New York 28/03/2011

Intervento del Presidente Napolitano all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Presidente Deiss,
Segretario Generale Ban,
Rappresentanti Permanenti,
Signore e Signori,

È per me un grande onore rivolgermi all'Assemblea Generale in un momento estremamente impegnativo per tutti.
Siamo dinanzi a serie minacce alla pace e alla sicurezza internazionali, a focolai di instabilità politica, a disordini economici e finanziari, e anche a disastri naturali senza precedenti. Venti di libertà, domande di dignità umana e giustizia sociale si levano con forza attraverso il mondo. Dobbiamo pronunciarci in difesa dei diritti umani come fondamento della stabilità politica e di una crescita sostenibile. Dobbiamo rafforzare la legittimità internazionale e lo Stato di diritto. Dobbiamo rinnovare il nostro impegno per un sistema multilaterale di relazioni internazionali.
Abbiamo bisogno delle Nazioni Unite.

La storia, la geografia e la cultura dell'Italia sono radicate nel Mediterraneo. Le fortune dell'Europa ascendono e decadono con il Mediterraneo. Noi, italiani, europei, percepiamo noi stessi come parte del Mediterraneo. Mari ed oceani uniscono i popoli e i loro destini. Il nostro futuro risiede in un partenariato condiviso con i nostri amici in Nord Africa, nel Medio Oriente, nel Golfo.

Nelle ultime settimane e mesi un'ondata di disordini e malcontento ha sconvolto molti Paesi nella regione. La popolazione è scesa in strada. Non nascondo la nostra preoccupazione rispetto a questa piega degli eventi. Nessuno gradisce l'instabilità alla propria porta di casa. In alcuni casi tuttavia la stabilità era più fragile e precaria di quanto non apparisse e noi stessi avremmo dovuto essere maggiormente consapevoli delle possibili conseguenze di forme autoritarie di governo e della corruzione diffusa nei circoli ristretti al potere.

Di converso, il percorso che molti governi hanno ora coraggiosamente intrapreso nella direzione del negoziato politico, del dialogo con la società civile e della partecipazione democratica, comporterà un rafforzamento delle istituzioni statali e della legge. La democrazia avanzerà, dall'interno e senza essere imposta da fuori. Saranno così poste fondamenta solide e credibili per la crescita economica e un benessere più diffuso.

Il futuro dei nostri partners e amici del Mediterraneo è nelle loro mani. Essi devono tuttavia sapere che non rimarranno soli, né isolati, né dimenticati. L'Italia e l'Europa sono pronte ad unire le forze con loro e a sostenere i loro sforzi di rinnovamento politico, sociale ed economico. All'inizio di marzo, con la Comunicazione della Commissione Europea sul partenariato per la democrazia e la condivisione del benessere con il Mediterraneo meridionale, l'Unione Europea ha introdotto una strategia più focalizzata, innovativa e ad ampio raggio per rispondere ai mutamenti in corso nel Mediterraneo. «Le riforme politiche ed economiche - vi si dice - devono accompagnarsi, favorendolo, con il godimento dei diritti politici e della libertà, la trasparenza e la partecipazione. L'Unione Europea deve essere pronta a garantire maggiore sostegno ai Paesi che sono disponibili ad impegnarsi in vista di questa agenda comune, ma anche a riconsiderare il proprio supporto a quei governi che si allontanano da tale percorso». Su ciò si gioca una stabilizzazione di lungo periodo. I suoi fondamenti sono da ricercarsi in fattori quali la libertà, la fioritura della società civile, il rispetto dei diritti umani, il progresso democratico, la riconciliazione nazionale e il buon governo.

Nessuno di questi fattori era sfortunatamente presente nel caso della Libia. Il governo libico ha rigettato numerosi appelli internazionali, inclusa una richiesta unanime proveniente da questa Assemblea, e ha risposto al dissenso con la repressione, alla protesta civile con la forza militare, su una scala senza precedenti.

Il mondo non poteva assistere senza reagire alle molte vittime e alle distruzioni massicce inflitte dal leader libico alla sua stessa popolazione. La responsabilità di proteggere ricade sulle Nazioni Unite, e del resto il Capitolo VII della Carta contempla specificamente l'uso della forza per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

In Libia siamo per l'appunto impegnati a proteggere la popolazione civile e a fare rispettare la Carta delle Nazioni Unite, agendo nella piena legittimità internazionale conferita dalla Risoluzione n. 1973 approvata lo scorso 17 marzo dal Consiglio di Sicurezza.
Non sottovalutiamo nel modo più assoluto i costi umani e i rischi delle azioni militari. Nelle missioni internazionali all'estero l'Italia ha pagato un alto prezzo in termini di vite umane e di sofferenza. Tuttavia, come ho avuto modo di affermare a Ginevra parlando al Consiglio per i Diritti Umani lo scorso 4 marzo, la protezione giuridica internazionale dei diritti umani è al centro del sistema delle Nazioni Unite, come testimonia la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. Essa è sempre più importante per tutti gli Stati membri, senza eccezione. I diritti umani sono divenuti progressivamente una pietra angolare delle relazioni internazionali. Di conseguenza, violazioni massicce dei diritti umani rendono un regime illegittimo e lo pongono al di fuori della comunità degli Stati.

Si tratta di una nozione cruciale, che si sta sempre più affermando, come è dimostrato anche dall'approvazione della Risoluzione 1973. Questo non significa pretendere di esportare uno specifico modello di democrazia, bensì promuovere e proteggere i diritti fondamentali, civili e politici, e le libertà religiose, come precondizione per l'autonoma realizzazione, dal basso e con modalità diverse per ogni singolo Paese, di sistemi democratici.
La Libia appartiene ad una regione che sta affrontando un profondo cambiamento, che è scaturito da principî comuni, principî di giustizia e progresso, di tolleranza e di dignità per ogni essere umano, come affermato dal Presidente Obama nel suo discorso al Cairo del giugno 2009. Noi tutti condividiamo questi medesimi valori. Recentemente riaffermati dalla Lega Araba, essi sono divenuti un faro per la trasformazione in atto nel Mediterraneo.

Il 17 marzo l'Italia ha celebrato il 150° anniversario della propria Unità nazionale. Siamo un'antica Nazione ma uno Stato giovane, divenuto Repubblica proprio mentre le Nazioni Unite nascevano.
«Per due volte nell'arco della nostra generazione il flagello della guerra ha recato indicibili sofferenze all'Umanità», recita il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite. In quegli stessi anni l'Italia ha abbracciato la democrazia internamente e aderito a un ordine internazionale multilaterale, due facce della stessa medaglia. L'Italia ha adottato il multilateralismo con entusiasmo: i due punti fermi della posizione dell'Italia nelle relazioni internazionali sono stati e sono la creazione ed il rafforzamento della Comunità Europea e l'adesione all'Alleanza Atlantica. Le Nazioni Unite incarnano la medesima scelta multilateralista su scala globale: il rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona umana e l'eguale status di tutte le Nazioni, grandi e piccole, ne fanno una Organizzazione veramente universale.

Negli anni in cui venivano fondate le Nazioni Unite, l'Italia ha adottato la propria Costituzione, la quale «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Questi ideali, fissati nei Principî Fondamentali della Repubblica, hanno ispirato l'azione internazionale del mio Paese nel corso di più di sessant'anni di vita delle Nazioni Unite e in particolare il nostro fattivo contributo alla costruzione delle istituzioni europee sovranazionali.

Signor Presidente,
All'alba del nuovo millennio le Nazioni Unite devono confrontarsi con sfide vecchie e nuove. Mentre rimangono di fondamentale importanza il perseguimento della pace e della sicurezza, la difesa dei diritti umani e la promozione di uno sviluppo sostenibile, il mondo sta diventando sempre più complesso e ricco di contraddizioni. Per un verso, la cooperazione internazionale ha avuto successo nello sconfiggere la povertà assoluta e la miseria di una parte significativa dell'umanità. Sfortunatamente, tuttavia, a partire dal 2008, la grave crisi finanziaria ha messo in luce i drammatici squilibri dell'economia e della finanza internazionale. Il collasso di poco evitato del sistema bancario e l'evidente necessità di un intervento pubblico hanno portato ad un accumulo senza precedenti di debito sovrano in molti Paesi.

La finanza e gli strumenti finanziari si evolvono velocemente, troppo velocemente per consentire agli Stati di reagire in tempo utile.
Non si tratta di un fallimento della globalizzazione, ma piuttosto del governo internazionale dell'economia. Per milioni di persone la globalizzazione ha rappresentato un potente motore di crescita e di benessere. Penso ai contadini in regioni remote, i quali possono godere di più accettabili condizioni di vita grazie a migliori tecniche di produzione o a nuove modalità di commercio affidate ai telefoni cellulari o ad Internet. D'altro canto, naturalmente, anche i problemi si sono globalizzati, al punto che gli Stati sovrani non sono più in grado di affrontarli su base nazionale. La globalizzazione dei problemi richiede la globalizzazione delle soluzioni.

In campo economico, questo è un mondo ormai trasformato rispetto a quello di Bretton Woods. Il sistema basato sulla parità aurea è tramontato. Dopo la rivoluzione digitale, premendo il tasto di un computer è possibile trasferire un quantità illimitata di denaro, anche virtuale, scommettendo su quotazioni future. L'economia virtuale dà a volte l'impressione di avere la meglio su quella reale, così come le speculazioni finanziarie sembrano sopravanzare la produzione ed il lavoro. Gli strumenti finanziarî hanno indubbiamente agevolato il credito. Essi hanno tuttavia generato anche una eccessiva fiducia nella sostenibilità dell'indebitamento delle famiglie, che è una delle cause della crisi internazionale del 2008. La crisi ha avuto probabilmente come suo principale fattore l'indebolimento delle vecchie autorità di regolazione dei mercati e il ritardo, se non la riluttanza, nel definire nuove regole e le relative istituzioni.
È in questa direzione che il Segretario Generale Ban Ki Moon incita indefessamente le Nazioni Unite a far avanzare la loro agenda.

La stabilità mondiale è minacciata anche da disastri naturali, profondi cambiamenti, sconvolgimenti politici.
A partire dal 2004 una sequenza senza precedenti di tsunami, terremoti, inondazioni, siccità, incendi hanno provocato gravi sofferenze e lutti, costando la vita a centinaia di migliaia di persone.
Consentitemi di cogliere questa opportunità per rinnovare la mia solidarietà al popolo giapponese per le sofferenze ad esso inflitte dal devastante tsunami e la mia ammirazione per la sua forza d'animo. È tempo che la comunità internazionale ricambi la generosità che il Giappone non ha mai mancato di dimostrare in simili avversità.

Determinati sconvolgimenti politici possono essere spiegati come una conseguenza positiva della globalizzazione che ha fatto sentire ciascun uomo o donna cittadino di un mondo più ampio. Sta per tramontare l'èra dei regimi che nascondono la verità, limitano il movimento delle persone e fanno ricorso a menzogne, alla corruzione e a false rappresentazioni del mondo esterno. Non è più tempo per riforme cosmetiche e limitate. È in gioco il rapporto tra il cittadino e lo Stato, il cosiddetto contratto sociale. Il mondo ha una chiara responsabilità non solo nell'aiutare questa nuova alba a divenire una realtà ma anche nell'intervenire ovunque dittature, violenze e oscurantismo tentino di contrastare il nuovo. La comunità internazionale deve fare propria la domanda di libertà, giustizia, e più eque opportunità che sale da società così a lungo mantenute sotto il giogo della violenza e dell'oppressione.
La stabilità e le libertà democratiche non sono tra loro alternative. Al contrario, esse si rafforzano a vicenda.

Nessun Paese può procedere da solo. Queste sfide devono essere affrontate sulla base della legittimità internazionale. La governance di un mondo complesso ed interconnesso potrebbe e dovrebbe essere sviluppata in vario modo, attraverso istituzioni nuove e riformate, in maniera da ottenere la massima efficienza ed efficacia possibili. Resta il fatto che la base politica e giuridica di ogni governance deve sempre essere incentrata nelle Nazioni Unite. Sono nello stesso tempo consapevole del dibattito attualmente in corso sulla necessità di una maggiore cooperazione tra le Nazioni Unite e la nuove forme di governance internazionale che questa Assemblea Generale ha avviato con spirito costruttivo. A questo riguardo desidero rendere omaggio al Presidente Deiss per la sua determinazione a promuovere tale dialogo.

La questione della governance globale va al cuore del sistema delle Nazioni Unite, chiamate a rapportarsi a cambiamenti significativi. Nuovi attori globali sono emersi sulla scena internazionale; altri seguiranno le impronte dei primi.
La legittimità dell'organizzazione è incardinata nell'universale principio di uguaglianza tra i suoi Stati membri. Questa Assemblea ne è la massima espressione.
La Carta fu il risultato di uno spirito di compromesso, di tolleranza, di apertura e di rispetto per le posizioni e gli interessi degli altri, quell'attitudine al dialogo e alla ricerca del consenso che fu espressa mirabilmente dal Mahatma Gandhi: «Ma durante tutta la mia vita l'insistere sulla verità mi ha portato ad apprezzare la beltà del compromesso».
Al fine di rafforzare il mantenimento della Pace e della sicurezza a livello internazionale, qualsiasi ipotesi di riforma del Consiglio di Sicurezza dovrebbe permettere a quest'ultimo di divenire più rappresentativo, efficiente e responsabile nei confronti degli Stati membri.
Abbiamo bisogno di raggiungere un consenso, molto più che per ogni altra parte della Carta. Noi tutti condividiamo l'obbiettivo della governance internazionale, la pace e la sicurezza. Tutti gli Stati membri devono potersi riconoscere nella riforma del Consiglio di Sicurezza.

Signor Presidente,
L'Europa è in prima linea davanti alle sfide odierne. La scorsa settimana i Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea hanno compiuto passi significativi verso la razionalizzazione ed il rafforzamento della disciplina economica e finanziaria nell'eurozona. Essi hanno riaffermato l'impegno a costruire una partnership per la sicurezza e lo sviluppo del Mediterraneo.

Dall'avvio del processo di integrazione l'Europa vive in pace, da più di sessant'anni, per la prima volta nella storia. Si è estesa dai sei membri originari fino a ricomprenderne 27. Coopera con le Nazioni Unite nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ha una moneta comune. Ha istituito uno spazio unico in cui circolare e commerciare liberamente.

Abbiamo oggi bisogno di più Europa. Con il Trattato di Lisbona, l'Unione Europea ha compiuto passi in avanti sul cammino del rafforzamento delle istituzioni e delle responsabilità del Parlamento. Le circostanze attuali impongono più integrazione ed una maggiore condivisione di sovranità specialmente nel settore della politica economica e finanziaria. Per noi europei questa è un'assoluta necessità: non è possibile alcuna marcia indietro dalla moneta unica che 17 Stati membri liberamente hanno scelto di condividere.

La solidità dell'Euro è vitale per l'economia mondiale. Come statuito dal recente Consiglio Europeo, siamo pronti a prendere tutte le misure necessarie. Il rafforzamento della moneta unica richiede più integrazione; a sua volta esso costituirà il motore per ulteriori progressi verso l'affermazione di una voce europea unitaria negli affari mondiali, in particolar modo nella politica estera e di sicurezza comune.

Le scelte dell'Europa hanno le proprie radici nella storia, si sono sviluppate a riparazione di tragici errori, sono state costantemente sostenute dagli Stati Uniti e dalla sicurezza garantita dall'Alleanza Atlantica. Nell'universalità delle Nazioni Unite, il modello europeo non pretende di essere adatto a tutti. Tuttavia, ottenendo un successo al di là di ogni realistica aspettativa, l'Unione Europea è riuscita ad incarnare i benefici ed il valore aggiunto del multilateralismo e della cooperazione internazionale. Dobbiamo essere orgogliosi del nostro percorso dalle ceneri e dalle rovine ad una prospera unione di popoli e di governi. Quello che noi abbiamo ottenuto in Europa in termini di pace, stabilità, prosperità e giustizia, è proprio quanto la Carta delle Nazioni Unite rappresenta nel mondo.

L'Italia non ha mai vacillato nel suo sostegno alle Nazioni Unite, foro di massima legittimità per la promozione dei valori fondamentali dell'umanità. Nazioni Unite forti e autorevoli sono nel precipuo interesse della comunità internazionale.
Sesto contributore al bilancio ordinario e alle operazioni di peace-keeping, l'Italia schiera un maggior numero di Caschi Blu di ogni altro Paese europeo.
Non soltanto sosteniamo finanziariamente le missioni delle Nazioni Unite, ma forniamo anche le risorse umane, l'equipaggiamento, le capacità necessari per attuare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

Nei contesti post-bellici nazioni, popolazioni, donne e bambini ripongono le loro speranze per un futuro migliore nella bandiera delle Nazioni Unite. Le loro aspettative devono essere soddisfatte.
Ottomila donne e uomini italiani in uniforme al servizio di operazioni di pace delle Nazioni Unite o autorizzate dalle Nazioni Unite; la base logistica di Brindisi; il recente accordo di cooperazione tra l'Arma dei Carabinieri e l'Organizzazione per l'addestramento dei Caschi Blu: questa è la risposta dell'Italia per sostenere le Nazioni Unite nel compimento della loro missione. La nostra lunga, qualificata e generosa storia di partecipazione alle missioni delle Nazioni Unite include il sacrificio supremo di nostri Caschi Blu.

Permettetemi ora di soffermarmi brevemente su alcune tematiche che stanno particolarmente a cuore all'Italia.
1.- La nostra contrarietà alla pena di morte scaturisce da una solida ed antica convinzione sull'inviolabilità del diritto alla vita. Nel 1700 il filosofo italiano Cesare Beccaria pose una semplice domanda: «Qualcuno ha mai dato ad altri il diritto di porre termine alla sua vita?».
La storica Risoluzione dell'Assemblea Generale del 2007 per una moratoria sulle esecuzioni capitali ha avuto un ulteriore rafforzamento nel 2008 e 2009.
L'Italia è fiduciosa nel sostegno della società civile e nella crescente condivisione degli Stati membri circa l'abolizione della pena capitale.
2.- Vogliamo portare all'attenzione del mondo la drammatica condizione dei bambini nei conflitti armati Sosteniamo un progetto di addestramento per i Caschi Blu che dovranno far fronte a tale situazione sul terreno.

3.- Ci siamo impegnati ad eliminare tutte le forme di violenza contro le donne e in particolare alla pratica della mutilazione genitale femminile.
Nel solco delle parole del Presidente Truman a San Francisco - «Ogni progresso comincia con divergenze di opinioni e si sviluppa quando le divergenze vengono superate attraverso la ragione e la reciproca convinzione» - l'Italia continuerà a chiedere alle Nazioni Unite di essere in prima linea nelle prevenzione del genocidio, nella lotta contro ogni forma di discriminazione, nella difesa delle minoranze e nella protezione delle minoranze religiose.

Grazie.