Pordenone 30/05/2012

Intervento del Presidente Napolitano al Consiglio Comunale di Pordenone

Grazie signor Sindaco, grazie signor Presidente del Consiglio Comunale innanzitutto per le vostre parole affettuose e generose, e anche per l'invito a tornare da privato cittadino.

Se io, da privato cittadino non giovanissimo, volessi propormi una nuova residenza, sicuramente sceglierei una delle città che ho appena visitato, e Pordenone è tra queste, nelle quali appena si entra si respira un'aria di grande civiltà. È, la vostra, una città civilissima, progredita, operosa, a cui rendo omaggio. D'altronde questa mia visita in Friuli Venezia Giulia aveva il proposito di non fermarsi al capoluogo di regione : sono venuto parecchie volte a Trieste, sono venuto altre volte a Udine, ma per me è stato motivo di grandissimo interesse e anche di doverosa attenzione essere ieri anche a Faedis, a Illegio e a Gemona, questa mattina a Cargnacco e ora a Pordenone.

Ho visitato luoghi anche molto simbolici, di alto significato emotivo come il sacrario per i nostri caduti in Russia. E ho reso omaggio a Faedis alle vittime dell'orrendo eccidio di Porzus, dopo avere assistito, nell'Università di Udine, alla bellissima presentazione di una pagina molto luminosa della Resistenza come quella della Libera zona o Repubblica della Carnia. Il valore storico della Resistenza nessuno potrà cancellarlo o oscurarlo, ma, accanto alle pagine luminosissime come quella che ho appena citato, ci sono state anche pagine buie, come - appunto - l'eccidio di Porzus, e non bisogna dimenticare e rimuovere nemmeno quelle, per trarre tutti gli insegnamenti necessari dalla grande esperienza del movimento di liberazione dal nazifascismo.

Debbo scusarmi con voi e con i rappresentanti del Polo tecnologico che non riuscirò a visitare oggi pomeriggio: debbo rientrare a Roma per incontrare i Presidenti delle Camere e il Presidente del Consiglio sulle questioni del terremoto, e anche sulle questioni dell'aggiustamento e dell'ispirazione delle celebrazioni del 2 giugno, a proposito delle quali mi auguro che l'attenzione si concentri sul da farsi, nelle zone terremotate, per quelle popolazioni e quelle famiglie, e non sia deviata da polemiche strumentali, o comunque assolutamente secondarie, su come far svolgere la rassegna militare il 2 giugno e su come ricevere il primo giugno, secondo tradizione, il Corpo diplomatico straniero e tutte le rappresentanze istituzionali e sociali.

Credo che la Repubblica non possa rinunciare a celebrare l'anniversario della sua nascita. E credo anche che in questo momento sicuramente molto doloroso - e d'altronde il governo ha annunciato una giornata di lutto nazionale per il 4 giugno - il Paese, la Repubblica, lo Stato e le Istituzioni debbano dare prova di fermezza e di serenità. Non possiamo soltanto piangerci addosso : una cosa è abbracciare le famiglie che piangono per i loro lutti, una cosa è piangerci addosso come italiani e come istituzioni. Questo non possiamo farlo : abbiamo il dovere di dare un messaggio di fiducia, e ci sono le ragioni per poterlo fare.

Vorrei che tutti avessero inteso - e sono sicuro che così è stato - il significato delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Sono state una grandissima cosa, al di là di ogni aspettativa e, soprattutto, ben al di là di qualche scetticismo con cui erano state accolte all'inizio. C'è stato un risveglio di coscienze, un risveglio di sentimento nazionale, di amor proprio, e anche di senso civico e del dovere comune, che rappresenta davvero un'iniezione di coraggio, di speranza e di sicurezza per le sfide molto complesse che abbiamo davanti.

Ho apprezzato quello cha ha detto il Sindaco: sono le sfide che vengono da un mondo profondamente cambiato e in via di ulteriore cambiamento, un mondo che non fa sconti all'Europa: un'Europa che si ritrova rimpicciolita in questo mondo il cui baricentro, dal punto di vista dello sviluppo economico e delle relazioni internazionali, si è spostato lontano, dall'Atlantico verso il Pacifico, dall'Europa verso l'Asia. Noi tutti, come italiani che hanno storicamente girato il mondo e hanno sempre espresso grande sensibilità e solidarietà per i popoli di quello che una volta veniva chiamato Terzo mondo e viveva nella vasta area della povertà e della fame, dobbiamo esprimere profonda soddisfazione per il fatto che in questi ultimi dieci anni centinaia e centinaia di milioni di uomini e donne siano usciti dall'area della povertà e della fame, soprattutto in Asia, in America Latina ed anche in Africa. Questo però significa che noi dobbiamo muoverci - parlo dell'Italia e dell'Europa - in un mondo in cui sono cambiati i termini della competizione, e ciascuno deve far valere i propri talenti e le proprie capacità con un nuovo spirito e slancio produttivo, culturale, creativo.

Mi dispiace, dicevo, non poter visitare il Polo tecnologico. Però ieri mattina ad Udine ho voluto citarlo come esempio della capacità innovativa che si è dimostrata in questa regione, perché non basta soltanto difendere quello che si è costruito nel passato: bisogna innovare. È fondamentale avere capacità innovativa, creativa, anche per una competizione che noi non vogliamo sia senza regole e calpesti diritti, libertà, valori che in modo particolare l'Europa ha saputo nutrire dentro di sé e trasmettere al mondo. Ma per riuscire a far sì che il ruolo e i valori dell'Europa rimangano vivi in un mondo così radicalmente cambiato bisogna cambiare molte cose qui da noi e dentro di noi.

Sono fiducioso che riusciremo a far fronte anche all'attuale multiforme crisi : perché ci sono le emergenze finanziarie, le emergenze della competizione economica, le emergenze anche di antiche arretratezze delle strutture del nostro Stato. E ci sono, poi, le emergenze che vengono dalla natura nella sua imprevedibile e ingovernabile logica profonda, attraverso eventi che non sono soltanto i terremoti, ma anche, come nei mesi precedenti, le alluvioni.

Dobbiamo cambiare determinati comportamenti, perché le nostre politiche pubbliche sono state gravemente inadeguate dal lato della prevenzione : è stato sempre difficile investire mezzi e risorse per prevenire, sembrava quasi un lusso ; poi, quando arriva il conto delle catastrofi che non abbiamo potuto prevenire o di cui non abbiamo saputo limitare i danni, ci accorgiamo che è un conto ben più salato di quello degli investimenti per prevenire, per rafforzare e mettere in sicurezza il nostro territorio.

Sono molto lieto di trovarmi nella Sala del Comune perché dobbiamo anche ripensare le nostre Istituzioni, ma non ho dubbi sul fatto che le colonne del nostro edificio democratico siano i sindaci. Si può discutere di riforma del Parlamento, e si è discusso di riforma per i Comuni nel 1993 quando venne adottata una legge elettorale che ha dato risultati importanti e ha rappresentato una riforma che ci consente di contare moltissimo sul ruolo dei sindaci - un ruolo determinante, come quando si è trattato di fronteggiare le conseguenze del terremoto in Friuli.

Voglio dire, perché è argomento di attualità, che è lecita ogni discussione su esigenze di riforma della seconda parte della Costituzione. Capisco che questo discorso appare talvolta complicato, ma è così : la nostra Costituzione è fatta di due parti ben distinte. La prima parte è costituita dai principi, dai diritti e dai doveri del cittadino e lì sono sanciti grandi valori e indirizzi che penso siano assolutamente validi e attuali; la seconda parte riguarda l'ordinamento, l'architettura istituzionale che da tanto tempo ci diciamo non solo che può, come prevede l'articolo 138, ma deve essere modificata (e in tal senso si sono fatti diversi tentativi che non hanno condotto a buon fine).
Si è ragionato e si ragiona di norme che garantiscano la stabilità dell'esecutivo e accrescano anche i poteri del governo rispetto ad altre istituzioni salvaguardando, nello stesso tempo, l'insostituibile funzione del Parlamento. E si può benissimo discutere anche di come ripensare la figura del Presidente della Repubblica. Io voglio solo dire che in questi sei anni ho rafforzato la mia convinzione che i nostri costituenti nel 1946-47, in quello straordinario sforzo di equilibrio, di unità, di sintesi e di lungimiranza, diedero una soluzione al problema del Capo dello Stato profondamente motivata : avere al vertice dello Stato una figura neutra, politicamente imparziale, che restasse estranea al conflitto tra le forze politiche e tra le correnti ideologiche. Avere, cioè, un Capo dello Stato che svolgesse funzioni di moderazione e garanzia in un atteggiamento di costante e assoluta imparzialità. Credo sia stata una scelta molto importante. La si vuole ridiscutere? Io sono soltanto spettatore di fronte ad una discussione che si apra anche su questo tema, ma bisogna ben vedere quali equilibri si creano in luogo di quelli che si superano e si accantonano.

Intanto, continuerò a fare, nell'anno o poco meno di mandato presidenziale che mi resta, lo sforzo che ho fatto finora. L'obiettivo è uno solo : coesione, unità, responsabilità condivisa di fronte ai problemi del Paese. Solo così possiamo assolvere al dovere di riaffermare, alla luce della nostra storia e della nostra tradizione, il ruolo dell'Italia nell'Europa e nel mondo.