Palazzo del Quirinale 20/12/2010

Intervento del Presidente Napolitano in occasione della presentazione degli auguri del corpo diplomatico

Eccellentissimo Decano,
Signore e Signori Ambasciatori,
Signore e Signori,

La ringrazio, Signor Decano, e ricambio all'intero Corpo Diplomatico i graditissimi auguri che Ella ha inteso rivolgere all'Italia e alla mia persona. Le Sue parole suonano come un appello alla "buona volontà" di tutta la comunità internazionale, nella scia del lungimirante messaggio del Pontefice per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio. Sono convinto che l'alta visione della Santa Sede sia colta nel suo valore da tutti i presenti. Le posso assicurare che essa trova forte consonanza nei principi e valori perseguiti sul piano internazionale dall'Italia, tra i quali in particolare quello della libertà religiosa come condizione importante per la pace e la stabilità.

L'illusione che con la caduta del Muro di Berlino e la conclusione della guerra fredda, si andasse verso "la fine della storia", verso un futuro, con l'inizio del nuovo Millennio, di convivenza indolore, non turbata da conflitti, è svanita da tempo. Diverse, gravi tensioni sono insorte. L'anno che sta per chiudersi non ha fatto eccezione. Avremmo voluto poterci incontrare oggi celebrando un orizzonte più sereno. Eppure le legittime preoccupazioni per la complessa situazione internazionale non devono tradursi in fatalistico pessimismo.

Il bilancio del primo decennio del XXI secolo ha all'attivo gli enormi progressi economici, civili e politici di intere aree del mondo. Non dimentichiamolo, prima di indulgere alla visione schematica di una globalizzazione che produce pochi vincitori e molti sconfitti. Nel mondo interdipendente in cui viviamo - oggi ancor più che dieci anni orsono - è avvenuto esattamente il contrario. La spiegazione ha un solo nome : corresponsabilità e maggiore solidarietà internazionale. E' questo lo spirito, frutto non di utopia ma di realismo, che ci ha permesso di superare congiunture difficili, di affrontare sfide inattese - e di fare progressi. Malgrado le ultime difficoltà, non è certo il momento di abbandonare la strada del dialogo, della cooperazione e dell'integrazione. A questo proposito, sono fermamente convinto che la via del negoziato debba essere seguita per disinnescare le rinnovate tensioni nella penisola coreana, nel rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Signore e Signori Ambasciatori
in un mondo in trasformazione l'Italia non si è pertanto sottratta e non si sottrae ad un ruolo di elevate e tradizionali responsabilità internazionali: nei fori multilaterali, a cominciare dalle Nazioni Unite; in Europa; nella comunità atlantica; nel Mediterraneo; nel rapporto con storici protagonisti della politica internazionale e, sempre di più, con i grandi paesi emergenti; in tutti i nostri tradizionali legami di amicizia con i paesi, vicini e lontani, che Voi ben rappresentate. .
Non mi sono sfuggite le Vostre manifestazioni di amicizia e di rispetto nei confronti dell'Italia, sempre rinnovate con grande evidenza nei miei viaggi all'estero di quest'anno a Bruxelles, in Siria, a Washington, a Malta, a Parigi, a Oporto, in Cina, a Vienna, visitando le Istituzioni Europee e il Consiglio Atlantico. Le ritengo innanzitutto un riconoscimento dell'attivo e tenace impegno dell'Italia a favore della pace e della stabilità internazionale.
Non un impegno a cuor leggero. Ad oggi circa ottomila militari italiani sono presenti in ventidue missioni di stabilizzazione, autorizzate dalle Nazioni Unite in venti diverse realtà geografiche. Di questi ben quattromila, donne e uomini, nella missione ISAF in Afghanistan, cui partecipano molti altri contingenti di Paesi da voi rappresentati. La dimensione sicurezza si salda con lo sforzo più ampio indirizzato al rafforzamento delle istituzioni, alla crescita economica e alla difesa dei diritti umani.

L'impegno - e mi preme sottolinearlo - è della nostra intera compagine nazionale. Travalica il dibattito politico interno, molto aspro e divisivo. La collocazione internazionale dell'Italia è largamente condivisa, come dicono anche le votazioni parlamentari. Sono sicuro che Voi ne siate osservatori ben informati.

Sono altrettanto sicuro che conosciate bene le linee fondamentali e strategiche della politica estera italiana: la realistica convinzione della necessità - oggi più che mai - di proseguire, approfondire e allargare il cammino dell'integrazione europea; l'appartenenza atlantica che ci ha garantito oltre sessant'anni di sicurezza fondata su valori comuni e che è culminata nell'innovativo Vertice di Lisbona; la fiducia nel multilateralismo; la fitta rete di amicizie intessute con i Balcani e con i Paesi del bacino del Mediterraneo; il costante stimolo e sostegno al processo di pace in Medio Oriente; l'apertura alle nuove realtà di rilievo internazionale in Asia, in America Latina, in Africa con le quali condividere la governance mondiale; l'impegno nella lotta al terrorismo che continua a mietere le vite di innocenti, da ultimo con le stragi di civili e di religiosi a Baghdad e nel Baluchistan iraniano; la determinazione nell'affrontare -insieme a tutti i vostri Paesi - le sfide globali, in primis nel farsi carico dei cambiamenti climatici e nel conciliare il consumo di energia col rispetto dell'ambiente; la vocazione umanitaria nell'alleviare le sofferenze provocate dalle catastrofi - e, fra tante, non posso dimenticare la tragedia di Haiti - e nel sostenere la ricostruzione.

Farei un torto alla Vostra professionalità soffermandomi più a lungo sulle linee generali della politica estera italiana. Preferisco farVi partecipi di alcune riflessioni che nascono dagli eventi a cui abbiamo assistito in questi ultimi dodici mesi.

Le indubbie difficoltà che molti Paesi stanno incontrando nella ripresa economica e nella gestione dei conti pubblici non ci devono far perdere di vista il quadro complessivo né sottovalutare la reazione tempestiva e globalmente positiva alla crisi scoppiata nel 2008. Questo non significa guardarvi con trionfalismo, ma neanche abbandonarsi a pessimismi acritici. Significa piuttosto serrare le fila nel governo dell'interdipendenza mondiale, portando avanti lo sforzo che ci ha permesso di superare la fase di immediata emergenza. Significa anche non schivare l'innovazione, necessaria per adattare ad un mondo globalizzato e policentrico la cooperazione internazionale e le istituzioni economico-finanziarie.

L'economia mondiale e' cresciuta di circa il 5% nel corso del 2010. Il buon risultato complessivo non deve far dimenticare la necessità di tenere sotto controllo le molteplici vistose asimmetrie. La loro gestione richiede il mantenimento di un quadro multilaterale aperto, pena nuove instabilità e tensioni, che da ultimo metterebbero a repentaglio la ripresa - per tutti. Non è questo il momento di cercare la salvezza da soli. I benefici di politiche unilaterali, nazionali o per gruppi di paesi, sarebbero di breve durata.
Nella crisi economica di un mondo interdipendente, o si riemerge insieme, o si rischia di affondare.

Sono necessarie soluzioni che recepiscano gli interessi dell'intera comunità internazionale. La presidenza congiunta del G8 e del G20 da parte della Francia, cui formulo i migliori auguri di buon lavoro, rappresenta un'opportunità da cogliere, e non solo per meglio coordinare questi due fori. L'obiettivo principale è quello di consolidare le prospettive di crescita sostenibile. Il Vertice di Cancun ha gettato fondamenta su cui costruire.

Nato in piena emergenza, il G20 ha fatto molto. Da ultimo a Seoul, sul versante della riforma delle istituzioni finanziarie e della sicurezza del sistema bancario internazionale. Tuttavia molto rimane da fare, soprattutto sul fronte del coordinamento delle politiche macroeconomiche. Se è vero che Europa e Stati Uniti stentano più delle economie emergenti, è altrettanto vero che la tenuta delle economie mature e il loro dinamismo tecnologico sono fondamentali per sostenere la crescita di quelle in via di sviluppo.

Dobbiamo altresì interrogarci sulla profonda incrinatura del modello di sviluppo basato su un enorme dilatarsi della dimensione finanziaria. Le istituzioni creditizie si sono in molti casi assunte rischi immensi senza adeguate coperture. Il mercato lasciato a sé stesso ha prodotto crescita ma ne ha rivelato i piedi d'argilla, fra l'altro a prezzo di crescenti ineguaglianze delle quali dobbiamo oggi farci carico. La protesta pacifica, benché spesso sviata da inammissibili violenze, di tanti cittadini nelle strade delle nostre capitali è una spia di malessere che le democrazie non possono ignorare.

Al contempo hanno fatto irruzione sulla scena le economie emergenti e in via di sviluppo. Non nascondo gli squilibri e le tensioni di fronte a cui questo nuovo scenario pone economie industrializzate di vecchia data, come l'Italia. Ma neanche che questo rivoluzionamento nei rapporti economici mondiali ha sottratto decine e centinaia di milioni di esseri umani all'asservimento della povertà e del bisogno. Questo è un grande successo del sistema internazionale cresciuto negli ultimi sessant'anni e della "globalizzazione" negli ultimi venti. Dobbiamo indubbiamente gestirlo - non disconoscerlo.

La sfida che oggi ci attende non è dissimile da quella successiva alla Seconda Guerra Mondiale, tradottasi nelle istituzioni di Bretton Woods. Occorre non ricalcare i ripiegamenti, gli isolazionismi e le politiche restrittive del periodo precedente. Il modello cui ispirarsi è la lungimiranza degli anni della nascita dell'FMI e della Banca Mondiale, gli anni dell'ONU, della NATO, della Comunità del Carbone e dell'Acciaio, non quello delle miopie e degli egoismi nazionali degli anni '20 e '30 dello scorso secolo.

Quest'anno i contraccolpi della crisi finanziaria mondiale si sono abbattuti con particolare intensità sulla moneta unica europea. Non sottovalutiamo i rischi per tutti. Ma siamo fermi nella considerazione che l'euro costituisce un traguardo fondamentale ed irreversibile della nostra vicenda comune. E lasciate che io qui renda omaggio alla memoria di Tommaso Padoa Schioppa, repentinamente scomparso, grande figura pubblica italiana ed europea, che di quella scelta fu protagonista. Non era una scelta obbligata - fu presa liberamente; non è stato wishful thinking - il progetto si è tradotto in realtà; non è una camicia di forza - abbatte antiche barriere.

Nessuno dei Paesi membri dell'eurozona può negare gli straordinari benefici che ne sono derivati per tutti. Ma la grande scelta compiuta va rafforzata dotando l'area euro dei mezzi di gestione dell'unione monetaria. Quelli che abbiamo - penso alla Banca Centrale Europea e al Patto di Stabilità - funzionano, ma non bastano. E se questo impone più integrazione, dobbiamo avere il coraggio di realizzarla. E' questione di coerenza con la svolta strategica che abbiamo compiuto ormai quasi vent'anni orsono.

Abbiamo già preso decisioni coraggiose, da ultimo col Consiglio Europeo appena conclusosi. Ma occorre più determinazione nel definire e portare avanti una linea ispirata a principi di coesione e solidarietà.

Peraltro, la cornice comunitaria è decisiva ma non sostitutiva dell'impegno nazionale: al suo interno, gli Stati membri dovranno porre in essere gli aggiustamenti strutturali volti a stabilizzare il bilancio e al contempo promuovere meccanismi e politiche capaci di favorire una crescita stabile e sostenibile.
In tal senso idee, quali quella del Presidente dell'eurogruppo Juncker e del Ministro Tremonti sull'emissione di euro-bonds per gestire una parte del debito pubblico europeo, meritano di essere considerate con apertura e attenzione.

L'Europa, avvalendosi delle innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, è chiamata anche a svolgere un ruolo internazionale più incisivo, in particolare nella risposta alle sfide e alle minacce alla sicurezza globale. Salutiamo con favore la creazione di un Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE). Auspico vivamente che la prossima Assemblea Generale dell'ONU riconosca all'Unione uno status societario rafforzato.

L'Unione Europea ha una responsabilità primaria per la protezione dei propri cittadini e per la pace e stabilità internazionale. Questo rende imperativa la collaborazione con le Nazioni Unite, con l'Alleanza Atlantica, con l'OSCE e con le organizzazioni regionali, quali l'Unità Africana. La sicurezza non può essere fornita a compartimenti stagni. E questo dovrebbe essere il principio ispiratore di ogni auspicabile iniziativa nel contesto delle cooperazioni rafforzate e strutturate previste dal Trattato.

Signore e Signori,
Nel 2011 l'Italia celebra il 150° anniversario dell'unità nazionale. Sarò lieto di festeggiarlo con Voi e Vi incoraggio a partecipare alle iniziative e manifestazioni che lo punteggeranno in tutto il Paese.

"L'idea di Italia" è di ben più antica data dell'unificazione politica. L'Italia esisteva prima di nascere come Stato. Il percorso dell'Ottocento ha visto un insieme di piccole e medie unità politico-territoriali, artificialmente divise, ma accomunate da lingua, cultura e sensibilità largamente omogenee, fare di un'antica nazione italiana un moderno Stato nazionale. Il complesso percorso dell'unità si riconosce ancora oggi nell'Italia contemporanea, nella diversità e nella ricchezza delle fisionomie regionali e locali - che Vi invito a visitare e a conoscere di prima mano.

L'unificazione nazionale ebbe anche il merito storico di aprire all'Italia le porte del mondo e dell'Europa, superando un pesante ritardo rispetto agli altri grandi Stati nazionali. In effetti, per l'Italia la stagione del Risorgimento ottocentesco si salda idealmente con quella dell'integrazione europea e del respiro atlantico della seconda metà del Novecento.

Ritrovo in entrambe lo stesso afflato aperto e inclusivo, che oggi Italia e Europa vogliono mantenere, rifuggendo dalla tentazione di chiudersi in sé stesse. Per l'Europa, questo è fondamentale anche in chiave internazionale di stabilità e prosperità nei confronti delle aree geografiche limitrofe. L'obiettivo finale rimane quello di riconciliare i confini geografici con quelli politici, senza rigidità ma con capacità di recepire le istanze di quanti guardano all'Europa con fiducia e con senso di appartenenza.

Cari Ambasciatori,
la mia lunga esperienza politico-istituzionale mi ha messo in frequente e continuo contatto con la Vostra attività. Ho avuto modo di apprezzarla, sia per spessore politico e intellettuale che, in situazioni difficili, per spirito di sacrificio. Il Vostro lavoro è essenziale per i Paesi che rappresentate e per i Governi ai quali date un contributo indispensabile.

Vorrei rivolgere un pensiero ad un grande diplomatico scomparso la settimana scorsa, che già molti anni fa ebbi modo di conoscere personalmente, Richard Holbrooke. Egli fu decisivo nel riportare la pace nei Balcani e non si è risparmiato in anni più recenti negli sforzi della missione a favore dell'Afghanistan e del Pakistan. La sua figura simboleggia quanto di nobile vi è nella Vostra professione, l'impegno e la dedizione che profondete, spesso anonimamente, in tutti gli angoli del mondo.
L'importanza che l'Italia attribuisce alla funzione diplomatica è testimoniata dall'impegnativa riforma del Ministero degli Esteri, appena entrata in vigore sotto la guida del Ministro Frattini. Pur in tempi di stringenti vincoli finanziari, vogliamo offrire al Paese e a tutti i nostri interlocutori internazionali, Voi per primi, uno strumento più agile, efficiente e in sintonia con i cambiamenti intervenuti sulla scena mondiale.

A tutti i presenti, a nome dell'Italia, rivolgo un sincero ringraziamento per il ruolo che, in quanto diplomatici, svolgono al servizio dei rispettivi paesi.
La diplomazia è attitudine e disponibilità alla diversità e al dialogo; è mediazione e sintesi; è tecnica e composizione delle divergenze di valori e di interessi nelle relazioni internazionali. E' anche, sempre di più, funzione necessaria per prevenire l'insorgere, o gestire le conseguenze, dei molteplici focolai di crisi nel mondo. Per svolgere questo compito, per la comprensione e la composizione delle divergenze fra paesi, realtà e prospettive diverse, avete diritto ad una necessaria riservatezza. Andrà meglio protetta. Ma non lasciate che un'occasionale quanto infelice violazione della confidenzialità Vi distolga dalla missione che svolgete nell'interesse dei paesi amici che rappresentate, e insieme in quello più ampio - e, lasciatemelo dire, più nobile - della pace e della stabilità del mondo.

Buon Natale e Buon Anno.