INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
GIORGIO NAPOLITANO
AGLI "STATI GENERALI DELL'EUROPA"
Lione, 21 giugno 2008
Desidero innanzitutto ringraziare vivamente il Mouvement Européen-France per l'opportunità che mi ha offerto di rivolgermi ai partecipanti a questi Etats Généraux, che costituiscono una testimonianza di passione e di partecipazione per il rilancio della causa dell'unità europea. Vi ringrazio per l'omaggio reso, attraverso la mia persona, all'Italia come invitato d'onore. Vedo in ciò il riconoscimento del contributo dato dal mio paese fin dalla nascita, anzi dal concepimento, dell'Europa comunitaria. L'Italia ha guadagnato il suo posto nella storia dell'integrazione europea grazie a delle personalità lungimiranti e determinate, che hanno suscitato un movimento di opinione ed un consenso politico in favore dell'adesione alla Dichiarazione Schuman, alla Comunità del Carbone e dell'Acciaio, al progetto di Comunità Europea di Difesa.
Mi riferisco ad un grande uomo politico e di Stato, Alcide de Gasperi, che è stato veramente uno dei Padri Fondatori dell'Europa comunitaria, e ad Altiero Spinelli, che è stato un grande profeta e combattente del movimento federalista europeo.
E ancora oggi avremmo bisogno, lasciatemelo dire, sia di sapienti e realistici costruttori che di ispiratori ardenti e pugnaci, per fare avanzare la causa dell'Europa.
E soprattutto, devo aggiungere, la causa dell'Europa politica. Quello che ha caratterizzato, forse in maniera particolare la posizione italiana sin dall'avvio dell'avventura europea fu l'idea di una Europa unita non soltanto nell'ambito dell'economia e del mercato ma anche sul piano politico. Era questa l'idea di De Gasperi e di Spinelli, ognuno nel suo ruolo, idea che fu fatalmente compromessa dal fallimento del progetto di Comunità Europea di Difesa.
Ma non è forse questo il grande tema tornato in modo prepotente d'attualità? Anche dopo la forzata rinuncia all'adozione, pazientemente preparata, di una Costituzione ovvero di un Trattato costituzionale, la messa in atto dello stesso testo di compromesso sottoscritto a Lisbona ripropone quella scelta di fondo : la necessità storica, cioè, di dare a un'integrazione europea che ha superato anche la soglia così avanzata dell'unificazione monetaria, lo slancio politico e l'orizzonte politico che le fa ancora difetto.
E' ben presente nella nostra memoria, e vale la pena di ricordare, la missione cui fu chiamata la generazione degli europei che avevano vissuto la tragedia di una seconda guerra mondiale scoppiata nel cuore dell'Europa, così come la generazione dei giovani europei che sessant'anni fa si affacciavano con speranza, ma in condizioni durissime, sulla scena dell'impegno civile e politico. Era la missione della pacificazione e della ricostruzione di un'Europa sconvolta e semidistrutta ; del superamento dei fatali antagonismi che avevano lacerato i rapporti tra i maggiori paesi dell'Europa continentale. E in quel nucleo occidentale dell'Europa, depositario di un'antica comunanza di civiltà, fu possibile gettare le basi di una riconciliazione e di una unità che solo in più decenni avrebbero potuto estendersi all'intero continente.
La missione cui siamo chiamati oggi - cui siete chiamati voi, che appartenete alle nuove generazioni (francesi, italiane, in una parola europee) - consiste nel salvaguardare, rinnovandola, la funzione storica dell'Europa in un mondo che vede spostarsi altrove il suo baricentro, che vede modificarsi profondamente rispetto al passato gli equilibri economici e politici, "geo-strategici" come ora si usa dire.
L'Europa potrà ancora contare sulla scena mondiale, potrà ancora dare il suo apporto peculiare e insostituibile all'evoluzione dell'ordine globale, solo se riuscirà ad affermarsi come entità politica unitaria.
Con la globalizzazione, mutamenti radicali hanno già avuto luogo e sono in pieno svolgimento. Nessuno dei nostri Stati-nazione, nemmeno quelli che hanno maggiormente fatto per secoli la storia, può ormai né risolvere da solo i suoi problemi, divenuti inscindibili da contesti più ampi, né dare da solo un valido contributo al superamento delle sfide globali del nostro tempo.
Quando sento dire che l'ispirazione dei "padri fondatori" dell'Europa comunitaria è ormai solo un retaggio del secolo che si è concluso, che essa non può più in alcun modo guidarci, torno a rileggere Jean Monnet. E ritrovo - e voglio qui ripetere ad alta voce - le sue parole :
" Nous ne pouvons pas nous arrêter quand autour de nous le monde entier est en mouvement ? Aujourd'hui nos peuples doivent apprendre à vivre ensemble sous des règles et des institutions communes librement consenties s'ils veulent atteindre les dimensions nécessaires à leur progrès et garder la maîtrise de leur destin. Les nations souveraines du passé ne sont plus le cadre où peuvent se résoudre les problèmes du présent."
Quel messaggio è più che mai valido, drammaticamente valido. Non c'è pretesa di autosufficienza, non c'è illusione protezionista che possa mettere l'Italia o la Francia o la Germania al riparo dalle sollecitazioni e dai condizionamenti della globalizzazione. La sola strada percorribile è per tutti noi l'approfondimento dell'integrazione, un più coraggioso e coerente sviluppo verso l'unione politica.
A rendere possibile tale sviluppo tendevano le innovazioni istituzionali previste dal Trattato "che stabiliva una Costituzione per l'Europa" : Trattato lungamente discusso e approvato dalla Convenzione di Bruxelles, poi già indebolito in qualche punto dalla Conferenza Intergovernativa e infine sottoscritto dai Capi di governo di tutti gli Stati membri nell'ottobre 2004. Quelle innovazioni sono state in larghissima misura fatte salve nel testo adottato a Lisbona nel dicembre 2007, in una redazione peraltro più tortuosa e assai meno leggibile del Trattato costituzionale.
Possiamo ora ammettere che anche il Trattato di Lisbona, a sua volta sottoscritto unanimemente dai Capi di governo, venga travolto dal risultato del referendum svoltosi in Irlanda, il cui Primo Ministro ha dichiarato subito dopo il voto che alla ratifica si erano opposte le più diverse e spesso contrastanti preoccupazioni?
Può essere bloccato dal tabù dell'unanimità il necessario cammino verso il rafforzamento dell'Unione e della sua capacità di affermare il ruolo dell'Europa e di rispondere alle inquietudini e alle attese dei cittadini? No, lasciare che ciò accada equivarrebbe a mettere a rischio le conquiste del passato e le prospettive del futuro. Se gli straordinari progressi realizzati in cinquant'anni di integrazione possono essere dati per scontati, per ormai acquisiti, dalle generazioni più giovani che non hanno memoria di quel che sono costati e di come sono stati conseguiti, dovrebbe essere più facile per tutti intendere come non si possa far fronte alle sfide del futuro con una Europa debole e disunita.
La Comunità e poi l'Unione si sono via via allargate fino a raggiungere i 27 Stati membri. Ma è giunto il momento della prova : se in questa dimensione e con queste regole l'Unione mostra di non poter funzionare e di non potere nemmeno cambiare le sue regole, bisogna allora trovare le forme di un impegno più saldo e coerente tra quei paesi che si sono riconosciuti nelle scelte più avanzate di integrazione e coesione, come quella della moneta unica, quella dell'Euro e dell'Eurozona.
E bisogna capire che la vicenda del voto in Irlanda ha più che mai, drasticamente posto un grande problema. Il problema del rapporto tra governanti e governati nell'Europa unita, il problema della partecipazione e del consenso dei cittadini.
L'Unione europea - così spesso accusata di mancanza di "capacity to deliver" - non potrà aumentare la sua efficacia senza riforme e mezzi adeguati, e senza un nuovo slancio democratico.
Troppi governi nazionali hanno negli anni scorsi ritenuto di poter gestire in solitudine gli affari europei, poco preoccupandosi di coinvolgere sistematicamente le rispettive opinioni pubbliche e perfino i rispettivi Parlamenti, nelle discussioni e nelle scelte cui erano chiamate le istituzioni dell'Unione ; troppi governi hanno anzi dissimulato le posizioni da essi sostenute in sede europea, chiamando in causa l'Europa - e in particolare la Commissione europea, la "burocrazia di Bruxelles" - come capro espiatorio per coprire loro responsabilità e insufficienze.
E' mancato un discorso di verità nel rapporto con i cittadini, è mancato il segno della convinzione e della volontà politica nell'indicare e motivare l'esigenza di una più forte unità europea, nel prospettare le nuove politiche comuni di cui c'è bisogno in Europa. E invece solo così si può evitare l'equivoco o il timore di una delega in bianco da parte dei cittadini alle istituzioni europee; e si può riaffermare il principio ispiratore dell'integrazione che è, dai primi anni '50 dello scorso secolo, quello del conferimento di quote di sovranità condivisa alla Comunità e quindi all'Unione europea.
Non si può pretendere dai cittadini che si orientino nella trama delle norme di un nuovo Trattato, e addirittura nel labirinto di un collage di emendamenti ai Trattati vigenti come quello concordato a Lisbona. Si deve puntare sul recupero di un rapporto di fiducia con i cittadini, basato su una piena assunzione di responsabilità da parte dei governi e delle forze politiche che rappresentano gli Stati membri dell'Unione. E' qui il nocciolo della questione della democrazia nel contesto dell'Europa unita ; questione da affrontare, naturalmente, anche in termini concreti valorizzando il Parlamento europeo e i suoi poteri, intensificando la collaborazione con i Parlamenti nazionali ed ascoltandone la voce, rafforzando il dialogo con la società civile, chiamando i cittadini a riconoscersi nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione e ad esercitare la loro iniziativa anche sul terreno della sollecitazione di nuovi atti legislativi europei.
Si tratta di strade da battere senza ulteriori incertezze, ambiguità e ripensamenti. Chiediamo ai cittadini, chiediamo alle giovani generazioni, di intervenire, di far pesare, costruttivamente, le loro istanze. E chiediamo alle leadership politiche di mostrare consapevolezza, senso del futuro e anche senso dell'urgenza.
La Francia - che è sempre stata al centro dell'integrazione europea e che tra qualche giorno assumerà la responsabilità di presiedere il Consiglio nel prossimo semestre - darà senza dubbio un apporto prezioso in questa fase cruciale per l'avvenire dell'integrazione.
L'Italia la sosterrà con determinazione. I nostri due paesi hanno - sin dall'inizio, in quanto paesi fondatori - una responsabilità particolare verso la costruzione europea. Sono tra i più importanti detentori del patrimonio, del metodo e dell'acquis comunitari, così come si sono sviluppati fin dall'inizio. Insieme, ed in collaborazione con gli altri partner europei, non mancheranno questa occasione per riflettere sulle sfide alle quali l'Unione deve fare fronte.
Ho parlato del senso dell'urgenza. Già nel 1984 François Mitterrand diceva a Strasburgo, dinanzi al Parlamento europeo :
" Chacun d'entre nos peuples, aussi riche que soit son passé, aussi ferme que soit sa volonté de vivre, ne peut, seul, peser du poids qu'il convient sur le présent et l'avenir des hommes sur la terre. Ensemble, nous le pouvons. Mais nous sommes dans une phase où le destin hésite encore. "
Sì, " le destin hésite encore " ma - diciamolo in questo momento - non ancora per molto.
Se tardassimo, o tornassimo indietro, perderemmo l'appuntamento con la storia. Come europei, non possiamo permettercelo, non dobbiamo farlo.