INCONTRO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
CON GLI ORGANIZZATORI E GLI STUDENTI
VINCITORI DEL CONCORSO
"L'EUROPA ALLA LAVAGNA"
PER LA REALIZZAZIONE DEI
MIGLIORI SITI, IN OCCASIONE DELLA
"FESTA DELL'EUROPA"
LE RISPOSTE DEL PRESIDENTE AD
ALCUNE DOMANDE DEGLI STUDENTI
PALAZZO DEL QUIRINALE, 9 MAGGIO 2007
Elio Campanella dell'Istituto Tecnico Commerciale di Galatina in provincia di Lecce
Signor presidente, si festeggia quest'anno l'anniversario dell'uccisione di Aldo Moro. Quanto avrebbe inciso la lungimiranza politica di un grande statista come Aldo Moro in questa fase costitutiva dell'Unione Europea?
Presidente
Voglio innanzitutto complimentarmi vivamente con tutte le scuole e gli istituti che hanno partecipato al concorso indetto dalla rappresentanza italiana della Commissione Europea: complimentarmi per come avete concepito i temi, per i titoli che avete immaginato, per i siti che avete creato. Voi oramai vi esprimete per siti, cosa impensabile ai miei tempi: è una grande novità, e fa parte di uno sforzo nuovo di comunicazione che è essenziale in modo particolare sulle grandi questioni dell'Europa unita.
Di Europa vi hanno già parlato coloro che sono intervenuti prima. Vorrei ringraziare Giuseppe Fioroni, il Ministro Luigi Nicolais, e Giuliano Amato, che si è presentato modestamente, non come Ministro dell'Interno ma solo come amico dell'Europa (cosa forse ancora più importante, è stato vice presidente della Convenzione di Bruxelles). Alla signora Viviane Reding che vi ha parlato così bene in bell'italiano, un sentito ringraziamento per l'omaggio che ha voluto rendere al nostro paese parlando magnificamente la nostra lingua.
Questa prima domanda mi permette anche di dire qualcosa a chiarimento rispetto ad equivoci che hanno potuto sorgere. Il Parlamento della Repubblica ha approvato pochi giorni fa definitivamente una legge per istituire una giornata della memoria per le vittime del terrorismo: era, credo, una iniziativa dovuta, e penso che sia importante perché abbiamo da raccontare soprattutto ai giovani quelle vicende, e perché dobbiamo onorare la memoria sia di persone che sono state umili servitori dello Stato, sia di persone che, come Aldo Moro, hanno dato grandi contributi alla vita politica e istituzionale del nostro paese.
È stata scelta, comprensibilmente, la data del 9 maggio, che fu il giorno del barbaro assassinio dell'onorevole Moro da parte delle brigate rosse. Che poi il 9 maggio sia anche la giornata d'Europa ha suscitato in qualcuno perplessità, ma evidentemente le date hanno una loro logica. Credo che non ci sia nessuna possibilità di contraddizione: sarà celebrata sempre la giornata dell'Europa, e sarà celebrata la giornata della memoria per le vittime del terrorismo, anche perché - non dimentichiamolo - il capitolo del terrorismo interno ha rappresentato una pagina tragica della storia del nostro paese e - possiamo dirlo - della storia dell'Europa, anche se pochi altri paesi hanno conosciuto in eguale misura il flagello del terrorismo. Quindi, far conoscere l'Europa significa anche far conoscere le pagine più controverse e drammatiche della sua storia e della storia di paesi importanti che ne fanno parte.
Per quel che riguarda più specificamente il contributo dell'onorevole Moro, voglio dire che proprio di recente si stanno compiendo studi che rivalutano il contributo dato da Aldo Moro come Ministro degli Esteri nel nostro paese fra il 1969 e il 1974. Aldo Moro contribuì fortemente alla politica estera del nostro paese, mettendo in valore e sviluppando il ruolo dell'Europa. Era una fase molto diversa dal quella che viviamo oggi: nelle relazioni internazionali si trattava un processo di distensione fra Est ed Ovest. In un mondo diviso in due blocchi, da parte di Aldo Moro - come recenti studi stanno mettendo bene in luce - si mise in primo piano la necessità di un contributo autonomo dell'Europa alla costruzione della distensione. Credo che, partendo da questo, che è stato l'effettivo contributo di Aldo Moro, noi possiamo dedurre che certamente la sua lungimiranza e la sua convinzione europeistica potrebbero molto contribuire, oggi, al superamento della crisi che travaglia l'Unione Europea. E dare ancora più impulso alla ruolo specifico dell'Italia nella costruzione europea.
Flavio Fazio del Liceo Scientifico Statale Enrico Fermi di Paternò
Signor presidente, spesso i giovani vengono visti come il futuro dell'Europa. Qual è la proposta che l'Europa fa a noi giovani?
Presidente
Questa è una domanda che sembra facile facile, e invece è molto difficile. In brevi parole, direi che l'Europa offre una prospettiva ai giovani, non una singola proposta. È la prospettiva dell'integrazione in una grande area come è oggi l'Europa a 27. In un grande contesto globale, l'Unione Europea, come soggetto politico e istituzionale, può svolgere un ruolo fondamentale se è in grado di esprimere la volontà comune e di attrezzarsi adeguatamente nella vita internazionale.
Vorrei dire anche un'altra cosa, e non solo ai giovani: non dimentichiamo che l'Unione Europea non fa tutto. Non ci si può attendere tutto dall'Europa. L'Unione Europea ha competenze importanti, porta avanti politiche importanti, ma poi ci sono i governi nazionali che continuano ad avere le loro competenze, le loro politiche, e dunque le loro responsabilità. Quindi, per dare ai giovani una prospettiva di lavoro e di pieno sviluppo della loro personalità, conta molto anche quello che fa ciascun governo nazionale in Europa. Altrimenti, diventa un gioco comodo e molto ambiguo quello di scaricare le colpe di ciò che i governi nazionali fanno o non fanno sull'Europa.
Però, certamente, la cornice che offre l'Europa per politiche anche dei governi nazionali rivolte ai giovani, è una cornice particolarmente vantaggiosa e avanzata. E io credo che sia importantissimo, in modo particolare, lo scambio di esperienze tra i giovani. Il progetto Erasmus non ha significato solo un'occasione per conoscersi o un'occasione per viaggiare, ma ha rappresentato anche un'occasione per scambiare esperienze e per mettere a confronto sistemi scolastici e sistemi educativi. Non si può dire che ci sia una politica comune europea per la scuola e l'Università, ma certamente, il fatto che sia possibile mettere a confronto le esperienze migliori dei sistemi scolastici, rappresenta un grandissimo vantaggio. Appunto, una grandissima opportunità.
Poi, naturalmente, c'è anche il fatto che, non avendo più confini al suo interno, e non essendoci più ostacoli di nessun genere alla libera circolazione e anche alla libera ricerca della occupazione, l'Europa rappresenta un punto di riferimento: c'è da trovare un lavoro in Italia e si può anche trovare lavoro in Europa.
Mi sembra, dunque, che sono tanti gli aspetti per i quali l'idea che una costruzione europea possa svilupparsi ulteriormente rappresenta un elemento di fiducia e di certezza per i giovani.
Studentessa di Amantea
Vorremmo rivolgerle un quesito relativo all'integrazione degli studenti diplomati nei paesi dell'Unione. È ben noto che il nostro paese soffre per il ritardo culturale in ambito scientifico e matematico rispetto agli Stati membri. Quali riforme e quali iniziative possono essere attuate per risolvere tale divario e rendere noi giovani maggiormente competitivi rispetto ai nostri coetanei europei?
Napolitano
Naturalmente non voglio e non posso rubare il mestiere al Ministro Fioroni. I governi nazionali - lo ripeto - debbono fare la loro parte e, quindi, al Ministro della Pubblica Istruzione compete una grossa responsabilità per promuovere, in particolare, la formazione scientifica e matematica di nostri giovani. E non c'è dubbio che questo sia un elemento essenziale per rendere più competitivi i nostri giovani diplomati e i nostri giovani laureati.
Comunque, per quel che riguarda l'Europa, c'è - non so se ne abbiate sentito parlare o se abbiate avuto occasioni di occuparvene - una politica che l'Europa ha inaugurato anni fa: si chiama strategia di Lisbona, dal paese che aveva in quel momento la presidenza del Consiglio europeo. Attraverso questa politica si intende fare dell'economia europea una economia della conoscenza che possa diventare la più avanzata e più competitiva nel mondo. Tra il dire e il fare ci corre molto, anche al livello dell'Unione Europea, e alla enunciazione di quella strategia non sono finora seguiti risultati soddisfacenti, perché non abbiamo avuto iniziative politiche, capacità di loro ordinamento e capacità di guida sufficienti per realizzare quegli obiettivi. Però, questo è un impulso molto importante.
Naturalmente, quando diciamo economia della conoscenza, nell'attuale fase della evoluzione tecnologica del mondo, intendiamo anche conoscenza scientifica o - come ha detto la nostra studentessa - scientifico-matematica.
Credo che sia veramente importante, in particolare, il programma quadro dell'Unione Europea per la ricerca scientifica. È, questo, un elemento di stimolo e di aiuto ai singoli paesi: vengono date risorse finanziarie perché ci siano, nei singoli paesi membri, programmi avanzati di ricerca scientifica. E credo che se in Italia avremo una utilizzazione accorta, opportuna, di questi finanziamenti, e dello stimolo che viene dal programma quadro europeo, potremo avere più ricercatori. E se si apre una prospettiva di occupazione per più ricercatori, avremo anche più studenti che si dedicheranno alle discipline matematiche.
Studentessa di un Istituto Tecnico
Noi sappiamo che i nostri nonni hanno festeggiato la firma del Trattato di Roma alla fine della seconda guerra mondiale. I nostri genitori hanno potuto coronare la fine della guerra fredda con l'ingresso di nuovi paesi nell'Unione Europea. Volevo chiederle se, secondo lei, noi dovremo aspettare la fine dei conflitti in Medio Oriente per festeggiare l'ingresso della Turchia, oppure saranno i nostri figli a poterlo fare.
Napolitano
Innanzitutto, voi non dovrete aspettare niente, perché se vi mettete ad aspettare siamo perduti: dovete sollecitare, battervi, promuovere. È vero che sono passati più di 50 anni dall'inizio della costruzione europea. Sono trascorsi cinquant'anni da quando vennero firmati i Trattati istitutivi delle Comunità, ma ancora prima, nel 1950, si lanciò l'idea dell'Europa unita, l'idea di una Comunità che sfociasse in una Federazione europea.
C'è voluto molto tempo, si è fatta molta strada. Giuliano Amato ricordava tanti momenti e anche tanti traguardi che sono stati raggiunti. Quindi, credo che si potrà avere negli anni venturi la soluzione di alcuni problemi di grandissimo interesse per l'Europa, per la pace mondiale, per la sicurezza di tutti.
Tra questi, c'è il problema del Medio Oriente. Non nascondo che chi, come me, ha vissuto, in tante fasi precedenti, il dramma del conflitto tra Israele e Autorità palestinese, ha potuto avere anche dei momenti di sconforto. Perché quando si stava per raggiungere un accordo, dopo che erano stati posti molti dei presupposti, e create molte delle premesse per un accordo di pace che desse finalmente vita a due Stati - uno Stato israeliano e uno Stato palestinese - ugualmente liberi, sovrani e sicuri nei loro confini, poi accadeva qualcosa di imprevisto che rigettava in alto mare quei discorsi. Voglio ricordare solo un momento terribilmente importante: quando è stato assassinato il Primo Ministro israeliano Rabin, uno dei costruttori dell'accordo di pace sottoscritto ad Oslo. Non a caso, forse, in quel momento si levò la mano degli estremisti per abbatterlo. E da allora si è dovuto ricominciare da capo.
In questo momento abbiamo qualche motivo di fiducia, perché si manifesta una volontà di dialogo tra il governo israeliano e il governo di coalizione che c'è oggi nei territori palestinesi (soprattutto è protagonista di questo impegno il presidente palestinese Abu Mazen). E credo che possiamo guardare con fiducia, non a un periodo di 50 anni ma a un periodo ben più breve, per giungere a un risultato. Però, è molto importante la parte che tocca fare all'Europa: si è creato un cosiddetto quartetto che dovrebbe collaborare e dare il suo contributo alla costruzione della pace nel Medio Oriente: ne fa parte l'ONU, ne fanno parte la Russia, gli Stati Uniti d'America, e ne fa parte l'Unione Europea. L'Unione Europea deve riuscire a far sentire la sua voce in questo concerto. Penso che i governi italiani si siano, a più riprese, adoperati molto: governi di vario tipo e colore. E credo che l'attuale governo sia egualmente impegnato a sollecitare e a portare avanti questo impegno europeo.
Una cosa un po' diversa è la questione dell'ingresso della Turchia perché non si tratta come nel caso del Medio Oriente di un intervento dell'Unione Europea per risolvere un problema che è fuori dei nostri confini, anche se molto vicino ai nostri confini. Qui si tratta di vedere se aprire le porte dell'Unione Europea a un grande paese che ha una storia complessa, la cui tradizione anche culturale può essere variamente interpretata. Noi pensiamo - dico noi perché questo è il punto di vista di tanti europei ed europeisti - che non si possa fare un discorso di carattere geografico per escludere l'ipotesi di una partecipazione della Turchia, né tanto meno un discorso di carattere religioso.
Non si può dire che la Turchia non fa parte dell'Europa. Ho sentito dire in questi giorni che la Turchia fa parte dell'Asia Minore e non dell'Europa: opinione rispettabile ma anche controvertibile. E tanto meno si può dire che la Turchia non c'entra nulla con l'Europa perché è un paese a popolazione in grande maggioranza islamica. Anzi, noi pensiamo che una partecipazione all'Unione Europea potrebbe consentire nuove opportunità di dialogo tra le religioni, tra le civiltà, tra le culture. E il dialogo tra le religioni, le civiltà e le culture è una chiave fondamentale per pensare all'avvenire dell'umanità nei prossimi decenni, così da evitare scontri fatali e sanguinosi.
Detto tutto questo, non è cosa da poco chiamare la Turchia a far parte dell'Unione Europea come membro a pieno titolo. Non è cosa da poco perché qualsiasi paese che voglia entrare, come è accaduto per 12 paesi entrati di recente a far parte dell'Europa, ci sono delle condizioni da rispettare che riguardano anche lo Stato di diritto, la condizione della democrazia, l'esercizio della libertà. E sappiamo che dalla Turchia si attendono delle prove non facili da questo punto di vista.
Poi, c'è per me una grande questione che in qualche modo sovrasta le altre: se entra a far parte dell'Unione Europea, la Turchia, che è un paese molto popoloso, con oltre decine e decine di milioni di abitanti, ed è un paese che ha anche una forte dinamica di crescita demografica, si porrà il problema di come governare una Unione Europea che non sia più di 27, nemmeno di 30 (o qualcosa del genere con i paesi Balcani occidentali), ma che diventi una Unione comprensiva della Turchia. Noi già oggi siamo in difficoltà a governare l'Europa. Questo significa che se non si riformano le istituzioni, se non si creano le condizioni per poter decidere, già oggi in Europa a 27 e a maggior ragione in una Europa ancora più larga e complessa, si rischia di assistere ad uno svuotamento dell'integrazione europea, ad un annacquamento del processo di integrazione.
In realtà, un'area di libero scambio c'è stata nella stessa Europa: avere semplicemente un certo numero di paesi in cui c'è un mercato comune, più o meno con delle regole, è certamente immaginabile. Ma non è quello che sognarono e proposero i padri dell'Europa nel 1950. E non è quello di cui ha bisogno l'Europa e di cui ha bisogno il mondo.
Noi abbiamo bisogno di un'Europa integrata con sue istituzioni forti, capaci di decidere, di agire e di svolgere il suo ruolo nella scena mondiale.
Alunna dell'Istituto Tecnico Commerciale di Terni
La ratifica del trattato costituzionale da parte solo di 17 nazioni, e soprattutto il no di Francia e Olanda ha comportato una stasi nel processo di crescita dell'Unione. Come pensa che si possa superare questo momento difficile senza ricorrere ad un'Europa a due velocità come è già successo nel trattato di Schengen e nell'euro?
Napolitano
Ci sono parecchie domande in una. Il significato dell'Europa a due velocità è molto dubbio. È un dato di fatto che ci sono stati momenti in cui sono state assunte decisioni importanti che non hanno coinvolto tutti i paesi allora membri della Comunità o dell'Unione Europea: decisioni che si sono realizzate con chi ci stava. Si è fatto l'accordo Schengen con chi ci stava: si è costruito un sistema molto importante, per la libera circolazione dei cittadini e anche per la sicurezza dei cittadini. Si è creata una moneta unica. E ancora oggi - come voi sapete - solo una parte dei paesi membri dell'Unione è entrata a far parte dell'area della moneta unica. Questo potrà accadere, anzi sarà inevitabile, e perfino - io aggiungo - augurabile, che accada ancora in futuro. Non sappiamo in quali campi, ma è già previsto nel Trattato vigente, e ancora di più sarebbe reso possibile dal nuovo Trattato costituzionale: si chiamano le cosiddette cooperazioni rafforzate. Cioè, alcuni paesi possono rafforzare la cooperazione o l'integrazione fra loro, dando vita a un progetto, impegnandosi ad andare più avanti in un certo campo, anche se non tutti i paesi sono pronti ad andare avanti con alla stessa velocità. Perciò ritorna in qualche modo il concetto di velocità. La base, però, è che ci sia un Trattato, che ci sia uno ordinamento istituzionale comune a tutti. E poi, sarà bene che si abbiano nuovi esperimenti di avanzamento dell'integrazione con la partecipazione dei paesi che sono più pronti, dei paesi che sono più avanzati.
La questione in questo momento è di adottare, e fare entrare in vigore, un Trattato che risponda ad esigenze fondamentali, di caratterizzazione, di ridefinizione e di rilancio, di una Unione che non è più la stessa, non è più a sei e nemmeno a quindici. Perciò si è lavorato ad un Trattato a cui si è dato il nome di costituzionale, nel senso che c'era la necessità sia di ridefinire meglio principi, valori, obiettivi, associando a questa definizione e a un impegno comune tutti i nuovi Stati membri al pari di quelli che già facevano parte dell'Unione Europea. La necessità, a cui si è cercato di rispondere, è stata di un Trattato che riformasse le istituzioni in maniera da avere un'Europa più larga ma funzionante, un'Europa capace di rispondere ad una richiesta che viene dal resto del mondo, affinché l'Europa sia più presente, abbia più iniziativa, faccia sentire la sua parola, parli con una voce sola.
Questo Trattato costituzionale è stato elaborato - o pensato ed elaborato - in circa tre anni e mezzo: nel corso del 2001 si è avviata una discussione molto impegnativa che partiva dalla insoddisfazione per il trattato firmato a Nizza nel dicembre del 2000. Durante tutto quell'anno si è cominciato a discutere pubblicamente sul futuro dell'Europa e alla fine si è approvata una dichiarazione - in un Consiglio che si è tenuto in Belgio, a Laeken - ed è partita un'iniziativa senza precedenti, perché nel passato ogni volta che si discuteva di Trattati esistenti e di farne uno nuovo - fosse quello di Maastricht o quello di Amsterdam - si riunivano soltanto una persona per ciascun paese: un esperto, un diplomatico, e preparavano un testo, poi lo sottoponevano ai capi di governo e infine i Parlamenti lo ratificavano. Nel 2002, sulla base di quella dichiarazione prima citata, si è dato vita a qualcosa di inedito: una Convenzione di cui hanno fatto parte i rappresentanti non solo dei governi nazionali ma dei Parlamenti nazionali, e, naturalmente, della Commissione europea e del Parlamento europeo. Questa Convenzione, di cui è stato vicepresidente Giuliano Amato e di cui è stato rappresentante autorevole per l'Italia Lamberto Dini, ha lavorato per un anno e mezzo, si è suddivisa in commissioni, ha sviscerato i problemi, ed è arrivata ad una proposta, la quale è stata poi sottoposta ai capi di governo, come prevede attualmente il regime giuridico dell'Unione; e i capi di governo, apportando qualche modifica - in generale peggiorativa anziché migliorativa - hanno poi sottoscritto solennemente questo Trattato qui a Roma nell'ottobre del 2004.
Che cosa è accaduto? Una volta firmato dai governi, il Trattato doveva essere sottoposto per la ratifica nei singoli paesi, o dai Parlamenti o anche dal corpo elettorale attraverso referendum. Hanno scelto il referendum quattro paesi: in due, la Spagna e il Lussemburgo, il Trattato è stato ratificato dal popolo a grande maggioranza; in altri due, la Francia e l'Olanda, invece ha prevalso il no alla ratifica del Trattato. Ed è entrata in crisi l'Unione Europea, almeno dal punto di vista istituzionale.
Da questa crisi bisogna uscire assolutamente: ci sono molte proposte. Badate che il Trattato è stato ratificato da 18 paesi: due l'hanno respinto e sette sono rimasti a guardare. Per qualcuno di questi ci sarebbe da dire che è veramente molto strano, forse addirittura scandaloso, che, dopo aver messo la firma in calce a quel Trattato, non si sia avuto almeno il coraggio di sottoporlo ad una ratifica. E questo è il caso, purtroppo, della Gran Bretagna: il caso più clamoroso. Altri paesi, egualmente, hanno scelto una strada di ambiguità e di attesa. Ma il peso dei 18 che hanno detto sì deve essere adeguatamente valutato; non possono, in questa fase di crisi, avere voce solo i due che hanno detto no.
Poi, credo che un contributo positivo possa venire nel prossimo futuro dalla Francia al superamento di questa empasse. Non dimentichiamo che fu a Parigi che nel 1950 nacque l'idea dell'Europa unita, ed è da Parigi che noi attendiamo - e penso che possiamo attendere con fiducia - un contributo alla ricerca di una via d'uscita. Si può avere un Trattato più semplice (d'altra parte, chi ha appesantito di più di 300 articoli il testo del Trattato, non è stata la Convenzione ma è stata la Conferenza intergovernativa, sono stati i capi di governo), si può lasciar cadere una gran parte di quella che è diventata la terza parte del Trattato, e quindi si può avere un Trattato costituzionale di meno di 100 articoli (e non si dica che sarebbe troppo lungo o troppo difficile). C'è una proposta francese in questo senso, non ancora formalizzata dal nuovo presidente, ma spero che ce la si faccia.
Una cosa a mio avviso dovrebbe essere chiara: se, dopo aver lavorato per anni a questo Trattato, dopo che ci hanno lavorato i rappresentanti dei Parlamenti nazionali e non solo dei governi, questo Trattato viene buttato via, e si ripiega sulla soluzione meschina dell'infilare nei vecchi Trattati quello che si può del nuovo, si avrebbe, a mio avviso, una clamorosa auto-sconfessione dell'Europa, delle classi dirigenti, dei governi dell'Europa, e la pagheremmo cara sul piano della credibilità dell'Unione.
Alunno dell'Istituto Tecnico Commerciale Aeronautico di Ragusa
Signor Presidente, la cancelliere Merkel, in occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma del 1957, nella sua dichiarazione ufficiosa resa nota alla stampa, si rivolgeva ai popoli d'Europa. Tale dicitura è risultata poi assente nella dichiarazione ufficiale. Quindi non pensa che una consultazione referendaria unica al posto di 27 consultazioni nazionali, possa permettere di rilanciare con forza il progetto di una Europa dei popoli affinché ci si possa riconoscere nelle istituzioni comuni e condividerne le finalità democratiche?
Napolitano
L'Unione Europea è stata definita già in precedenza, e sarebbe ulteriormente definita con il Trattato costituzionale, una unione di Stati e di popoli, e in questo sta la sua assoluta originalità. Non è una semplice alleanza tra Stati sovrani: è una unione che ha sancito un processo di integrazione, per cui una parte delle rispettive sovranità nazionali è stata ceduta alle istituzioni europee, che esercitano quindi una sovranità condivisa nei campi in cui l'Unione Europea ha una competenza esclusiva.
Si parla di popoli al plurale: non c'è dubbio che c'è una differenza tra il parlare di popoli europei al plurale e di popolo europeo al singolare, perché c'è sempre una discussione - ne ha parlato ampiamente Giuliano Amato - sulle diversità: ritengo che sia chiaro che nessuno voglia annullare le diversità che costituiscono (lo si ripete sempre) una ricchezza dell'Europa. D'altronde, l'Europa è stata fin dai primordi un mosaico di popoli e di lingue.
Ma quando si parla di un referendum che si dovrebbe svolgere contemporaneamente, magari per ratificare il Trattato semplificato dei paesi membri, il problema, naturalmente, è di come si valutano i risultati. La logica di questo referendum significherebbe che il risultato è quello di una maggioranza favorevole tra i cittadini europei, tutti messi insieme. Quindi, se per esempio - non voglio dire in Francia - in un paese la maggioranza vota contro, ma nel complesso dei 450 milioni di abitanti e da molte centinaia di milioni di elettori il Trattato è approvato, la questione è chiusa. È un passo - e io potrei anche auspicarlo - senza dubbio molto avanzato, ma difficilmente immaginabile oggi.
Noi dobbiamo ritenere che esistono i popoli europei, che c'è anche qualcosa di comune al punto da far parlare, per aspetti non secondari, un popolo europeo. Quando il Parlamento europeo fu per la prima volta eletto a suffragio universale, direttamente dai cittadini, in tutti paesi, Altiero Spinelli - voi sapete che è stato un grande profeta combattente e costruttore dell'Europa unita - scrisse: "Oggi nasce il popolo europeo". Forse precorse i tempi, forse fu un po' ottimista; comunque è una prospettiva che non dobbiamo dimenticare.
Alessandro Piovano del Liceo Scientifico di Mondovì
Volevamo chiederLe se in una comunità globale, fondata sulla condivisione, potremo mantenere la nostra identità nazionale o ci riconosceremo totalmente nella nuova Europa.
Napolitano
Se per riconoscersi totalmente nella nuova Europa significa annullarsi dal punto di vista delle storie e delle culture nazionali, io rispondo sicuramente no, per tutte le ragioni che sono state dette da Giuliano Amato: assolutamente no.
Noi dobbiamo riuscire a mettere in valore quello che unisce le nostre storie, le nostre culture, le nostre esperienze politiche e istituzionali, non dimenticando quello che le fa distinte e quello che le tiene ancora oggi distinte. Quindi, bisogna concepire l'identità europea non come sostitutiva delle identità nazionali, ma - se mi fosse consentito un termine un po' letterario, un po' retorico - come sublimazione delle identità nazionali. C'è stato un grande filosofo e pensatore italiano, Benedetto Croce, che in uno scritto profetico degli inizi degli anni Trenta, anticipò il sogno di una Europa unita, confrontò questa prospettiva di una Europa unita alla realizzazione dell'unità italiana e disse che, come un giorno noi napoletani, siciliani, piemontesi, toscani abbiamo saputo unirci, non dimenticando le nostre piccole patrie ma portandole a unità nell'Italia finalmente unificata, così sarà l'Europa del futuro. Credo magari che ci sarà qualcosa di più di quello che rimane della nostra napoletanità o piemontesità. Anche in Italia siamo rimasti abbastanza diversi per tanti aspetti, e siamo - io lo credo e lo spero profondamente - uniti.