Firenze 13/05/2011

"I giovani e il Presidente. Le domande, le risposte" . Titolo dell'articolo pubblicato dal Corriere Fiorentino sull'incontro di Palazzo Vecchio

I giovani e il Presidente. Le domande, le risposte
L'Italia, l'Europa, l'unità del paese, il lavoro, le donne


Dieci studenti universitari, dieci domande. L'Italia e l'Europa, l'unità del Paese, la responsabilità e le aspirazioni personali. Il Presidente Napolitano ha risposto ai ragazzi, seduto tra loro. Neo laureati o alle prese con gli esami; c'è anche una rappresentanza degli studenti Usa. I ragazzi parlano emozionati, come l'occasione vuole, introdotti dalla preside di Scienze politiche Franca Alacevich; nelle loro domande c'è consapevolezza, speranza, qualche dubbio sul futuro. Ascoltano le parole del Capo dello Stato, poi porteranno il messaggio ai loro compagni. Hanno eletto Napolitano loro paladino, lo conferma il cartello in platea al Comunale, ieri sera: «Caro Presidente non permetta che devastino il nostro futuro».

L'incontro

I valori e i giovani

Andrea Lattanzi, laureato in Media e giornalismo: «Lei ha voluto rimarcare i valori fondanti di questo Paese. Un segnale per ricordarci che noi giovani dovremmo rivivere quei nobili ideali. Ma non rischia di essere un sogno destinato a non realizzarsi mai?»

«Non credo che sia un sogno immaginare i giovani di oggi motivati da forti ideali, perché considero infondato il pessimismo di chi li vede dominati dall'indifferenza e dall'egoismo, sordi ai problemi e agli interessi generali. Spesso si parla del rischio della retorica di chi fa professione di ottimismo o di fiducia, ma non è minore anzi più grave e peggiore il rischio della retorica del pessimismo. I giudizi devono essere articolati perché l'universo giovanile è fatto di tante componenti. Sulla base dell'esperienza faccio presente che ci sono delle molle che operano oggi fra tanti giovani. Abbiamo esempio di partecipazione nel volontariato sia laico che cattolico, giovani motivati nel servizio civile. A Vicenza, durante l'alluvione dell'anno scorso, ho trovato la piazza affollata di giovani italiani e immigrati che hanno lavorato per salvaguardare quella bellissima città. Ritengo che queste molle esistano e possano essere stimolate e dare grandi frutti. Il valore e il concetto di unità nazionale nel corso della nostra esperienza storica si sono via via combinati con diverse pluralità e sussidiarietà. Oggi i valori fondanti acquistano connotati diversi, ad esempio siamo sempre più impegnati a coniugare unità italiana e europea. L'unità non è incompatibile, anzi richiede valorizzazioni delle diversità e pluralismo, vale per l'Italia come per l'Europa».

Consigli

Paolo Ganino, laureato in Scienze politiche: «A 150 anni dall'Unità d'Italia, cosa si sente di suggerire ai giovani di oggi, che sembrano così distanti dagli ideali fondamentali della Repubblica?»

«È la domanda più difficile. Non è possibile dare delle ricette ed è sconsigliabile fare delle ricette sia che voi riusciate a combinare le vostre aspirazioni personali. Abbiamo trasformato i valori in princìpi e in precetti della Costituzione: il valore del lavoro, il diritto al lavoro. Nel coltivare l'aspirazione personale al lavoro sappiate anche che la condizione per il raggiungimento di questi obiettivi personali è la soluzione di problemi generali, secondo indirizzi ideali e parametri che sono di moralità personale e pubblica, privata e collettiva. Voi dovete riuscirci, se mi permettete vi trasmetto un imperativo. Solo così l'Italia riuscirà ad avere un futuro».

Lo Stato e gli enti locali

Giovanni Cambi, laureato in Relazioni internazionali: «Nel momento attuale, il governo non dovrebbe farsi garante rispetto alle nuove spinte centrifughe a cui lo Stato è sottoposto?»

«La doppia spinta dello sviluppo di una dimensione sovranazionale e dello sviluppo a livello regionale e locale, che qualcuno può considerare centrifuga, è una tendenza generale, non solo italiana. c'è un problema di riqualificazione e rimotivazione dei parlamenti nazionali e dei parlamentari. Non ci può essere uno Stato nazionale degno di questo nome se non c'è una forte struttura nazionale. Non si può mettere in discussione il ruolo del ministero degli Interni, del ministero degli Esteri e la necessità di una struttura nazionale per la salvaguardia del nostro patrimonio storico-artistico, che non possono essere abbandonate all'arbitrio di gestioni che possono aversi a livello locale quando non c'è una visione nazionale di insieme. La nostra Costituzione ci ha indicato anche la strada di uno spostamento di funzioni, realizzata con la costruzione europea, quella strada che doveva essere presa e non può essere abbandonata».

Disgregazione e coscienza

Alessandra Giachetti, studentessa di Media e giornalismo: «La nostra generazione, nata a metà degli anni '80, ha vissuto mutamenti che hanno portato a uno sgretolamento del Paese. Secondo lei vi è oggi nel Paese una coscienza storica sufficiente e una memoria viva per tentare di capovolgere tale processo disgregativo?»

«Stiamo attenti prima di parlare di sgretolamento. Anche negli anni '80 abbiamo avuto grandi prove: la lotta al terrorismo, con i suoi atroci prolungamenti, è stato un momento in cui abbiamo avuto il senso di un Paese che conservata una coscienza unitaria, che resisteva allo sgretolamento che era obiettivo delle Brigate rosse. Alla fine degli anni '90 siamo riusciti a trovare le condizioni perché l'Italia entrasse nel sistema di moneta unica. Sono d'accordo, occorre un'ulteriore memoria storica, questo è stato l'obiettivo perseguito nel successo delle celebrazioni dei 150 anni dell'unificazione».

Il federalismo

Stefania Caporali, laureanda in Giurisprudenza: «L'attuazione della struttura autonomista disciplinata dal nuovo Titolo V desta molte preoccupazioni; potrebbe essere invece uno strumento di più profonda unità?»

«Non ho competenze per entrare nel merito della riforma, definita come federalismo fiscale. Quello che sento è che, se vogliamo andare verso un autonomismo, non ci si può limitare al campo fiscale. Nel momento in cui diamo nuovi poteri alle Regioni e agli enti locali, non possiamo continuare ad avere un sistema parlamentare con identici poteri e più o meno identici sistemi elettorali, come altri Paesi che hanno una camera delle Regioni delle autonomie, dove si devono responsabilizzare anche coloro che hanno poteri regionali anche a una visione complessiva dei problemi del bilancio. L'Italia ha accumulato debito pubblico, è una questione con cui devono fare i conti tutti i cittadini e tutte le istituzioni.
Ritengo un errore il fatto che negli ultimi anni si sia quasi persa per strada la riforma del nostro bicameralismo perfetto, è un elemento che va recuperato».

Pari opportunità

Alessandra Russo, laureata in Relazioni internazionali: «Tanti parlano di rilancio femminista, di quote rosa, ma nel nostro Paese in realtà la donna viene continuamente svilita. Come può essere rilanciato il suo ruolo?»

«Non siamo rimasti fermi, ma il cammino verso l'affermazione di una piena parità o pari opportunità di genere è molto lento e diseguale. A me tocca valorizzare alcune cose successe negli ultimi anni: abbiamo avuto la prima donna nominata presidente di un grande tribunale, quello di Milano, una donna presidente di una Corte d'Appello a Venezia, una donna nominata presidente della Corte di Cassazione. L'elenco può continuare, ma è un elenco di tanti casi voluti e sollecitati, la strada rimane tantissima.
Se si vedono le percentuali di elette in Parlamento cadono le braccia, la rappresentanza femminile è il punto più nero. E allora si pensa alle quote rosa, può essere una strada, ma la cosa fondamentale è dare prove, anche collettive, come il fatto che sempre di più le donne vincono i concorsi pubblici. Se continua questo trend si dovrà fare davvero spazio alle donne».

La Costituzione

Giovanna Pietropaolo, studentessa in Servizi giuridici: «Quali sono i valori dell'Unità che dopo 150 anni dovremmo recuperare? La Costituzione è ancora oggi specchio del Paese? Quali ideali possono rinnovare la nostra Italia?»

«Ci sono valori affermati limpidamente nella Costituzione, basti pensare al dovere inderogabile della solidarietà; io metterei in evidenza anche il principio di responsabilità - prima ho citato la responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche, una questione grossa quando si parla di sanità, università -, e qui torniamo al tema dell'unità e della coesione sociale. Siamo arrivati a dei giudizi abbastanza maturi. Pensiamo a com'è nata l'Italia, conferite e lacerazioni terribili, una di queste fra Stato e Chiesa.
Il fatto che tutto questo sia oggi alle spalle significa che abbiamo dato prove di coesione. Anche Obama, ricordando i suoi due anni di governo, ha parlato della lotta politica accanita che caratterizza gli Usa ma ha aggiunto che li caratterizza anche il non dimenticare mai che apparteniamo a qualcosa di più grande della fazione di ognuno di noi».

L'Italia in Europa

Niccolò De Scalzi, laureando in Relazioni internazionali: «In uno dei momenti più critici del percorso europeo, qual è il ruolo che l'Italia deve o può giocare? In particolare, rispetto alle sfide poste nei Paesi del nord Africa e soprattutto alla questione libica l'Italia, con il suo passato coloniale, che ruolo può giocare?»

«I recenti movimenti ci pongono degli interrogativi. Sono eventi carichi di opportunità e anche di incognite, è difficile cogliere ora la direzione in cui evolveranno. Quello che è accaduto in Tunisia e in Egitto è anche riflesso di una crisi globale. Dobbiamo essere capaci di una riflessione autocritica come Unione Europea. Negli ultimi tempi c'è stato un grave ripiegamento degli Stati europei su loro stessi, chiusi nel loro benessere, con una caduta di generosità e visione.
Se non si promuove sviluppo avremo contraccolpi gravissimi. Non si possono lanciare lamenti per l'arrivo di immigrati se non si sono create le condizioni perché ciò non avvenisse.
Sulla Libia c'è stato un indirizzo dell'Onu, che rispondeva a un'esigenza condivisa: non lasciare soffocare nella violenza e nel sangue il moto di libertà e autonomia. Dovevamo fare la nostra parte? lo penso di sì, non potevamo sottrarci; poi bisogna stare attenti a come questa parte la fanno gli Stati che stanno intervenendo. Hanno un passato coloniale tutti i grandi Paesi, non credo che questo condizionamento possa impedire all'Italia di assumersi la sua responsabilità.
L'Italia non ha dichiarato alcuna guerra, nel rispetto dell'articolo 11, ma al capitolo 7 dello statuto della Nato si prevede un intervento per stroncare le minacce alla pace».

L'identità del Paese

Kara Duca, studentessa NY University: «La creazione di un senso di unità è stato un tema fin dalla celebre frase di D'Azeglio: abbiamo fatto l'Italia, ora facciamo gli italiani. In questi 150 anni l'Italia è riuscita a creare la sua identità?»

«Aldilà della disputa filosofica sulla frase di D'Azeglio, l'opera di unire le diverse Italie si può dire che non è mai conclusa, soprattutto l'unificazione fra nord e sud. Ci sono stati anni fa parecchie sottolineature drammatiche, ma non bisogna rassegnarvisi. Trovare le strade è difficile, ma l'Italia deve crescere tutta insieme o non crescerà. Chiaro, c'è stata una spinta da parte delle regioni più dinamiche, però non siamo riusciti ad assicurare il ritmo complessivo di crescita. E un ritmo più equilibrato e sostenuto non si realizzerà se non si aggiungerà il valore e le risorse del Mezzogiorno».

Gli italiani

Gaetano Cervone, laureato in Scienze politiche: «Presidente, non crede che la nostra generazione possa completare il processo di unità passando da "fatta i'Italia facciamo gli italiani" a "ci sono gli italiani, facciamo l'Italia"»?

«Credo che in Italia ci sia il senso del particolare inteso come identità locale e regionale, ma anche che possa svilupparsi il senso di identità comune. Bisogna stare attenti a come si pone la questione. Benedetto Croce scrisse di come piemontesi, siciliani e napoletani si sentirono italiani non dimenticando le loro piccole patrie, ma per meglio amarle; lo diceva profetico pensando già all'Europa, in sintonia con Thomas Mann. L'avvenire era costruire l'unità europea alla maniera in cui si era costruita quella italiana, in modo che ai piemontesi si aggiungessero anche i polacchi. Su questo orizzonte dobbiamo muoverci».