Milano - Università Bocconi 27/09/2013

Intervento del Presidente Napolitano al Convegno "Luigi Spaventa. La sua vita, le sue passioni, le sue lezioni"

Con la politica Luigi ebbe un rapporto diretto, di intensa compenetrazione, negli anni dell'impegno in Parlamento : dal 1976 al 1983, due legislature entrambe raccorciate - prassi molto italiana - da scioglimenti precoci delle Camere. Parlo qui della politica non come consapevolezza dell'interesse generale, senso del dovere civico, percezione responsabile dei problemi della società e dello Stato, perché di questa dimensione, propria del vivere in democrazia, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe e Luigi di certo lo fu, in tutte le fasi della sua esistenza. Ma parlo della politica come funzione concretamente esercitata, con quegli attributi di dedizione quotidiana, di competenza specifica, di immersione piena in un agone di confronto e di lotta, che ne fanno una professione. E come tale Luigi la visse da candidato ed eletto alla Camera dei Deputati.

La politica può essere vocazione che si traduce fin dall'inizio in professione, in scelta di vita, esplicandosi in un'organizzazione di partito o in una istituzione pubblica, senza margini di dilettantismo e senza limiti temporali. Ma la politica come funzione attiva, come impegno primario, può anche nascere da un'evoluzione e da una convinzione che maturino in chi abbia prima intrapreso un qualsiasi mestiere e lavoro, e compia una scelta di servizio politico in senso professionale in una fase circoscritta della propria vita, e in una fase ben determinata della vita del paese. E fu così, per questa via che Luigi divenne - negli anni che ho citato, e non occorre che ricordi in quale momento e contesto nazionale - un attore politico a tutto tondo. Lo fece, come si sa, da indipendente di sinistra, candidato ed eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano.

Fu quella un'esperienza cui aderirono, nell'arco di un venticinquennio, molte decine di personalità rappresentative di diversi ambienti della cultura e delle professioni, di diversi settori dell'opinione e dell'iniziativa riformatrice ; molte decine di personalità rappresentative - come si diceva già allora - della società civile, o di quella parte di essa che restava separata dalla sfera dell'attività politica militante. Troppe energie, troppi talenti ed apporti apparivano non valorizzati, in sostanza sottratti a un fattivo impegno politico perché estranei ai canali, troppo rigidi politicamente e ideologicamente, dei partiti maggiori, alle loro logiche e discipline interne.

Fu questa la questione che in un dato momento ci ponemmo nel gruppo dirigente del partito comunista, forte partito collocato - e bloccato - all'opposizione. Così, sul finire del 1967 e in vista delle elezioni del 1968, cominciammo a tessere i fili della sinistra indipendente : un'idea, un'invenzione la cui nascita e il cui decollo ricordo bene per esserne stato partecipe al fianco di Luigi Longo che ne fu il promotore insieme con Ferruccio Parri, grazie al profondo rapporto di fiducia stabilitosi tra loro nel guidare la Resistenza, la guerra di Liberazione.

La candidatura di indipendente di sinistra nelle liste del PCI aveva per risvolto sia la garanzia di un decisivo apporto di voti di preferenza sia la assoluta autonomia di posizioni in Parlamento riconosciuta ai singoli e alla componente, poi vero e proprio gruppo parlamentare, cui essi, insieme, diedero vita.

Luigi, da me rintracciato telefonicamente a Venezia alla vigilia della definizione delle liste, accettò, dopo breve riflessione, l'offerta che gli veniva fatta, e fu per sette anni tra i maggiori protagonisti di quell'esperienza così originale e, io credo, così feconda per il PCI, per la sinistra, per la politica italiana. Luigi si lanciò con entusiasmo già in quella prima campagna elettorale. Si è sempre detto - ed è vero - che la mitica organizzazione comunista induceva masse di elettori a dare la preferenza anche a candidati che non conoscevano benché illustri. Nessun miracolo, in questo senso, fu più grande del far confluire, nelle elezioni europee del 1989, oltre centomila preferenze sul nome - per tanti difficile persino da pronunciarsi - di Maurice Duverger, sofisticato costituzionalista francese.

Ma Luigi ci mise sempre del suo - fin dalla prima volta - nello stabilire un rapporto personale con gli elettori e nel conquistarne il consenso. E ci riuscì, per sapienza, per stile, per vibrante coinvolgimento.
Il suo sì alla candidatura nelle elezioni del 20 giugno 1976 aveva un serio retroterra. Da qualche tempo stavano maturando il suo interesse e la sua disponibilità per una partecipazione diretta e piena alla vita politica e istituzionale.

Era stato in precedenza vicino a quella importante area intellettuale socialista che aveva animato la politica di programmazione del centro-sinistra. E nell'avvicinarsi a un PCI che mostrava di aprirsi più che nel passato - politicamente e culturalmente - Luigi esprimeva un'ormai forte consapevolezza politica. In un importante intervento, di alta qualità, pronunciato al Convegno del CeSPE-PCI a metà marzo del 1976, egli affermò nettamente : "I nodi giunti al pettine sono così inestricabilmente aggrovigliati, che scioglierli è impossibile e occorre ormai tagliarli con una operazione che appartiene alla politica, richiede forza politica, necessità di consenso politico."
Il segno di un'apertura nuova del PCI era stato dato con l'invito a partecipare a quel Convegno rivolto da Giorgio Amendola a Franco Modigliani, divenuto da qualche tempo interlocutore critico dei sindacati, della CGIL soprattutto, sugli ostici temi della lotta contro l'inflazione e della moderazione salariale.

In una sinistra politica nella quale stavano mutando i rapporti di forza a favore del PCI persistevano tuttavia posizioni dogmatiche e idee ormai datate, da cui - come Franco Debenedetti ha scritto - Spaventa "contribuì come nessun altro a liberare la sinistra italiana", suggerendole strumenti concettuali più avanzati per l'analisi e il governo delle economie di mercato. Non a caso Luigi aveva concluso il suo discorso al Convegno che ho ricordato del marzo 1976 con una citazione rappresentativa della "grande saggezza" di Keynes (accompagnandovi un singolare richiamo al "realismo" di Gramsci).

Keynes e le politiche keynesiane restavano per Luigi - ben oltre gli anni della formazione, in special modo gli anni di Cambridge - punti di riferimento essenziali : ma senza alcun accademismo, e sempre con la preoccupazione di aderire alle situazioni da affrontare realmente. In questo spirito, negli anni difficili per l'economia e per la politica economica italiana che lo impegnarono da deputato nelle scelte della maggioranza di solidarietà nazionale, gli piaceva magari riprendere, di Keynes, il discorso - ricordo - di "How to Pay for the War". Di quelle suggestioni, che mi spinsero ad approfondire la lezione del maggior economista del Novecento largamente ignorato, ancora negli anni '70, nella sinistra politica, in particolare in quella comunista, gli sono rimasto personalmente debitore. D'altra parte, nello stesso tempo, per tutto quel decennio approdavo spesso a Cambridge coltivando una preziosa consuetudine stabilita con Piero Sraffa.

Del merito dei contributi più importanti offerti da Luigi come deputato della Sinistra Indipendente, ha dato puntualmente conto ancora Franco Debenedetti, e io non vi ritornerò. Basti ricordare, tra tutti, il contributo al confronto del 1978 sull'adesione italiana allo SME. Qualsiasi problema affrontasse, lo faceva con rigore e insieme con concretezza e realistico senso degli obbiettivi perseguibili. Con la sua tagliente ironia, coniò il termine di "benaltrismo" per la tendenza a contrapporgli, da sinistra, sempre visioni "più avanzate" nobilmente astratte.
Ma vorrei piuttosto dire di come Luigi riuscì a calarsi nella vita parlamentare. Lo fece prendendo molto sul serio il suo mandato, dedicandosi innanzitutto a quell'esercizio fondamentale che è - o meglio era - l'attività di Commissione, e conquistandosi riconoscimenti e simpatie anche al di là di quella cerchia più ristretta, con la brillante e incisiva presenza nei dibattiti d'Aula e con la quotidiana vicinanza a colleghi di tutte le parti. Vicinanza cui mai fece velo la benché minima alterigia intellettuale da parte sua ; vicinanza nutrita di autentico, cordiale interesse per le persone, per quel che ciascuna di esse esprimeva come volto della politica.

Perché il Parlamento, la Camera dei Deputati, quella moltitudine di eletti era in definitiva uno spaccato di comune umanità, nella ricchezza e varietà delle storie e dei temperamenti personali, degli impulsi e dei percorsi che avevano condotto quelle persone a impegnarsi in politica, col traguardo dell'elezione in Parlamento. Era questa realtà umana che incuriosiva e interessava molto Luigi, che lo spingeva a mescolarsi con gli altri nel palazzo di Montecitorio, e a comprendere, non solo a giudicare, posizioni e comportamenti anche di molti che erano lontani dalla sua parte politica. Penso ad esempio a deputati democristiani di ogni stampo e di ogni livello - anche "peones", come li si chiamava - con i quali interloquiva naturalmente e intratteneva un rapporto amichevole.
E mi chiedo : che cosa è rimasto di quel modo di vivere la politica e di convivere in un'istituzione, e anche del modo in cui, di conseguenza, si vedeva dall'esterno il mondo della politica? Le distanze e gli scontri sul piano delle idee e del rapporto tra maggioranza e opposizione, non producevano, come oggi, smarrimento di ogni nozione di confronto civile, e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale. Valori, questi, che appartenevano profondamente a Luigi.

Egli peraltro non coltivava una rappresentazione "angelicata" della politica, e neppure - da uomo di assoluta limpidezza e trasparenza - una visione moralistica della politica, che ne ignorasse le durezze e le contraddizioni, che rifiutasse ogni comprensione delle concessioni o compromissioni cui è costretto - come un grande saggio del mondo antico sapeva - "chi vive in mezzo agli uomini e attende al governo di essi". E nutriva rispetto verso quanti mostravano di possedere "l'arte della politica" padroneggiandone le sottigliezze e le asprezze.

Nel 1983 Luigi considerò concluso il suo impegno in Parlamento, quello che io scherzosamente definivo, riferendomi agli indipendenti di sinistra, il "periodo di servizio civile", da lui svolto per sette anni. Ritornò all'Università. Avrebbe fatto ancora una breve incursione nella politica in senso stretto, nel campo di battaglia elettorale, solo nel 1994, candidandosi alla Camera nello stesso collegio in cui correva Silvio Berlusconi : ed essendo mosso non dall'intento di tornare in Parlamento, ma dal gusto della sfida, della missione quasi impossibile, del confronto anti-demagogico sui problemi dinanzi ai cittadini, nel cuore della città che amava.

Peraltro già quando - come ho ricordato - tornò all'Università, al suo mestiere di studioso e di docente, non restò chiuso in quell'ambito : forte dell'esperienza compiuta, assolse al meglio, negli anni successivi, nuove funzioni pubbliche, dal ruolo di ministro nel governo Ciampi a quello di Presidente della Consob ; e affinò politicamente sempre di più le sue analisi economiche o storico-economiche, come in un denso breve libro sull'«aggiustamento nel periodo 1990-96» e sull'ammissione dell'Italia all'Unione monetaria.

Per quel che mi riguarda, poi, dopo il 2006, nella mia attività di Presidente ho potuto ancora, fino a quando la sorte lo colpì crudelmente, godere della sua affettuosissima amicizia e del suo consiglio sapiente, dell'esempio che mi offriva anche la sua equanimità di giudizio su fatti e su persone.

Cara Claire, cari Renato, Alessandro, Elena, anche per voi, penso, è stato bello il tono lieve e variegato di questo incontro, che ha ripercorso le molte sfaccettature della personalità di Luigi, facendoci cogliere quella che potrebbe ben chiamarsi "l'unità di un uomo".

Ma vorrei concludere esprimendo, se mi è concesso, un sentimento personale, che affiorava in me nel preparare questo intervento. Quanto più tu abbia la ventura di inoltrarti, in età avanzata, nel tuo percorso di vita, tanto più avverti il vuoto di quelle che sono state presenze assai care, venute meno via via nel corso degli anni : e finisci per avere quasi il senso del dissolversi del tuo mondo come sfera di affetti radicati e di comunanze essenziali. E quel che allora può soccorrerti è il ricordo che ridiventa vita come qui oggi, è il sentire vicine figure, storie, pensieri che ancora possono accompagnarti. Per me la figura, come poche altre, di Luigi Spaventa.