INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO 2006 - 2007
DELL'UNIVERSITÀ COMMERCIALE LUIGI BOCCONI
Milano, 30 ottobre 2006
Ho seguito col più vivo interesse l'intervento del Professor Monti e la relazione del Professor Provasoli che hanno chiaramente confermato l'alto livello dell'impegno di questa Università, con la quale ho conservato un particolare legame nel ricordo di Giovanni Spadolini e della difficile esperienza istituzionale che condividemmo in piena solidarietà fino alla vigilia della sua repentina scomparsa.
Mario Monti, forse in nome delle nostre collaborazioni in campo europeo nella seconda metà degli anni '90 e fino al 2004, mi chiede - ritenendo che possa essere per voi di qualche interesse - di presentarvi una rapida riflessione sullo stato della costruzione europea, suggeritami dalle missioni che ho compiuto fuori d'Italia in questo primo semestre di attività presidenziale.
In effetti, la Bocconi ha sempre espresso forte consapevolezza del fondamentale valore e ruolo della partecipazione italiana all'impresa dell'integrazione europea e delle molteplici implicazioni che ne discendono. Coloro che hanno operato qui sono stati tra i più costanti e coerenti sostenitori di quella scelta strategica, che ha nel corso dei decenni guadagnato i più ampi consensi anche nei diversi schieramenti politici. Sostenere, nella sua continuità e nella sua evoluzione, il percorso della Comunità e quindi dell'Unione europea, ha significato e significa per l'Italia valorizzarne le opportunità, non sottovalutarne le sfide, non trascurare di adempierne gli obblighi.
E ciò ha via via prodotto frutti tanto più cospicui, quanto più le sfide e le opportunità siano state raccolte con il necessario dinamismo da parte dei soggetti pubblici e privati che determinano nel nostro paese il corso dell'attività politica ed economica, e quanto più gli obblighi, o i vincoli, siano stati recepiti come stimoli alla modernizzazione delle nostre strutture e ad una gestione rigorosa del bilancio dello Stato.
Si tratta di insegnamenti validi anche per l'oggi. Siamo impegnati a dare il massimo contribuito affinché l'Unione europea esca dall'impasse politico e istituzionale in cui si trova, e in modo particolare riesca a svolgere un'azione incisiva nella sfera delle relazioni internazionali ; ma una prova non minore del nostro europeismo dobbiamo darla assumendo le difficili decisioni richieste dal rispetto della disciplina comunitaria in materia di conti pubblici e dall'attivazione delle riforme sollecitate dalle direttive europee. Spetta al governo e al Parlamento adottare simili decisioni; ma posso assicurarvi che non me ne sfugge la stringente necessità per rendere più credibile l'impegno che anche personalmente sto spendendo per sollecitare il rilancio del processo d'integrazione europea, e che intendo spendere ancora convinto di interpretare così il mio ruolo istituzionale nell'interesse generale del paese e in nome dell'insieme delle sue forze rappresentative che si riconoscono nella scelta europeista al di là di ogni distinzione tra gli opposti schieramenti politici.
Un rilancio le cui difficoltà sono ancora una volta emerse dai miei incontri di questi mesi, per le posizioni e per l'atmosfera che ho colto, in diverse capitali dell'Unione o attraverso altrui visite e varie discussioni in Italia. Il Trattato costituzionale sottoscritto a Roma nell'ottobre 2004 dai Capi di governo di 27 Stati membri dell'Unione (compresi i due che stanno per entrare a farne parte) è stato ratificato in 18 paesi, respinto in 2, tenuto sospeso in 7. Il voto negativo prevalso nei referendum francese e olandese, ha determinato una difficoltà assai grave, anche per il significato particolare del no di 2 dei 6 paesi fondatori della Comunità europea e per il peso così rilevante della Francia.
C'è in Europa chi pensa di poter aggirare tale difficoltà, spingendo nel limbo più incerto la materia istituzionale e puntando solo su una ripresa di iniziative e di politiche europee su temi sensibili, come se queste potessero perseguirsi senza un complessivo adeguamento del sistema dei poteri e dei meccanismi decisionali dell'Unione. Ma questa deviazione o illusione non è condivisa dalle più alte autorità istituzionali né di un paese-chiave come la Germania - che è determinato a riproporre, assumendo nel prossimo gennaio la presidenza di turno del Consiglio, il problema del completamento del processo di ratifica del Trattato - né di paesi che sono stati, come l'Ungheria, partecipi del grande allargamento a Est dell'Unione e hanno visto nel Trattato volto a "stabilire una Costituzione per l'Europa" la più solenne e comprensiva riaffermazione dei principi, dei diritti, degli obbiettivi che fanno dell'Unione una comunità solidale, senza precedenti, di Stati e di popoli.
Dall'altro lato si confermano le incognite rappresentate dalle possibili evoluzioni degli orientamenti politici e di governo in Francia a partire dalle elezioni presidenziali della prossima primavera ; ma nello stesso tempo non mancano i segnali di una consapevolezza dell'impossibilità, per quel grande paese sempre protagonista della vicenda storica europea, di restare in una posizione di sostanziale isolamento rispetto alla crisi del progetto di Costituzione europea. La stessa, recente, attiva partecipazione della Francia a uno sforzo di rinnovata azione politica europea sulla scena internazionale - in particolare attraverso la missione in Libano - fa ritenere che possa maturare la volontà di partecipare anche al superamento dell'impasse istituzionale in cui è scivolata l'Unione, attraverso la ricerca di una soluzione per la ratifica, almeno parziale, del Trattato del 2004 da parte dell'Assemblea nazionale francese.
Diverso è il discorso per la Gran Bretagna, che sospendendo ogni decisione di sottoporre all'elettorato, per via referendaria, o al Parlamento, il testo pur sottoscritto a Roma dal primo ministro Blair e dal ministro degli esteri Straw, ha favorito l'assunzione di un analogo atteggiamento elusivo da parte di altri governi assai poco euro-entusiasti come quello polacco.
Quello del rapporto tra la Gran Bretagna e il processo di costruzione europea, è un problema antico, che si manifestò fin dall'avvio del progetto di integrazione nei primi anni '50. Anche i forti e appassionati argomenti messi in campo da Winston Churchill - nei suoi due famosi discorsi del 1946 e del 1948 - a favore del grande disegno degli Stati Uniti d'Europa, trovavano un limite di fondo - non possiamo dimenticarlo - nella dichiarata estraneità della Gran Bretagna e del Commonwealth a tale costruzione, che si proponevano di sostenere, insieme con l'America e la Russia, come "amici e sponsors".
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. Il Regno Unito divenne, a partire dagli anni '70, Stato membro della Comunità, confermando successivamente quell'adesione, e continuando a partecipare agli ulteriori sviluppi del processo pur tra non lievi riserve e differenziazioni. Non può però non colpire oggi il disimpegno dalla ratifica di un Trattato non solo solennemente firmato, ma approvato in sede di Conferenza Intergovernativa dopo che pressanti esigenze e tradizionali posizioni britanniche - preoccupate, in particolare, per una possibile "espansione strisciante" delle competenze e degli interventi dell'Unione e per essa della Commissione - avevano trovato nel testo finale largo accoglimento.
C'è, peraltro, un punto di sostanza su cui anche gli incontri di Londra, per quel che mi riguarda, inducono ad approfondire la riflessione. Non c'è paese e non c'è governo che possano contestare la radicale novità costituita dalle dimensioni che le principali sfide e minacce del nostro tempo sono venute assumendo : dimensioni tali da non poter essere fronteggiate attraverso politiche ristrette nell'orizzonte degli Stati nazionali e dei loro poteri, e neppure attraverso incerte e deboli forme di collaborazione intergovernativa. Mi riferisco anche a sfide che preoccupano specificamente lo stesso Regno Unito, come quelle della pressione migratoria, o delle tensioni sul mercato dell'energia. Ma dal riconoscimento delle necessità, anche in nuovi campi, di risposte comuni al livello europeo, si rilutta a trarre la dovuta conseguenza di dotare le istituzioni dell'Unione dei poteri, e dunque delle quote di sovranità condivisa, indispensabili per soddisfare quella necessità. Si tratta di una contraddizione difficilmente sostenibile nel prossimo futuro : noi confidiamo che di essa possa diffondersi la consapevolezza nella leadership politica e nell'opinione pubblica degli stessi paesi più chiusi o cauti, e che si riesca quindi a scioglierla positivamente nel senso di un deciso rilancio dell'integrazione europea.
E' in effetti anche dall'esterno dell'Unione che cresce la domanda d'Europa. L'esempio più recente e significativo è costituito dalla pressante richiesta che si è nei mesi scorsi rivolta all'Europa perché assumesse la responsabilità di una missione di pacificazione nel Libano e nel Medio Oriente su mandato dell'ONU. In questa occasione l'Unione ha saputo, con decisione unanime, dare una risposta positiva : e non dirò quali apprezzamenti io abbia dovunque raccolto per il determinante contributo offerto dall'Italia. L'evolversi dello scenario mondiale ha da un lato reso evidente che in situazioni particolarmente complesse e critiche non c'è superpotenza che possa agire in modo risolutivo con le sue sole forze ; e ha più in generale fatto crescere l'aspettativa e la fiducia verso l'Europa per il ruolo di equilibrio, per l'autonoma visione dei problemi mondiali, per il peculiare apporto di civiltà e sensibilità che essa può garantire, affiancandosi ad altri grandi protagonisti della politica internazionale.
Di qui il rilievo nuovo e perfino l'urgenza che assume un concreto e conseguente svolgimento della strategia e dell'iniziativa europea nella sfera della politica estera, di sicurezza e di difesa. E anche a questo fine, essenziali appaiono le più incisive soluzioni istituzionali definite nel Trattato del 2004, a cominciare dalla creazione di un ministro degli Affari Esteri dell'Unione sostenuto da un "servizio europeo per l'azione esterna". L'Europa può rispondere all'appello che le si rivolge per far pesare la sua presenza sulla scena mondiale : purché metta a frutto tutte le sinergie che un ulteriore sviluppo del processo di integrazione è in grado di far valere.
Ed egualmente vanno potenziate - guardando ai problemi e alle esigenze cui l'Unione in quanto tale deve far fronte - le sinergie funzionali al recupero, nel nuovo contesto globale, di un'effettiva competitività delle nostre economie e dei nostri modelli sociali e culturali. Di qui l'importanza del ruolo delle nostre Università come centri avanzati di formazione e di ricerca. Nell'Europa comunitaria si sono create condizioni nuove di libertà di studio e di incontro, di comunicazione e di scambio, per milioni di giovani ; le Università si sono aperte a un'intensa, reciproca conoscenza delle diverse culture e civiltà nazionali ; si sono insomma gettate le basi per una visione più ricca del comune patrimonio europeo. Di qui la possibilità che i nostri atenei e istituti di ricerca rafforzino la loro capacità di attrazione e la loro funzione ben oltre i confini di ogni singolo paese, in qualche modo riallacciandosi al carattere originario delle prime Università sorte in Europa, che nacquero come comunità di docenti e di studenti che provenivano dalle più disparate regioni del continente.
Sarebbe perciò paradossale - vorrei concludere così, senza inoltrarmi in disamine e polemiche di attualità che non possono coinvolgermi - che a discorsi generalmente condivisi sull'esigenza di una seria concentrazione di sforzi, in ciascun paese e su scala comunitaria, per accrescere il potenziale europeo di capitale umano, di capacità di ricerca e di innovazione, di qualificazione civile e culturale dei processi di crescita e sviluppo ; sarebbe paradossale che a questi discorsi facesse riscontro una sottovalutazione, di fatto, del ruolo delle nostre Università, delle loro esigenze vitali di continuità e di consolidamento. Esigenze che non possono in nessun momento essere trascurate, anche se ad esse deve affiancarsi, s'intende, la necessità di una puntuale verifica critica dello stato attuale del sistema universitario italiano e di una conseguente, coraggiosa revisione.