Ancona 03/03/2008

Visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nelle Marche. Università di Ancona: intervento in occasione del seminario "L'Economia marchigiana nel mercato globale".

INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
IN OCCASIONE DEL SEMINARIO
"L'ECONOMIA MARCHIGIANA NEL MERCATO GLOBALE"

Ancona, Aula Magna dell'Università, 3 marzo 2008

Naturalmente il moderatore mi aveva preavvertito del "tranello" finale e non mi aveva posto limiti di tempo: ma non ne abuserò, visto anche quanto è costato a un grande imprenditore compiere l'impresa di parlare solo tre minuti. Posso solo dire che in cinque anni di Parlamento europeo i miei interventi in aula a Strasburgo, dove vige una disciplina ferrea, non hanno mai superato i tre minuti. E penso che quella sarebbe una buona scuola per tutti i politici italiani. È l'unico accenno politico, assolutamente bipartisan, che mi concedo.
Colgo l'occasione, innanzitutto, per ringraziare e salutare il Magnifico Rettore, il Presidente della Facoltà di Economia, coloro che prima di me hanno preso la parola, i parlamentari marchigiani, le autorità e voi tutti. E colgo anche l'occasione - non potrei non farlo, qui - per esprimere un omaggio profondamente sentito alle Marche: per quello che qui si è trasformato e si è costruito, in una singolare sintonia tra realtà produttive, istituzioni e società civile, in una sostanziale armonia - come si è detto da parte di molti - con le caratteristiche tradizionali dei valori e dei comportamenti della gente marchigiana.
Vorrei aggiungere solo questo: che non ci sarebbe stata crescita, non ci sarebbe stato sviluppo in Italia, negli scorsi decenni, lungo sentieri difficilmente immaginabili dopo la stagione del miracolo economico, se non si fossero sprigionate formidabili energie creatrici dal mondo imprenditoriale e dal mondo del lavoro, se non ci fosse stato il sistema delle istituzioni a sostenerle. Ma anche, e non meno, se non ci fossero state intelligenze straordinarie come Giorgio Fuà. Intelligenze innovative, anticonvenzionali nell'analisi, nella ricerca e nel disegno di un nuovo possibile sviluppo.
Vedete, io non ho avuto la fortuna di poter coltivare relazioni personali intense con Giorgio Fuà. Posso soltanto evocare un ricordo lontanissimo che, però, è sempre rimasto vivo in me: nel febbraio del 1950 - figuratevi! - seguii i lavori della Conferenza sul Piano del Lavoro promossa dalla CGIL di Di Vittorio, e ascoltai la relazione di Alberto Breglia e gli interventi di Sergio Steve e Giorgio Fuà, i quali diedero in quella occasione - credo - un grande contributo al rinnovamento anche culturale del movimento sindacale italiano.
Poi, come sappiamo, e come io stesso ho sempre potuto seguire, continuò su quelle tematiche l'impegno di Giorgio Fuà. Così, poco più di un decennio dopo, in una stagione di rinnovato fervore, segnata dalle coraggiose sollecitazioni della Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa, Giorgio Fuà e Paolo Sylos Labini suggerirono le idee per la programmazione.
Fuà non è mai rimasto chiuso in uno schema. E, infatti, in quel periodo egli diede vita alla sua più originale creazione, l'Istao (Istituto Adriano Olivetti), dimostrando come un grande economista possa operare concretamente al servizio del Paese e della sua coesione sociale ed ambientale. Quella che proprio nelle Marche è stata salvaguardata.
Naturalmente, ho apprezzato molto il fatto che qui si siano indicate le criticità, i limiti di contesto e i rischi che può correre anche un'economia così magnificamente trasformatasi come quella marchigiana. Voglio però sottolineare che il problema dei problemi rimane - spero che non lo si dimentichi anche nella campagna elettorale - quello del dualismo dello sviluppo italiano. Anche se questo dualismo si declina in termini diversi da tanti decenni fa, direi in modo particolare grazie a quello che è accaduto nel Nord-Est e nel Centro. Non siamo più, quindi, alla dicotomia Nord-Sud, come si poteva immaginare una volta; ma di sicuro siamo tuttora dinanzi ad un gravissimo divario nello sviluppo economico, sociale e civile di una parte d'Italia e dell'altra. Credo che di ciò debbano farsi carico anche gli economisti. E mi auguro che questo accada, perché è molto importante per il nostro futuro che ci sia una nuova leva di economisti intelligenti, coraggiosi e innovativi come Giorgio Fuà.
Vi sono grato per avermi dato l'occasione di esprimere questa mia forte partecipazione al suo ricordo.