New York 30/03/2011

Intervista del Presidente Napolitano rilasciata alla CNBC e pubblicata da MF con il titolo "Napolitano, l'Italia non è in svendita"

D. Presidente Giorgio Napolitano, subito una domanda a proposito dell'economia italiana, la terza maggiore della zona euro. A che punto è il processo di ripresa?

R. L'economia italiana si sta riprendendo, non senza difficoltà. Sappiamo che abbiamo qualche debolezza, soprattutto riguardo al debito pubblico. Ma abbiamo anche punti di forza che non vanno sottovalutati. Se osserviamo la situazione nel suo complesso vediamo che c'è un indebitamento privato molto basso, sia per le famiglie sia per le aziende. E abbiamo un sistema bancario efficiente. Per questo ci sono buone ragioni per guardare al futuro con fiducia. E stiamo riducendo il nostro rapporto deficit/pil, che è precondizione per ridurre il livello del debito.

D. In Italia, però, avete un Nord che è una delle regioni più ricche e produttive d'Europa. E un Sud che è tra i più arretrati e meno sviluppati. Quando riuscirete a colmare questo divario?

R. Ci sono vecchie ragioni storiche che sarebbe lungo descrivere e per superarle c'è ancora bisogno di tempo. Ma è importante capire che il Meridione d'Italia ha molte potenzialità nascoste. Ed è interesse comune del Sud e del Nord cogliere questa opportunità.

D. Gli spread finanziari continuano a mettere in difficoltà il debito italiano esponendo una sorta di bandiera rossa per gli investitori. Il rapporto debito-pil si avvicina al 120%. Può garantire che l'Italia non avrà bisogno di operazioni di salvataggio?

R. Non prevediamo alcun problema. Siamo in grado di gestire l'indebitamento e allo stesso tempo possiamo fornire ottime garanzie.
Ho appena finito di citare alcune delle nostre caratteristiche positive e, in ogni caso, abbiamo già preso misure restrittive. Andremo avanti su questa strada per arrivare ad un rapporto deficit/pil pari a zero: basterebbe mantenere la crescita interna al 2%. In ogni caso questa è materia che attiene al piano di riforma nazionale che è stato sottoposto all'Unione ruropea. E dagli organismi comunitari che nei prossimi mesi esamineranno le proposte di ogni singolo Stato ci attendiamo un giudizio positivo.

D. Quindi non siete preoccupati della possibilità che la speculazione internazionale tenti di fare dell'Italia uno dei pezzi pregiati del loro domino?

R. Assolutamente no. Non siamo nelle condizioni del Portogallo, dell'Irlanda o della Grecia. Da noi la situazione è assai differente.

D. Che tipo di minaccia rappresentano i disordini in Libia per l'economia italiana.

R. Abbiamo importanti relazioni con la Libia in campo energetico ma non sono certamente decisive per il nostro Paese. Per esempio possiamo contare su forniture di gas dall'Algeria e dalla Russia. Non abbiamo, insomma, problemi di rifornimento energetico. Per questo non abbiamo esitato a dare il nostro contributo alle operazioni delle Nazioni Unite. L'obiettivo è favorire una nuova, più stabile e più sostenibile situazione in quel Paese. Ma anche di mantenere il più possibile inalterate le nostre relazioni nei diversi settori dell'economia locale.

D. L'Italia, al momento, è la base di lancio degli attacchi aerei contro le truppe di Gheddafi. Quali soluzioni auspicate?

R. Prima di tutto speriamo di evitare una repressione dei ribelli e dei loro diritti, oltre che delle aspirazioni del popolo. E pensiamo anche che le decisioni prese alle Nazioni Unite da un largo numero di Stati abbiano già ottenuto l'effetto sperato, salvando Bengasi e altre città dagli attacchi delle forze di Gheddafi. Naturalmente è auspicio di tutti che la situazione trovi presto una soluzione. Allo stesso tempo non vogliamo prendere nemmeno lontanamente in considerazione una divisione della Libia.
Speriamo che Gheddafi e il suo entourage capiscano che gli è ormai impossibile governare il Paese. Non può più contare sulla legittimazione internazionale, per questo ci auguriamo che quanto prima emergano forze capaci di assicurare un nuovo governo, più aperto e più disponibile a soddisfare le aspirazioni di libertà e giustizia della gente libica.

 

D. La missione è oramai iniziata da dieci giorni. Quanto può durare? Pensa che la Comunità internazionale avrebbe dovuto essere più risoluta, in precedenza, nel tentativo di mandare via Gheddafi?

R. Non penso che il problema fosse mandare via Gheddafi. Semmai, forse, era di intervenire più velocemente nel tentativo di evitare la repressione e rendere impossibile alle forze di Gheddafi di colpire i ribelli. Ma in ogni caso la decisione ora è stata presa e siamo pienamente favorevoli ad un comando Nato delle operazioni.

D. L'ondata di disordini nel Nord Africa sta spingendo una nuova massa di immigrati sulle vostre coste. Come gestirete questo problema, ogni giorno più grave?

R. Non è la prima volta che abbiamo un ingente numero di sbarchi, in particolare dalla Tunisia. Anche nelle ultime settimane è soprattutto da lì che stanno arrivando. Vogliamo gestire l'emergenza assieme agli altri Paesi europei. Non si tratta di un problema solo nostro ma dell'intera Europa e abbiamo bisogno di politiche univoche sia sull'immigrazione sia sull'asilo politico.

D. Qualche giorno fa l'Italia ha annunciato che avrebbe offerto 80 milioni di euro alla Tunisia per rendere più fluidi i rapporti tra i due Paesi. Dalla caduta di Ben Ali, però, almeno 15 mila tunisini sono approdati sulle coste italiane. Come evolveranno i rapporti con quel Paese?

R. Fino a due giorni fa una delegazione del governo italiano era in missione a Tunisi. E' stato raggiunto un accordo, che sarà sottoposto al Consiglio dei ministri del governo italiano, finalizzato ad aiutare la Tunisia a risolvere i problemi economici e darle assistenza nel regolare le partenze verso la Sicilia di immigrati che non hanno titolo per entrare in Italia.

D. Cosa prevede in Italia per quanto riguarda i prezzi delle materie prime? Un po' ovunque si parla di aumento dell'inflazione. Vi preoccupa?

R. Come altri Paesi nutriamo qualche preoccupazione, sebbene per il momento l'inflazione interna resta contenuta entro il livello del 2%.

D. Tornando alla ripresa, qual è in concreto la situazione italiana? Può fare qualche numero?

R. Posso solo dire che siamo a buon punto del percorso verso la ripresa. La nostra principale preoccupazione non è solo di uscire dalla crisi ma di avere prospettive positive per il futuro e in particolare per l'occupazione. Il problema delle nuove generazioni, di tanti giovani, è non finire fuori dal mercato del lavoro. Un problema sociale, politico e umano che non può vederci indifferenti.

D. Come si possono creare posti di lavoro in Italia?

R. Con una maggiore crescita. E' vero che si può avere crescita del pil e non registrare analoga crescita occupazionale. Ma dobbiamo assolutamente recuperare il flusso virtuoso. In questo senso abbiamo già adottato diverse misure.

D. Molti hanno visto nell'ultimo rimpasto di governo un ulteriore momento di tensione tra lei e il primo ministro Silvio Berlusconi. Come giudica la reputazione internazionale dell'Italia?

R. La reputazione internazionale dell'Italia si fonda su una lunga storia e non segue gli alti e bassi della politica interna. Contiamo molto nel modo e abbiamo contato molto nella storia. Anche in quella dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Rimaniamo fermi sulle nostre posizioni. E pensiamo che quello che facciamo, per esempio nelle missioni internazionali, dall'Afghanistan al Libano, fino al Kosovo, sia la dimostrazione che meritiamo l'alta reputazione che ci siamo guadagnati in questi decenni.

D. In questo momento ci sono investitori che la stanno osservando. Come venderebbe il suo paese in modo da incrementare il capitale straniero in Italia?

R. Li incoraggerei, perché l'Italia ha tante risorse sulle quali contare per offrire garanzie. In più abbiamo tecnologia, spirito di innovazione e una grande tradizione di creatività. E abbiamo, inoltre, un capitale umano di alto livello.

D. Questo è un punto fondamentale. Lei si trova ora a New York per le celebrazioni del 150° anniversario dell'unificazione italiana, perché è venuto in questa città? Quale messaggio vuole inviare al mondo?

R. Sono venuto qui a celebrare questo anniversario per due ragioni. Perché ci sono tanti italiani negli Stati Uniti e tanti italiani hanno contribuito a sviluppare questo grande Paese, occupando ruoli importanti nella vita sociale ma rimanendo nello stesso tempo legati al paese di provenienza, alla sua cultura e alla sua lingua. Non a caso si sono mostrati felici di celebrare questo anniversario con il Presidente della Repubblica italiana.
Il secondo motivo è indipendente dalla presenza di italiani in America: le relazioni tra i due Stati sono importanti per noi, per la nostra visione comune del mondo. Ma penso siano importanti anche per gli Stati Uniti. E i messaggi del Presidente Barack Obama e degli altri Stati sulla nostra festa dell'unificazione rappresentano una ragione di orgoglio e di gratitudine. Siamo più che mai vicini e amici. E amici.

D. Ci sono altri terreni sui quali le piacerebbe incrementare questi rapporti? Come possono lavorare meglio insieme Italia e Stati Uniti?

R. Dovremmo lavorare insieme, prima di tutto, per avere un'Europa più unita, strettamente legata agli Stati Uniti da una rete di relazioni transatlantiche. E dovremmo lavorare insieme anche a nuove regole finanziare ed economiche da sviluppare in tutto il mondo.