Palazzo del Quirinale 14/12/2012

Intervento del Presidente Napolitano in occasione della presentazione degli auguri del Corpo Diplomatico

Eccellentissimo Decano,
Signore e Signori Ambasciatori,
Autorità, Signore e Signori,

ringrazio il Signor Decano per le sue amichevoli e significative riflessioni e per i graditissimi auguri che Egli ha voluto rivolgere all'Italia e alla mia persona, e che volentieri ricambio all'intero Corpo Diplomatico.

È questa la mia settima e conclusiva occasione per accogliervi graditi ospiti al Palazzo del Quirinale in occasione del tradizionale scambio degli auguri di fine anno. Nel corso del mio mandato, vi ho ricevuto a mano a mano che a ciascuno di voi è toccato presentare le credenziali, con animo ricco di simpatia per l'Italia e aperto a un'operosa, amichevole collaborazione. Vi ho poi visto rafforzare legami, appianare problemi, partecipare alla vita culturale delle nostre città, accrescere le relazioni economico-commerciali tra i nostri paesi, seguire la scena politica italiana - di non facile comprensione, ma che non annoia mai. Ci siamo incontrati in connessione con i miei impegni internazionali. Vi ringrazio per il costante flusso di altissime personalità dei Vostri Paesi che ho ricevuto al Quirinale. E non dimentico certo il Vostro determinante contributo al successo delle celebrazioni del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia che ha visto qui riuniti, il 2 giugno del 2011, un numero di Capi di Stato e di Governo senza precedenti per il nostro Paese.

Durante questi quasi sette anni, il mondo non è mai stato molto lontano dal "Colle". Ho ricevuto qui 86 Capi di Stato, di cui 43 in visita di Stato, e ho concesso 136 udienze a personalità straniere. E, quando il mondo non veniva al Colle, dal Colle il Presidente si è mosso verso il vasto mondo : nel corso del settennato, fino ad oggi 26 incontri internazionali in Italia, fuori da questo Palazzo, e 74 miei viaggi all'estero (tra i quali 19 visite di Stato), che hanno toccato 39 paesi e 7 Organizzazioni internazionali.

Già prima della mia elezione alla Presidenza della Repubblica avevo familiarità con il Vostro essenziale ruolo nelle relazioni internazionali. La figura del diplomatico è sempre esistita, da molti secoli e in varie forme fin dalle epoche più remote. Un mondo interdipendente come quello attuale la rende ancor più necessaria e non c'è progresso tecnologico nelle comunicazioni che possa supplirne il ruolo. Nelle mie attuali vesti sono stato testimone della dedizione, della professionalità, della preparazione e, non ultima, della disponibilità al sacrificio personale e ai rischi, anche i più seri, che caratterizzano l'impegno del Corpo Diplomatico in tutti i Continenti.

E che siano rischi reali ce lo ha ricordato tragicamente il sacrificio di Chris Stevens, Ambasciatore americano a Tripoli, caduto lo scorso 11 settembre, vittima di un terrorismo senza bandiere e senza pietà. Stevens, alla cui memoria voglio qui rendere omaggio, credeva in una diplomazia volta a costruire ponti di dialogo e di comprensione reciproca tra Nazioni, culture e fedi. Rimane quella la via da seguire : non bisogna mai accettare l'ineluttabilità dello scontro e del conflitto. Diplomazia è anche sforzo tenace e quotidiano di chi, perfino in situazioni disperate, getta semi che germoglieranno in futuro. Lo dimostra, sullo sfondo della più grande tragedia del XX secolo, l'Olocausto, la figura del diplomatico svedese Raoul Wallenberg, del quale nelle settimane scorse anche Roma ha commemorato il centenario della nascita.

Fortunatamente, rispetto ai decenni più bui del Novecento, in Italia e in Europa sono intervenuti cambiamenti radicali. Il significato del premio Nobel per la pace appena conferito a Oslo all'Unione Europea sta proprio nel riconoscimento della rivoluzione copernicana compiutasi nelle relazioni fra Stati e fra popoli del Vecchio Continente ad opera del processo d'integrazione. Da italiano e da europeo, non posso che esserne orgoglioso. E' anche un incitamento all'Unione a fare di più, a continuare in un cammino inclusivo, al di là dei suoi confini attuali, estendendo la propria funzione nel segno della pace, della stabilità, della democrazia e del diritto.

Sono gli stessi principî che ispirano la Costituzione italiana, e sono valori universali nei quali tutti Voi vi riconoscete, anche nel servire gli interessi nazionali che rappresentate fedelmente e promuovete tenacemente fra di noi. Siete infatti, nel vostro insieme, lo specchio di quella Comunità internazionale che la Carta di San Francisco del 1945 impegna nella ricerca della pace, della giustizia, dello stato di diritto e della legittimità. Per quanto imperfetto, problematico, percorso da molteplici tensioni, il mondo, nel XXI secolo, non è più affidato all'anarchia e alla legge del più forte. Siamo invece tutti legati da una sorta di "comune interesse internazionale" che l'interdipendenza economica e la comunicazione mediatica rendono più stringente.

La sempre più diffusa coscienza mondiale dei diritti umani rappresenta una grande conquista degli ultimi anni: la rappresenta sotto il profilo della dignità della persona ; delle libertà individuali di religione, di pensiero, di espressione ; del rispetto e la tutela delle minoranze ; dell'affermazione della donna ; della protezione dell'infanzia ; del progresso sociale nelle forme e con i caratteri proprî delle diverse culture ; del rigetto fermo e risoluto di ogni forma di terrorismo e di violenza contro civili, quali che ne siano i pretesti ideologici.

Tuttavia, tali principi sono troppo spesso ancora ignorati e calpestati. Gravi sopraffazioni ai danni delle popolazioni affliggono anche realtà non lontane da noi. Oggi il nostro pensiero corre alle sofferenze della popolazione siriana, che dopo più di un anno di brutali repressioni e di durissimi scontri non è ancora libera dall'oppressione e dalla paura. Dopo la Conferenza di Doha, l'unificazione della quasi totalità dell'opposizione democratica nella Coalizione Nazionale Siriana ha spianato la via al riconoscimento della Coalizione stessa come unico legittimo rappresentante del popolo siriano da parte del Governo italiano e di molti altri. Mi auguro che la Coalizione possa ulteriormente rafforzarsi per preparare una via d'uscita politica al conflitto. Nell'interesse della pace e sicurezza dell'intera regione, è indispensabile che il Consiglio di Sicurezza ritrovi coesione per darvi il suggello della legittimità. In Siria, e nei paesi confinanti, la priorità più immediata e scottante è certamente l'assistenza umanitaria alle vittime civili del conflitto e ai rifugiati, soprattutto alle fasce più deboli quali i bambini, le cui condizioni tendono vieppiù ad aggravarsi con l'arrivo dell'inverno. L'Italia, già impegnata con aiuti sul terreno, non farà mancare il proprio concreto contributo allo sforzo umanitario internazionale.

Il non rispetto dei diritti umani investe molte altre situazioni e regioni del mondo : il nostro pensiero si volge, in particolare, alla precaria sicurezza delle comunità cristiane in alcuni paesi dell'Africa e dell'Asia. E' responsabilità dei governi proteggere i propri cittadini senza distinzione di credo o di etnia.

Nel "bene comune" della Comunità internazionale rientrano molte componenti, umane e materiali, che non sono divisibili su base nazionale o addirittura regionale. Fra queste non posso non richiamare la Vostra attenzione sui cambiamenti climatici. Molti dei paesi qui rappresentati, Italia compresa, hanno sofferto negli ultimi anni disastri naturali devastanti, di crescente intensità e frequenza. Ultimamente il passaggio dell'uragano Sandy negli Stati Uniti ha suscitato generale sconcerto e inaudito disagio. Pur in assenza di spiegazioni scientifiche univoche, e senza eludere responsabilità nazionali - in Italia, non lo nascondo - per la prevenzione e protezione del territorio, questi eventi rappresentano un campanello d'allarme internazionale che ci deve far affrontare seriamente l'esigenza di ridurre in modo incisivo le cause dovute a comportamenti umani dei mutamenti climatici, e specificamente del riscaldamento globale. Purtroppo, la recentissima Conferenza di Doha non ha registrato progressi apprezzabili in questo senso.

Signore e Signori Ambasciatori,
conoscete bene le priorità e le costanti fondamentali della politica estera italiana. Conoscete il nostro impegno multilaterale ; la nostra riaffermata volontà di cooperazione allo sviluppo ; il nostro contributo alla pace e alla sicurezza internazionale che si traduce, sul campo, nella rilevante partecipazione italiana alle missioni militari di pace e di stabilizzazione, per le quali paghiamo un alto prezzo in sacrifici e in vite umane. Potete esser certi che, nel naturale succedersi dei Parlamenti e dei Governi, gli assi portanti delle nostre relazioni internazionali non cambiano, come non cambia il rispetto degli impegni presi. Lo dimostrano tre generazioni di storia repubblicana in Italia.

Non mi soffermo oltre su ciò ; vorrei invece condividere con Voi una riflessione sull'anno che si avvia alla conclusione e su alcune linee di tendenza che ne emergono.

Nel 2012 l'Unione Europea ha conseguito importanti risultati nel riportare sotto controllo la situazione economico-finanziaria. La crisi non è ancora dietro le nostre spalle, ma abbiamo superato la sua fase più acuta e individuato la strada per uscirne. Quando ci incontrammo, un anno fa, non era scontato che ci saremmo riusciti.

Oggi, come ha di recente rilevato il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, possiamo registrare "una relativa stabilizzazione delle condizioni di mercato, e più in generale una accresciuta fiducia nella stabilità dell'area dell'Euro. I timori che l'Euro potesse risultare reversibile sono stati fronteggiati". Ma questi risultati poggiano, per confermarsi come durevoli, sulla "determinazione dei governi nel perseguire, in primo luogo, il comune impegno a riformare la governance dell'area Euro" sulla base dei quattro pilastri indicati dalle istituzioni dell'Unione, e nel garantire, in secondo luogo, "l'impegno di ogni singolo governo a ristabilire nel proprio paese condizioni di competitività che alimentino crescita equilibrata e occupazione".

E' quel che l'Europa e l'Italia debbono fare. Non se ne discosterà l'Italia, non potranno discostarsene il Parlamento e il governo che scaturiranno dalla ormai imminente, normale prova democratica delle elezioni generali. Non ci si lasci allarmare - Signore e Signori Ambasciatori - dalle tensioni che hanno investito nei giorni scorsi il governo Monti provocandone le dimissioni. Questo difficile passaggio sarà superato : banco di prova del senso di responsabilità e della vocazione europea di ogni forza politica sarà il non mettere a rischio i progressi conseguiti dall'Italia attraverso sforzi intensi e sacrifici dolorosi. Dal confronto elettorale uscirà quel rinnovato impegno che il Presidente Draghi evocava ; continueremo a perseguirlo a casa nostra e nel concerto europeo.

Torniamo con lo sguardo dall'Europa al più vasto Mediterraneo. Nei paesi della primavera araba, si è passati dal manifestarsi di impetuose istanze popolari di libertà e progresso sociale al faticoso ma indispensabile assestamento e consolidamento delle Istituzioni e della riscoperta democrazia. Naturalmente è necessario che i processi di costituzionalizzazione e stabilizzazione non vadano a scapito di irrinunciabili esigenze di rispetto dei diritti umani, di uguaglianza di genere, e di pluralismo politico, culturale e religioso. Le nascenti democrazie del Mediterraneo stanno dimostrando una vitalità e una volontà di partecipazione popolare che legittimano la fiducia dell'Italia, dell'Europa e di tutta la Comunità internazionale, il cui sostegno sarà indispensabile alla costruzione democratica e allo sviluppo economico dei Paesi delle diverse "Primavere".

Il Medio Oriente, nella sua dimensione più ampia, è tuttora teatro di molteplici tensioni, conflitti e crisi. Della crisi più acuta, in Siria, ho già detto. E' indispensabile che, mentre si opera per una sua soluzione politica, se ne prevenga la tracimazione oltre le frontiere. Al tempo stesso, mi auguro che il 2013 veda finalmente risolta al tavolo dei negoziati la controversia sulle attività nucleari dell'Iran. L'eliminazione certa e verificabile dei rischi di proliferazione degli armamenti nucleari permetterà il superamento delle sanzioni resesi necessarie a carico di un paese e di un popolo verso i quali l'Italia nutre sinceri e storici sentimenti di amicizia.

La ripresa del processo di pace israelo-palestinese resta il traguardo finora vanificato da un'insufficiente volontà politica delle parti interessate e dal fallimento di innumerevoli sforzi diplomatici. Sono passati quasi vent'anni dalla promessa di Oslo. Nel novembre del 1999, il Presidente di Israele, Ezer Weizman, scriveva al mio predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, reduce dalla prima visita di Stato italiana in Israele: "sono fiducioso che il processo di pace sia irreversibile". Rivolgo oggi un caloroso invito agli amici israeliani e palestinesi a tornare, insieme, a questo semplice ma cruciale punto di partenza.

Il 29 novembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato l'innalzamento dello status della delegazione palestinese a "Stato osservatore non membro". Il voto dell'Italia ha costituito - dopo che essa si era adoperata per aperture al dialogo che prevenissero quel confronto in Assemblea - il punto di arrivo di una scrupolosa e approfondita riflessione, svoltasi certamente in tutti gli altri Paesi membri delle Nazioni Unite. Ma al di là delle diverse scelte di voto, l'Assemblea Generale dell'ONU si è nel complesso fatta interprete dell'aspirazione internazionale unanime ad una pace vera, giusta, duratura, che offra finalmente ai due popoli israeliano e palestinese, e soprattutto alle future generazioni, la prospettiva di una convivenza pacifica e costruttiva, la libertà dall'ipoteca dell'odio e della violenza, la sicurezza della statualità e dei confini, una vita quotidiana priva di attentati, di allarmi, di lanci di razzi e di scontri sanguinosi.

L'Italia crede che la pace tra Israele e Palestina non debba rimanere nel regno delle utopie non realizzate. Lo crede nell'interesse di Israele e della Palestina, ma anche nel proprio interesse nazionale, e in quello dell'area mediterranea e dell'intera Europa, esposte inevitabilmente alla minaccia dell'instabilità e fragilità che il conflitto israelo-palestinese alimenta nel Medio Oriente.

La situazione strategica regionale, l'esigenza di preservare la natura ebraica e democratica dello Stato d'Israele, garantendone il diritto all'esistenza nella piena sicurezza, le inaccettabili sofferenze inflitte alle popolazioni civili su entrambi i lati del conflitto, le richieste di normalità della società civile palestinese che la disillusione spingerebbe ancor più all'estremismo e alla violenza : queste sono le ragioni per le quali abbiamo bisogno di riprendere il cammino, qui e ora, verso il traguardo della pace. Le convinzioni e posizioni dell'Italia restano immutate, nel loro profondo equilibrio. Sappiamo che la pace non potrà essere conseguita se non nel negoziato diretto tra le parti. La Comunità internazionale non può sostituirvisi ma vuole trasmettere loro questo senso di urgenza, e l'Europa è chiamata a dare un suo più attivo contributo. Ho tratto grande conforto dalle illuminate parole di Shimon Peres, affidate alla sua ampia intervista di qualche giorno fa al Der Spiegel. Alla domanda se il voto all'ONU renda più complicati i negoziati con i palestinesi, egli ha risposto: "Forse non più complicati, in ogni caso più necessari." E ha concluso : "Dobbiamo immediatamente mettere in moto dei negoziati, senza pregiudiziali, subito dopo le elezioni israeliane del 22 gennaio." Ebbene, mi si permetta di plaudire alle parole di questo eminente protagonista della storia dello Stato di Israele.

Infine : sappiamo bene come la scena internazionale sia dominata dai problemi e dalle implicazioni di una crisi finanziaria ed economica mondiale, che richiama le incognite e le sfide degli anni '30 dello scorso secolo. Gli Stati Uniti e l'Europa costituiscono l'epicentro della crisi scoppiata nel 2008. Essenziale è un impegno congiunto sulle due sponde dell'Atlantico, di cui può essere valido segno e strumento, a partire dal 2013, il dialogo tra Bruxelles e Washington per un Accordo di libero scambio : può essere questa una nuova proiezione di quella storica visione di solidarietà e di sicurezza comune incarnatasi da oltre mezzo secolo nell'Alleanza Atlantica.

Decisivo, per superare la crisi mondiale, è il ruolo che può assumere, e già sta assumendo, il nuovo dinamismo e protagonismo dell'area Asia-Pacifico. Guardiamo con grande rispetto e volontà di collaborazione a tutte le grandi e medie potenze di quell'area. Atlantico e Pacifico si presentano più che mai come due grandi poli di civiltà, cui spetta convergere nel più ampio impegno comune per dare regole adeguate al processo di globalizzazione, per garantire la stabilità internazionale, la sicurezza collettiva, un ordine multilaterale fondato anche su un'effettiva libertà di commercio e di navigazione.

Desidero, concludendo, augurare per il vostro tramite buon lavoro in modo particolare ai numerosi Capi di Stato che hanno iniziato in questo ultimo anno il loro mandato alla guida delle rispettive Nazioni. Il ricambio alla guida delle istituzioni è tratto fisiologico del buongoverno e della vita politica democratica. E' essenziale che si svolga pacificamente, nel rispetto dei diritti dei cittadini e in uno spirito di trasparenza, di servizio allo Stato e di certezza del diritto. Ed è in questo spirito che, guardando al termine del mio mandato, Vi ho accolto oggi al Quirinale ancora una volta.

Auguri sinceri di benessere, auguri sinceri per il Natale e il Nuovo Anno a tutti voi e alle vostre famiglie.