INTERVENTO IN OCCASIONE DELLA VISITA
AL "RESTO DEL CARLINO"
Bologna, 15 marzo 2007
Ringrazio tutti per questo bellissimo incontro di cui, francamente, mi hanno sorpreso le proporzioni: da qualche tempo non sono più abituato alle manifestazioni di massa.
Sono venuto e sono tornato a Bologna sapendo che non avrei potuto non fare tappa al Resto del Carlino. Questo giornale, di cui conosciamo le grandi tradizioni, anche per suoi eminenti direttori e collaboratori, rappresenta quel che rappresentano egualmente in altre città alcuni giornali di simili tradizioni: delle vere e proprie istituzioni, che sono espressione della società, e sono voce riconosciuta di città importanti.
Mi limiterò soltanto a pochissime osservazioni, partendo da un'espressione di preoccupazione e di solidarietà per il giornalista Mastrogiacomo: ci auguriamo fortemente che si riescano a trovare i canali per liberarlo. Lei, Direttore, ha fatto riferimento alla liberazione appena avvenuta dei lavoratori italiani che erano stati fatti prigionieri in Nigeria: probabilmente le condizioni, per il giornalista sequestrato in Afghanistan, sono ancora più complicate; non disperiamo, comunque, che se ne possa venire a capo.
Direttore, se volessi raccogliere tutti punti del suo intervento dovrei fare un messaggio come quello dopo l'elezione in Parlamento. Desidero subito rassicurarvi: coglierò soltanto qualche spunto, ringraziandola molto per l'attenzione che il giornale ha prestato sia a mie recenti prese di posizione, sia a mie elaborazioni o iniziative precedenti.
Lei ha ricordato quel libro del '94 che è stato ora ristampato per iniziativa dell'editore Rizzoli (confidando forse che possa ancora suscitare qualche interesse): è vero, io dedicai quel libro a un vostro direttore, Giovanni Spadolini, che è stato un carissimo amico con il quale ho condiviso un periodo molto difficile della vita politica e istituzionale italiana. Per quanto avessimo formazione diverse, in poche occasioni ho trovato una sintonia come quella di allora con Giovanni Spadolini. Avevamo incarichi egualmente impegnativi e li assolvemmo, credo, con senso di responsabilità, con rigore, e consapevoli entrambi di dover esercitare quelle funzioni con la massima imparzialità. Anche le Presidenze delle Camere sono funzioni di garanzia, almeno così le intendemmo sia io che Spadolini e come l'hanno intesa tanti altri importanti e rappresentativi Presidenti.
C'è stato un motivo che tutti conoscono - e che lei ha ricordato - per cui alcune settimane fa sono "scappato" da Bologna, ma con l'impegno (credo di averlo mantenuto anche in tempi abbastanza brevi) di tornarvi.
È stata una crisi di governo complicata e, soprattutto, è stata una crisi, ad un dato momento, di non facile lettura nella sua matrice e, soprattutto, nella sua evoluzione e nelle sue conclusioni. Perciò ho ritenuto di dovermi rivolgere all'opinione pubblica, ai cittadini tutti, motivando le decisioni che avevo preso, e in qualche modo ricostruendo, sia pur rapidamente, nei suoi aspetti essenziali, la crisi che si era conclusa. Non so se questa si possa considerare una innovazione, non so se possa far testo o se possa essere censurata: perché, naturalmente, si è molto spesso richiesti di intervenire e poi, quando si interviene, si è accusati di eccessivo interventismo. Comunque, io intervengo esclusivamente nei limiti delle mie responsabilità e dei poteri che mi affida la Costituzione. E credo dunque che tra le mie responsabilità ci fosse anche quella di dire agli italiani come fossero andate le cose, in maniera che tutti potessero valutare e giudicare. Di una cosa sono contento: che, in effetti, da nessuna parte politica siano state fatte riserve sulla ricostruzione che avevo dato delle posizioni dell'uno e dell'altro schieramento, e sugli argomenti sulla base dei quali ero giunto ad una decisione che consideravo, e ho definito, obbligata.
Si è aperta una nuova fase del nostro cammino: voglio essere fiducioso, voglio e debbo essere fiducioso. Lo sono a ragion veduta, anche se tante volte, quando lancio degli appelli - come lei ha ricordato - a un dialogo più pacato, più costruttivo, ad un confronto che non sia guerra totale e guerriglia quotidiana tra maggioranza e opposizione (tra chiunque sia nella maggioranza e chiunque sia nell'opposizione), posso anche sentire il rischio di una ripetizione che appaia non confortata dai fatti. Però io continuerò a fare questo appello, continuerò a ripetere con profonda convinzione questo richiamo. L'Italia è un Paese in cui stiamo davvero sperimentando - cosa molto importante e positiva - una democrazia dell'alternanza, da quindici anni, dopo che per un periodo non breve si era potuto parlare di democrazia bloccata. Ma le forme in cui si è concretizzata la democrazia dell'alternanza - cioè quelle di un conflitto esasperato e di un confronto senza quartiere e senza reciproco ascolto tra i due schieramenti - non credo che sia qualcosa di cui si trovino molti termini di paragone nel resto dell'Europa democratica. E non credo che sia una cosa giovevole per il nostro Paese.
Quindi, andiamo avanti il più possibile anche come opinione pubblica, come cittadini, come grande stampa indipendente. Andiamo avanti in questo sforzo. E cerchiamo, intanto, anche di guardare ad una possibile soluzione di problemi, come quello della legge elettorale, e anche di alcune particolari e importanti disposizioni della seconda parte della Costituzione repubblicana, che possono contribuire ad una evoluzione più distesa, più costruttiva, più feconda della dialettica politica ed istituzionale del nostro Paese.
Voglio poi raccogliere l'accenno al ricordo del Professor Biagi e all'iniziativa molto bella che avete assunto, e che era naturalmente doveroso accompagnare anche con l'Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. Ho ritenuto, proprio nei giorni scorsi, di dover dire ancora una parola su questo tema. L'ho fatto, anche qui, in una forma forse inconsueta, e qualcuno ha scritto: come mai il Presidente della Repubblica scrive una lettera a un giornale? Francamente, di sicuro non è disdicevole per il Presidente della Repubblica, e non credo che lo sia per le istituzioni: è un modo di intervenire anche in un rapporto più diretto con l'opinione pubblica. Quando ho visto la lettera di protesta dei familiari degli agenti di polizia e dei carabinieri uccisi nell'agguato al Presidente Aldo Moro, e ho sentito la loro sofferenza per aver visto rievocare quell'episodio con la partecipazione di uno dei responsabili del terrorismo delle Brigate Rosse, ho sentito di dover dire una parola. Purtroppo, il capitolo che pensavamo potesse essersi chiuso tanti anni fa si è riaperto, con l'assassinio prima del Professor D'Antona, poi del Professor Biagi - due vicende veramente parallele - e si è riaperto anche con le recenti indagini che hanno condotto a scoprire nuove cellule terroristiche e nuove potenziali minacce di quel tipo. Allora, diamo il credito che è giusto dare, e le possibilità di reinserimento nella società che è giusto dare, a coloro che hanno pagato il proprio debito con la giustizia, ma chiediamo rispetto, misura, serietà nei comportamenti di chi non può dimenticare le colpe di cui è stato responsabile verso la democrazia e verso le persone, anche verso le famiglie come quelle degli agenti delle scorte caduti insieme con le persone che tutelavano.
Mi fermo qui. Caro Direttore, faccio molti auguri per questa bellissima impresa - e un giornale è una impresa! - a lei e a tutti voi che qui lavorate.