epocali trasformazioni richiede lucidità e uno sforzo collettivo per un rafforzamento della cooperazione internazionale.
Un obiettivo questo – come poc’anzi ha ricordato il Ministro degli esteri - che deve rimanere al centro dell’azione della diplomazia italiana.
È nostro interesse promuovere un multilateralismo veramente efficace, che offra soluzioni condivise e sostenibili a problemi come il cambiamento climatico, la definizione delle regole del mondo digitale, le migrazioni, le nuove regole del commercio internazionale; tutte questioni che non possono essere affrontate da soli, pena l’irrilevanza delle risposte.
La Presidenza italiana del G20, con i suoi innegabili successi, ha mostrato chiaramente quanto sia importante, in un mondo sempre più complesso, poter contare su una diplomazia capace di far sentire, in tutti i contesti bilaterali e multilaterali, la forza della ragione e dell’equilibrio.
La vocazione europeista della Repubblica, il dialogo di vicinato rivolto ai Paesi dei Balcani così come verso i Paesi mediterranei, l’espressione della vocazione multilaterale del nostro Paese, hanno trovato espressione nella tessitura di rapporti ancora più intensi con i principali partner europei, dalla Germania alla Spagna, alla Francia, con cui il mese scorso abbiamo sottoscritto il Trattato di cooperazione bilaterale rafforzata.
I fora europei, nell’ambito delle iniziative dei presidenti non esecutivi dell’Unione, come quello di Arraiolos, a cui abbiamo preso parte, hanno sensibilmente aumentato il patrimonio comune di conoscenza e convergenza.
L’impegno profuso per la costruzione di una memoria reciprocamente rispettosa e per promuovere, in linea con la nostra comune appartenenza all’Unione Europea, un’autentica riconciliazione fra i popoli, è stata consolidata attrevrso iniziative come la restituzione del Narodni Dom alla comunità di lingua slovena e la partecipazione alla commemorazione della “giornata del no” in Grecia.
Momenti per scrivere le pagine nei rapporti e per rafforzare l’edificio della comune casa europea.
Vivere in pace è diritto di ogni persona, di ogni popolo. La collaborazione rappresenta lo strumento che la consolida.
Il vostro quotidiano impegno si nutre di questi valori. Questa è l’aspirazione del popolo italiano.
Vi è affidata la missione di essere catalizzatori della proiezione internazionale del nostro Paese, accompagnandone con efficacia le espressioni culturali, il mondo delle imprese, le università, gli enti di ricerca, le pubbliche amministrazioni nei loro sforzi di internazionalizzazione.
È un contributo prezioso che fornite alla vita nazionale. Anche sotto questo profilo considerate la mia presenza qui oggi come una rinnovata testimonianza di apprezzamento.
È una attività, la vostra, esposta talvolta ai rischi più gravi.
Desidero anch’io, in questa sede, fare memoria dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo. E apprezzo molto le iniziative assunte dalla Farnesina per ricordarne la memoria, per ricordare un esempio di chi aveva posto la propria italianità a servizio della causa dell’umanità.
Consentitemi infine, in questa ultima occasione in cui posso rivolgermi alla vostra comunità, di esprimere a tutti voi e alle vostre famiglie fervidi auguri per il Natale, per il Nuovo Anno e per il futuro.