Milano 01/02/2011

Intervento del Presidente Napolitano all'incontro "Tommaso Padoa Schioppa ricordato nella sua università"

Abbiamo ascoltato voci e parole grandemente significative. Ad esse vorrei affiancare le parole della lettera indirizzatami da una personalità di cui tutti conosciamo e rispettiamo la storia, Helmut Schmidt : "La notizia della scomparsa di Tommaso Padoa Schioppa mi ha profondamente colpito. Lo conoscevo bene personalmente e avevo la massima stima di lui in quanto autentico europeo. Egli era inoltre ai miei occhi una delle pochissime personalità che possedessero una visione d'insieme dei problemi attuali della politica finanziaria mondiale. Riponevo grandi speranze nella sua capacità di giudizio. La sua morte è una perdita per l'affermazione dell'inderogabile principio dell'integrazione europea".

Colgo dunque l'occasione per ringraziare Helmut Schmidt, come ringrazio Jacques Delors, Jean-Claude Trichet, Paul Volcker, perché nel loro omaggio a Tommaso Padoa Schioppa leggo un omaggio all'Italia, ai suoi uomini migliori, alla sua tradizione culturale, al suo europeismo.
Tommaso è stato tra gli italiani che hanno scritto la storia dell'integrazione europea : una non esigua schiera di uomini politici e di governo, di studiosi e di civil servant. Iniziarono a orientare l'Italia, appena tornata libera, verso la costruzione europea, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli : il politico-statista e il politico-visionario, così diversi tra loro ma accomunati dall'ideale dell'Europa unita. Molti altri italiani ne avrebbero accompagnato il cammino e nei decenni successivi seguito le orme, nei governi della Repubblica, nelle istituzioni comunitarie, nel Parlamento italiano e in quello europeo, nel movimento federalista.

Ma qui, ricordando e onorando Tommaso Padoa Schioppa, sento di dover mettere l'accento su personalità estranee a caratterizzazioni e funzioni politiche, che sono state anch'esse decisive per fare dell'Italia non solo un paese fondatore ma un soggetto protagonista del lungo cammino dell'integrazione e dell'unità europea.

Parlo di studiosi lungimiranti e di Università divenute centri di irradiazione di una cultura europeista. Parlo di servitori della cosa pubblica, operanti in grandi amministrazioni dello Stato, da quella degli Esteri al Tesoro, e in istituzioni indipendenti di indiscusso prestigio come la nostra Banca Centrale. La vocazione e l'impronta europeistiche della scuola diplomatica italiana, i talenti che essa ha espresso, la sua operosità e capacità di iniziativa, hanno permesso al paese di dare impulsi e contributi preziosi al processo d'integrazione, in particolare nei negoziati per i Trattati europei, da Roma a Maastricht e oltre. Ed essenziale è stato per l'azione politica e diplomatica dei nostri governi l'apporto della Banca d'Italia, dei suoi governatori, dei suoi Direttôrii, dei suoi Servizi : un nutrimento insostituibile di idee e di professionalità.

Questo è stato il contesto italiano nel quale Tommaso si formò e diede via via il meglio di sé, da banchiere centrale ma non solo in quella veste. Da banchiere centrale, avendone appreso l'arte - egli scrisse anni orsono - da maestri come Franco Modigliani e Paolo Baffi, operò a Roma e infine, in assoluta continuità e pienamente a suo agio, a Francoforte. In quella e in altre vesti egli diede un'immagine di public servant, di servitore della cosa pubblica, non riducibile alla figura - peraltro, di assai dubbia definibilità - del "tecnocrate". Uomini di profonda vocazione e formazione democratica come lui, in qualunque struttura o istituzione operino sul piano nazionale o internazionale, per elevate che siano le loro competenze e prestazioni tecniche, conoscono il senso del limite, sanno dove la loro responsabilità si arresta e cede il passo alla sfera delle decisioni politiche, assunte in nome della sovranità popolare.

Per ciascuno di essi può poi anche venire il momento - come venne in tempi recenti per Tommaso su chiamata di Romano Prodi - di assumere eccezionalmente funzioni politiche dirette, rappresentative e di governo, il momento in cui si avverta, per forti ragioni, il dovere di non sottrarsi a quel difficile e anche ingrato esercizio : ma questo è un altro discorso.

Vorrei piuttosto richiamare qualche riflessione che Tommaso Padoa Schioppa dedicò in un denso saggio del 2009 al ruolo della politica ovvero dei pubblici poteri. Analizzando le cause della crisi globale deflagrata, dopo un anno e mezzo d'incubazione, nel settembre 2008, egli indicò l'influenza nefasta che aveva avuto "il falso assunto che i mercati in generale, e quelli finanziari in particolare, fossero capaci di autoregolarsi e non avessero quindi bisogno di regolazione pubblica". Nato "in reazione a un eccesso, nel periodo precedente, di interventismo pubblico e sfiducia nei mercati" si era affermato "quel che può definirsi" - egli scrisse - un "fondamentalismo di mercato" : ovvero - parole forti - la "abdicazione della politica". Nel denunciare questa distorsione, Padoa Schioppa registrò tuttavia "il recente spostarsi del pendolo, di fronte alla crisi insorta su scala mondiale, verso l'opposto estremo di dilaganti interventi sul mercato", e non escluse quindi che ci si dovesse "preparare a difendere nuovamente i principi di mercato". Egli così delineava l'equilibrio della sua visione, fondata in non lieve misura sulla sua esperienza di banchiere centrale nazionale ed europeo.Ma ci sarà molto da lavorare sull'intero, così ricco suo lascito di analisi, elaborazioni, riflessioni, un lascito che a partire da oggi la Bocconi assume, per così dire, su di sé con l'impegno culturale e morale che ne deriva.

E per tutte le forze che si sentano corresponsabili del ruolo e dell'immagine del nostro paese, ci sarà molto da raccogliere dell'impegno e dell'esempio di un uomo come Tommaso Padoa Schioppa e di quanti hanno egualmente concorso ad affermare l'apporto e il prestigio dell'Italia in Europa.
Il punto di partenza può forse essere rappresentato dalle conclusioni cui egli era già giunto nel suo libro del 2004 : dopo aver con impressionante continuità e coerenza lavorato nel corso di un decennio a perorare - partendo dallo stringente paradigma del "quartetto inconciliabile" - la necessità dell'unione monetaria, fino a vederla sancita nel Trattato di Maastricht, e dopo aver collaborato da Francoforte (che avrebbe lasciato nel 2005) a farne nascere e consolidarne il governo, egli indicò nella "mancanza di unità politica" dell'Europa la prova decisiva che restava da affrontare.
Quella mancanza era un elemento non di forza ma di debolezza per la Banca centrale europea : "Sarebbe esiziale" - egli scrisse - "confondere l'indipendenza con la solitudine".

E in effetti abbiamo potuto, di fronte alla crisi dell'Euro e dell'Eurosistema, sperimentare le conseguenze del non aver saputo porre "una economia e un ordine politico forti" - come Padoa Schioppa aveva auspicato - a presidio di una moneta forte. Se già nel 1992 egli vedeva che "lo spazio per l'ambiguità e per l'incertezza sull'unità europea era divenuto più stretto", ora esso ci appare talmente stretto da non poter reggere. Di qui la necessità di quel risoluto operare per lo sviluppo del processo di integrazione europea, cui anche l'Italia è chiamata a dare un nuovo impulso.


Non intendo indulgere a valutazioni sommarie del percorso compiuto e dello scenario delineatosi nell'ultimo biennio. Si deve responsabilmente riconoscere che risposte impegnative alla crisi globale sono venute dall'Unione, anche se scontando ritardi e limiti non irrilevanti ; si deve riconoscere che le istituzioni dell'Unione si sono aperte a innovazioni significative sul piano della governance finanziaria e della convergenza tra politiche di bilancio. Ma è anche vero che sono riapparse nelle sfere politiche e nelle più vaste opinioni pubbliche di diversi Stati membri, tendenze frenanti rispetto ai passi ulteriori, per quanto graduali, che ormai si impongono sulla via di una più coerente integrazione e di una più robusta volontà politica comune. A questo proposito, di spazio per esitare o ancor peggio per ripiegare ne è rimasto davvero poco. E in ciascun paese bisogna interrogarsi su come fare nel senso giusto la propria parte.


Mi riferisco anche e in particolare al mio paese, perché le voci che oggi abbiamo ascoltato, le parole dei nostri amici francesi, tedeschi, americani, ci dicono, certo, che Tommaso era entrato a far parte della più ristretta cerchia di coloro che sono giunti a pensare e agire da europei in nome dell'Europa : ma nello stesso tempo restando profondamente italiano egli era tra coloro che esprimevano l'irrinunciabile vocazione europea, e l'insostituibile funzione europea, dell'Italia.


Perciò a lui va la riconoscenza della nazione che rappresento ; e a quanti hanno in questa occasione reso omaggio a lui e insieme all'Italia, va il mio grazie sincero, senza nascondermi quel che nello stesso tempo da noi ci si attende : ancora un apporto italiano di passione e di idee, di energie e di volontà politica, alla causa europea. Un apporto che non deve venir meno : e che non verrà meno se sapremo, guardando al nostro destino europeo, dar prova di consapevolezza del passato e di senso del futuro.