Saluto e ringrazio voi tutti. Innanzitutto il Presidente Errani, la Presidente Draghetti e, in particolare, il Sindaco Merola che oggi ho avuto per la prima volta l'occasione di incontrare (e mi mancava perché credo di aver conosciuto da vicino, nel corso di molti decenni, tutti i Sindaci di Bologna). Mi interessa anche la sua particolare figura, perché è forse il primo sindaco di Bologna che nella sua esperienza di vita incarna la radice meridionale e la formazione bolognese ed emiliana, e credo che per questo potrà dare un contributo maggiore allo svolgimento di una funzione così importante.
Vorrei riprendere soltanto due spunti che ricavo dagli interventi degli oratori che mi hanno preceduto. Uno riguarda il tema dei sacrifici, della severità, della difficoltà di amministrare gli Enti locali in una condizione come quella attuale, di gravi ristrettezze per la finanza pubblica. È una condizione, senza dubbio, di straordinaria tensione per raggiungere obbiettivi che consideriamo essenziali per la vita e il futuro del nostro Paese.
Voglio naturalmente sottolineare un obbiettivo che in qualche modo riassume tutti gli altri, ed è anche la spiegazione di tante durezze nello svolgimento della politica finanziaria pubblica, cioè l'obbiettivo dell'abbattimento del debito pubblico che si è accumulato nei decenni nel nostro Paese.
Lo vado ripetendo da vario tempo, da ben prima che nascesse questo governo, e dunque con qualsiasi governo che si sia impegnato o voglia impegnarsi in questo senso, e lo considero un necessario richiamo per i cittadini, per i gruppi sociali di qualsiasi collocazione.
Noi non possiamo, innanzitutto dal punto di vista morale, lasciare sulle spalle delle generazioni più giovani e di quelle che verranno questa spaventosa eredità. Dobbiamo oggi allentare questo vincolo, perché già viaggiamo oltre i 70 miliardi di euro da versare ogni anno come pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico. Pensate a quanta parte di queste risorse potrebbe essere utilizzata per investimenti pubblici, per investimenti sociali, per lo sviluppo del Paese, ed è invece sequestrata da questo obbligo che ci portiamo dietro e che non possiamo trasferire sul futuro vicino e lontano. Quindi, dobbiamo abbattere un simile debito nell'interesse nostro, per ragioni nostre, e insieme perché non si tollera più, da parte dei nostri partner e dei nostri competitori, che si trascini la terribile eredità di un debito così pesante che è diventato uno dei fattori di esposizione dell'intero contesto economico, sociale e istituzionale europeo a rischi di deflagrazione.
Dobbiamo sapere che, anche nel corso di questi mesi, quello che è diventato oramai un termine di uso comune (chi l'avrebbe mai immaginato...), lo spread - ovvero gli alti e bassi del differenziale tra gli interessi sul debito pubblico italiano e gli interessi sul debito pubblico tedesco, che sono più bassi (addirittura adesso quasi negativi) - già ci mette sulle spalle per il 2012-2013 un'ancora maggiore entità di spesa per coprire il debito pubblico, per onorare i titoli del debito pubblico. A questa realtà si legano tutte le misure restrittive che sono state prese; ed è vero che, per quanti sforzi si facciano, le restrizioni nella spesa pubblica hanno un impatto sulla crescita. Naturalmente, non qualsiasi taglio, qualsiasi spesa, ha lo stesso impatto; vedo che nella bozza di dichiarazione preparata per il Consiglio Europeo (non so se la si sia licenziata negli stessi termini) si dice che bisogna operare per un risanamento della finanza pubblica favorevole alla crescita - e per queste formule, poi, la lingua inglese aiuta molto: «growth friendly consolidation» è una bellissima formula. Ma sappiamo che è molto difficile impedire che riduzioni anche pesanti della spesa pubblica abbiano un impatto negativo sulla crescita.
Dobbiamo comunque fare uno sforzo per selezionare molto bene le riduzioni di spesa pubblica. Il governo attuale si è impegnato ad effettuare quella che, sempre con un'espressione inglese corrente, si chiama spending review, cioè una rassegna puntuale di tutti i capitoli della spesa pubblica, di tutte le voci della spesa pubblica, per vedere quali vanno tagliate e quali no: tagliarle tutte alla cieca è una linea sicuramente fuorviante. E sappiamo che alcune non si debbono tagliare. Abbiamo visto che anche in Francia o in Germania, dove pure si sono compiuti interventi di questo genere, si è deciso, per esempio, di non tagliare e perfino di accrescere la spesa per l'istruzione e per la formazione - e noi possiamo aggiungere: e per la cultura. Da noi esse sono state quindi falcidiate un po' ingiustamente e scorrettamente.
Detto ciò, però il momento sarà comunque difficile, siamo in un tunnel dal quale dobbiamo uscire compiendo sacrifici. Vorrei dire una parola a questo proposito: riflettiamo bene - io stesso mi riservo di farlo - sull'espressione "coesione sociale". È un'espressione che ho usato molte volte e ritengo che sia un impegno importante, un aspetto molto importante da considerare in tutte le politiche pubbliche. È un bene prezioso, la coesione sociale. E per coesione sociale si deve intendere ogni sforzo volto ad evitare che diventino dirompenti i più o meno inevitabili conflitti tra interessi diversi e diversamente rappresentati. Coesione sociale significa sicuramente perseguire un criterio di solidarietà, suscitare solidarietà; ma coesione sociale non può significare immobilismo. Credo di dover richiamare molto a questa esigenza: stiamo attenti, ci sono spinte troppo conservatrici presenti oggi nella nostra società. Non si può continuare ad andare avanti come si è andati avanti per decenni.
Credo che si possa discutere se sia corretto dire che in Italia, in Europa e in America, si è vissuti al di sopra delle proprie possibilità, e certamente questa è una sentenza che va analizzata bene. È facile rispondere che non tutti i gruppi sociali hanno vissuto al di sopra di quelle che sarebbero state altrimenti - senza, per esempio, il forte intervento della spesa pubblica - le loro possibilità; però, molto deve per tutti cambiare nei comportamenti, nelle posizioni acquisite, nelle aspettative. Dobbiamo fare i conti con un mondo che è radicalmente diverso, non da quello di quarant'anni fa ma anche da quello di venti anni fa. Ed è un mondo nel quale la competizione si è fatta così stringente, così pressante che non ci sono consentiti acquietamenti nel modo di vivere che ci è stato proprio nel passato. Questo vale per tutti. Una cosa è una distribuzione giusta, secondo equità, dei sacrifici, una cosa diversa è pensare che ci sia un qualsiasi gruppo sociale che possa essere esentato da sacrifici, da ripensamenti, da cambiamenti.
La seconda questione che volevo ricavare, in particolare dall'intervento della Presidente Draghetti, è quella dei nostri assetti istituzionali. Anche qui c'è stato molto conservatorismo, molta continuità. Ci sono questioni accumulatesi nel tempo che adesso affrontiamo con molto ritardo, e più c'è stato ritardo più le questioni si sono aggrovigliate. Parlo dell'architettura istituzionale nostra: rami alti e anche rami meno alti. Siamo ancora alle prese con il problema di una riforma del Parlamento, del cosiddetto bicameralismo perfetto, e non sarà facile venirne fuori nemmeno in questo momento, nonostante gli appelli, nonostante le sollecitazioni.
E abbiamo molto da rivedere per quello che riguarda l'architettura istituzionale anche dal livello regionale in giù, e parlo di entità che si sono create e che si sono sovrapposte e accavallate anche a livello sub-comunale, oltre che sub-regionale.
C'è molto ritardo nell'affrontare queste questioni: le dobbiamo decisamente mettere in calendario. Io ritengo che poi, in modo particolare, ci sono due questioni che non possiamo lasciare a mezz'aria. Una è quella delle Provincie: si è andati avanti e indietro, si è annunciato qualcosa, e poi si è presa una decisione parziale; occorre fare un punto e scegliere una strada. Avremmo fatto meglio a sceglierla - adesso è un po' vano dirlo - niente di meno che quarantadue anni fa, quando cioè vennero per la prima volta eletti i Consigli regionali delle Regioni a statuto ordinario. Probabilmente quello, mentre si creava quella nuova dimensione regionale, era il momento per rivedere altre catene istituzionali create in precedenza. Comunque, questa è una questione che adesso, dopo quello che si è accennato nel primo decreto del governo Monti, bisogna effettivamente mettere bene a fuoco e risolvere con razionalità e avendo una visione d'insieme.
L'altra questione che non possiamo lasciare a mezz'aria è quella del federalismo fiscale. È una legge sulla quale si è lavorato molto, si è discusso molto; adesso vedo che qualcuno - che forse non è presente in questa sala per una scelta che naturalmente rispetto - ha osservato che io, non so in quale dei miei recenti interventi, non ho parlato di federalismo. Io sono convinto di una cosa, l'ho detta pubblicamente tempo fa, ricevendo consensi, e la dico anche adesso: l'attuazione di misure che vanno nel senso di quello che è stato chiamato federalismo fiscale, non è una opzione: è un dovere di attuazione costituzionale. Abbiamo il Titolo V della Costituzione: o si riforma il già riformato, oppure vi si dà attuazione. E dare attuazione significa andare anche al di là dell'impasse in cui in questo momento si trova il processo. Vediamo dove siamo arrivati, vediamo se il percorso che finora è stato effettuato è valido e regge, e vediamo anche che cosa modificare, che cosa innovare.
Vi ringrazio anche per le sollecitazioni che mi avete rivolto. E vediamo, per quello che riguarda l'Emilia tutta e Bologna, che cosa significa fare sacrifici, cambiare comportamenti, rivedere aspettative. Ieri ho fatto una battuta in una occasione particolare, nel momento in cui si annunciava che prende vita il Collegio Andreatta: noi non sappiamo se da questa crisi l'Italia uscirà materialmente impoverita. È possibile. Ma, ho detto un'altra volta: l'essenziale è che esca da questa crisi una Italia più sobria e più giusta. Che cosa significa quel «più sobria»? Che dobbiamo imparare a mettere in massima evidenza gli aspetti qualitativi della vita delle persone, delle famiglie, delle comunità, gli aspetti qualitativi della condizione umana. Su questo si lavora molto. Sapete, ci sono anche degli studiosi, in particolare degli economisti, che lavorano sul tema del concetto di benessere: si può andare a una diversa misurazione del benessere? Io penso di sì, e lo penso proprio guardando a quello che voi avete costruito qui in questa Regione, in questa città. Non è soltanto che siete provincie, città ricche, opulente, altamente produttive. Qui voi avete costruito un tipo di vita molto socievole, gli aspetti della qualità sociale e culturale della vita in Emilia e a Bologna rappresentano un punto di riferimento - insieme ad altri, non siete i soli - su come andare verso un modello di società che sia egualmente gratificante anche se dovessimo passare attraverso un ridimensionamento dei nostri livelli di reddito.
Rivolgo a voi tutti un augurio di buon lavoro. E auguriamo a noi tutti che i semi che abbiamo gettato con le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia fruttifichino, nel senso di un clima di unità nazionale, un clima di serio, sereno confronto politico e di costruttivo rilancio del ruolo della politica nel nostro Paese.
Bologna 31/01/2012