Napoli 02/12/2008

Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla Fondazione "Mezzogiorno Europa"

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALLA FONDAZIONE "MEZZOGIORNO EUROPA"

Napoli, 2 dicembre 2008

Ringrazio voi tutti soprattutto per l'impegno che avete portato avanti, e che ha permesso la continuità di "Mezzogiorno Europa" anche quando non ho potuto più occuparmene.
Quando nel '99, anno fatidico (abbiamo anche noi il nostro '99, a parte quello di cui ha il monopolio l'amico Marotta) demmo vita non alla Fondazione ma al Centro di iniziative Mezzogiorno Europa, forse non immaginavamo che sarebbe stato così difficile lavorare - e che si sarebbe dovuto remare contro corrente - su ambedue i versanti.
Per quel che riguarda il Mezzogiorno mi pare che sia clamorosa la caduta di attenzione, di interesse, di volontà politica. Si fa una gran fatica a riproporre il problema del Mezzogiorno, se deve essere riproposto come problema del Mezzogiorno. Naturalmente si può discutere di tutto, io sono sensibile alla esigenza di riconsiderare i parametri del divario, o - diciamo - i parametri del rapporto Mezzogiorno-Nord, perché è talmente cambiato il Nord ed è in vario senso cambiato anche il Mezzogiorno, da dovervi dedicare una attenzione nuova.
Però si è fatta sempre più fatica, e oggi si fa molta fatica - l'ho voluto dire anche ieri pubblicamente - a riproporre questa tematica, questa realtà, l'esigenza di analizzarla.
Voi fate moltissimo e posso solo dire che non so come facciate a mettere tanta carne al fuoco, anche per il programma prossimo venturo. C'è una scelta molto calibrata di temi di particolare interesse e attualità, approfondendo i quali si fa avanzare anche la riflessione complessiva sulla realtà meridionale e sul tema del Mezzogiorno.
Direi che non meno fatica si è venuta facendo per affrontare il tema Europa. Noi abbiamo adesso (forse si può dirlo) una certa reviviscenza di interesse e di impegno perché stanno accadendo delle cose che prepotentemente dimostrano il ruolo che l'Europa è chiamata ad assumere. Però questo ruolo è stato negli anni scorsi ampiamente contestato ed è stato oggetto di giudizi sommariamente liquidatori. Ora non sarei così sicuro che tutto vada per il meglio: registriamo dei passi in avanti, non tanto sul piano istituzionale, perché siamo ancora penosamente in attesa della ratifica del più modesto Trattato di Lisbona, ma nel senso di una certa capacità di intervento dell'Europa in circostanze recenti, che vanno dalla crisi georgiana alla crisi finanziaria mondiale.
Però, si fa ancora molta fatica a riproporre e a rilanciare il ruolo dell'Europa, per quanto sia continuamente sollecitato e riconosciuto. In realtà, sono convinto che ci sia ancora una grandissima miopia nelle classi dirigenti e nelle leadership politiche nazionali: c'è una resistenza ad accettare davvero gli svolgimenti coerenti del punto di partenza della costruzione europea: quello, cioè, di una condivisione di sovranità e di un esercizio in comune di poteri condivisi ed efficaci. Mi pare che anche in questo momento, nonostante le apparenze e nonostante certi risultati, rimanga ancora un nocciolo duro, molto duro da vincere.
Credo di avere il dovere - che è di chiunque faccia politica e non solo di chi ha responsabilità istituzionali - di non abbandonarmi al pessimismo. Ma di qui a dire che io sprizzo ottimismo, vi assicuro che mi costa uno sforzo. Perché vedo la durezza delle resistenze che si oppongono sia ad un rilancio dell'impegno meridionalista sia ad un rilancio dell'impegno europeista.
Quando fondammo questo Centro, avevamo in mente non solo il rapporto Mezzogiorno-Europa ma il rapporto Cultura-Politica. E credo che qui c'è la funzione sempre viva, di questa Fondazione e di altre, ma anche l'assoluta necessità di ripensare questo rapporto e di reagire a quello che è stato un fenomeno sempre più pesante. Io conclusi la mia autobiografia politica parlando dell'impoverimento culturale e morale della politica. E questo è un fenomeno sotto gli occhi di tutti, a cui si incontra una enorme difficoltà a reagire.
Da un lato cultura: io penso che veramente si stia dando, da parte di soggetti come questa Fondazione, un contributo che non a caso non viene più dai partiti. Una volta erano proiezione dei partiti politici anche le realtà culturali, i momenti di elaborazione, spesso molto alti. Oggi questi apporti debbono fondamentalmente venire dall'esterno dei partiti, guardando ad essi e con l'obiettivo anche di contribuire ad una riqualificazione, ad un rinnovamento che non deve essere soltanto un rinnovamento dei partiti in quanto formazioni politiche ma anche un rinnovamento dei partiti per le loro responsabilità di governo e amministrative.
Non voglio aggiungere nulla a ciò che ho detto pubblicamente ieri. L'ho detto perché veramente sono persuaso che se oggi non si dà il senso di una forte capacità di autocritica e di autocorrezione nel Mezzogiorno, poi la partita per far passare delle politiche corrispondenti alle esigenze del Mezzogiorno diventa enormemente più difficile.
Questo è anche il discorso del federalismo fiscale: si possono denunciare i rischi e paventare esiti infausti del federalismo fiscale, ma se ci si sottrae ad un esercizio di responsabilità per quello che riguarda l'amministrazione della cosa pubblica nel Mezzogiorno, non si hanno titoli per resistere anche alle impostazioni più perverse, più pericolose del nodo del federalismo fiscale.