Palazzo dei Marescialli 14/02/2008

Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla seduta del Consiglio Superiore della Magistratura


INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALLA SEDUTA DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

(Palazzo dei Marescialli, 14 febbraio 2008)


Signor Vice Presidente, Signori Consiglieri, a tutti il mio saluto cordiale.
Colgo l'occasione per rivolgere qui un augurio particolarmente caloroso al nuovo Ministro della Giustizia, Presidente Luigi Scotti, già autorevole magistrato e componente del Consiglio Superiore; le sue qualità professionali e organizzative gli consentiranno di svolgere con alto senso delle istituzioni, in un momento particolarmente delicato e complesso, l'incarico affidatogli.
Non vi stupirete - penso - Signori Consiglieri, se inizierò il mio intervento interrogandomi sulla stessa scelta del tema cui abbiamo deciso - me consenziente e partecipe - di dedicare questa discussione. Sappiamo benissimo, naturalmente, che si è trattato di una scelta suggerita dall'accumularsi nel tempo e dal recente acuirsi di tensioni che hanno riproposto come nodo particolarmente delicato e critico quello dei rapporti tra politica e giustizia. Ma alcuni chiarimenti preliminari sono necessari e opportuni.
Innanzitutto, il tema di cui abbiamo ritenuto di dover discutere specificamente, non può essere isolato dalle problematiche generali - riproposte organicamente in occasione della recente inaugurazione dell'Anno Giudiziario. Problematiche relative al funzionamento del "servizio giustizia" o, se si preferisce, alla valorizzazione e al riconoscimento - in un rinnovato rapporto di fiducia con i cittadini - di quell'impegno di corretta ed efficace amministrazione della giustizia che è presidio fondamentale dello Stato di diritto. Capisco che questo richiamo al quadro di insieme cui ricondurre anche il tema del rapporto tra politica e giustizia può apparire ovvio o pacifico. Ma non sono certo che sempre, nella pratica, questo quadro, questo nesso sia da tutti ben tenuto presente : si ha talvolta l'impressione che da una parte o dall'altra si finisca per smarrirlo.
Di qui anche l'altro mio interrogativo : si può finalmente dar luogo a un confronto sul tema che ci interessa e preoccupa, senza che le voci provenienti dal mondo della politica e dal mondo della magistratura siano contrassegnate da complessi difensivi e da impulsi di ritorsione polemica? Mi auguro che sia possibile, e che proprio questa discussione in seno al CSM possa darne la prova.
La politica e la giustizia, i protagonisti, e ancor più le istanze rappresentative, dell'una e dell'altra, non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti in una comune responsabilità istituzionale. E a chi vi parla tocca dare il contributo più obbiettivo e disinteressato alla piena affermazione di quella comune responsabilità. A ciò corrispondono rilievi ed inviti che ho formulato in alcune occasioni, intervenendo in questo Consiglio : solo impropriamente e strumentalmente si è potuto riferirli a un qualche intento polemico particolare, in relazione a vicende del momento.
Aggiungo che considero fuorviante attribuirmi la tendenza a una salomonica equidistanza, come se a me spettasse dividere i torti e le ragioni tra due parti in conflitto, e non richiamare tutti al rispetto di regole, esigenze, equilibri che il nostro ordinamento repubblicano ha per tutti reso vincolanti.
Quale sia l'ispirazione che mi guida, e quali i fatti che mi preoccupano, ho detto di recente nel mio discorso in Parlamento per il 60° anniversario della Costituzione : "troppi sono oggi i casi di non osservanza delle leggi e delle regole, di scarso rispetto delle istituzioni ma anche di scarso senso del limite nei rapporti tra le istituzioni". E a proposito, in particolare, dei rapporti tra politica e giustizia, e tra le rispettive istituzioni, già nel saluto augurale rivolto alle alte cariche dello Stato per le festività natalizie, avevo messo in guardia contro "l'accendersi, ancora una volta, di una deleteria spirale che procurerebbe grave danno sia alle forze e alle istituzioni politiche sia alla magistratura, in definitiva alla causa della giustizia nell'interesse dei cittadini e dello Stato".
La rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, e dobbiamo avere il massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale. Anche nella cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti, il Presidente e il Procuratore Generale hanno formulato gravi rilievi in ordine alla diffusione delle pratiche di corruzione e di altre violazioni della legge penale. Si tratta di fenomeni devianti di cui le forze politiche debbono avere consapevolezza, ponendovi argine nell'ambito delle loro responsabilità. E nei casi in cui quei fenomeni siano obbiettivamente riconducibili anche a persone che svolgono attività politica e ricoprono incarichi pubblici, dev'esser chiaro che l'investitura popolare, diretta o indiretta, non può diventare privilegio esonerando chicchessia dal confrontarsi correttamente col magistrato chiamato al controllo di legalità.
Chi svolge attività politica non solo ha il diritto di difendersi e di esigere garanzie quando sia chiamato personalmente in causa, ma non può rinunciare alla sua libertà di giudizio nei confronti di indirizzi e provvedimenti giudiziari. Ha però il dovere di non abbandonarsi a forme di contestazione sommaria e generalizzata dell'operato della magistratura ; e deve liberarsi dalla tendenza a considerare la politica in quanto tale, o la politica di una parte, bersaglio di un complotto da parte della magistratura.
Un analogo complesso di diffidenza e di reattività difensiva si coglie anche, talvolta, negli atteggiamenti di quanti operano nell'amministrazione della giustizia e rappresentano l'ordine giudiziario.
Bisogna dissipare questa duplice cortina di pregiudizio e di sospetto. E ai magistrati spetta in questo senso fare la loro parte. Molto apprezzabili, nella loro essenzialità, mi sono perciò sembrate le osservazioni contenute nella Premessa della Relazione svolta il 25 gennaio scorso dal Presidente Carbone : "Occorre che ogni singolo Magistrato sia pienamente consapevole della portata degli effetti, talora assai rilevanti, che un suo atto può produrre" ; che può produrre - ha sottolineato a sua volta il Presidente della Corte dei Conti - "anche al di là delle parti processuali". Al senso del limite e della responsabilità, deve accompagnarsi lo scrupolo necessario per non cedere all' "esposizione mediatica", l'impegno a "ricreare" - sono ancora parole del Presidente Carbone - "un giusto clima di rispetto, riservatezza e decoro intorno al processo". E sullo stesso tema è intervenuta una settimana fa l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, deliberando un "atto di indirizzo" puntuale e fermo contro il rischio di un sovrapporsi della televisione alla funzione della giustizia, attraverso "la tecnica della spettacolarizzazione dei processi" e la suggestione di "teoremi giudiziari alternativi". Grande rilievo può a questo proposito assumere l'individuazione - da parte del Consiglio Superiore - di percorsi formativi che sviluppino nei magistrati modelli di comportamento ispirati alla discrezione e alla misura.
E', infine, parte importante del senso del limite non sentirsi investiti di missioni improprie : il magistrato non deve dimostrare alcun assunto, non certamente quello di avere il coraggio di "toccare i potenti", anche contravvenendo a regole inderogabili. Né può considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico che non si traduca in condotte penalmente rilevanti. La sola, alta missione da assolvere è quella di applicare e far rispettare le leggi, attraverso un esercizio della giurisdizione che coniughi il rigore con la scrupolosa osservanza dei principi del giusto processo, delle garanzie cui hanno diritto tutti i cittadini. Come ha appena ribadito in una sua sentenza la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore, "il principio di soggezione soltanto alla legge, lungi dal riconoscere un potere arbitrario, costituisce per il magistrato un vincolo che gli impedisce di finalizzare o condizionare la propria attività a obbiettivi diversi da quelli della affermazione del diritto".
Perciò, in precedenti nostri incontri qui, ho ritenuto di dover sollecitare la necessaria cautela quando si valutino gli "elementi indiziari nel decidere l'apertura del procedimento e a maggior ragione l'adozione di misure cautelari" : sapendo tra l'altro che il problema irrisolto della durata del processo rende poco credibile l'argomento secondo il quale ogni provvedimento giudiziario può trovare nel sistema le sue correzioni. E con lo stesso spirito ho espresso altre, pacate raccomandazioni.
A presidio di regole sancite per legge e di norme di comportamento, a entrambe le quali debbono sottostare quanti sono chiamati a indagare e giudicare, si pone l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare, che va condotto con tempestività e rigore, come ha sottolineato il Procuratore Generale della Corte di Cassazione nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Si tratta di una funzione che anche il Consiglio Superiore della Magistratura è chiamato a svolgere senza esitazioni e indulgenze, ignorando pressioni politico-mediatiche irrispettose delle ragioni e delle procedure dell'azione disciplinare. Esercitando prontamente tale azione, si rende un importante servigio alla magistratura e al suo organo rappresentativo, accrescendone il prestigio e l'autorità e dando maggior forza alla tutela dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario.
E' egualmente importante che i titolari dei poteri di vigilanza segnalino tempestivamente i contrasti all'interno degli uffici, la cui tardiva conoscenza e risoluzione può compromettere la credibilità della magistratura.
Credo per intima convinzione nel ruolo di quel Consiglio Superiore che i Costituenti disegnarono in una visione tendente a scongiurare - nell'esercizio dei poteri di governo della magistratura - rischi di chiusura ed autoreferenzialità. Essenziali ne rimangono in tale visione la capacità di libero giudizio e l'equilibrio delle decisioni al di fuori di qualsiasi compiacenza corporativa. Credo nell'unità del Consiglio, che non tollera separazioni e tantomeno contrapposizioni tra membri togati e membri di designazione parlamentare, di qualsiasi schieramento. Credo infine nella sua capacità di concorrere a un dibattito elevato sui problemi della giustizia, e anche sul tema del rapporto con la politica, le sue forze organizzate e le sue istituzioni rappresentative : garantendo il massimo apporto della magistratura al superamento delle insufficienze del sistema giustizia e chiedendo quel che è giusto chiedere - a cominciare da una svolta nella qualità della produzione legislativa - a chi sarà chiamato a operare in Parlamento e a governare il paese. E rinnovo la mia piena fiducia nel Vice-Presidente Sen. Mancino, per l'impegno, la competenza, l'assoluta correttezza con cui ha assolto e quotidianamente assolve il suo mandato.