INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE
"ITALY, EUROPE AND THE U.S. - THE TRANSATLANTIC LINK AND ITS FUTURE"
IN MEMORIA DI GIANNI AGNELLI
WHY HISTORY MATTERS: THE TIES THAT STILL BIND US
Roma, Villa Madama - 1 luglio 2008
Per una singolare coincidenza, che nel mio personale ricordo ha assunto un suo significato, accadde che incontrassi per la prima volta Gianni Agnelli proprio a New York. Era quella, nella primavera del 1978, anche la prima volta che visitavo gli Stati Uniti, col proposito di conoscere più da vicino quel mondo e di suggerire un'idea non convenzionale del cammino della sinistra italiana. Per Gianni Agnelli, era invece solo una delle innumerevoli tappe del suo continuo muoversi tra le due sponde dell'Atlantico, nel segno di un duplice amore, per l'Italia e per l'America, e così sempre di più, di fatto, rappresentando oltreoceano il nostro paese, nel suo profilo più moderno, più dinamico e accattivante.
Da quel giorno, dopo quel mio primo incontro con "l'Avvocato", molti altri ce ne sarebbero stati, in un rapporto - credo di poter dire - di reciproca attenzione, stima e simpatia.
E allora, come si potrebbe meglio che nel nome di Gianni Agnelli riflettere su quel che ha legato e lega Stati Uniti e Italia, noi italiani e l'America, in un vincolo di solidarietà e alleanza che si è venuto intrecciando sempre di più con quello tra Europa e Stati Uniti?
Noi Italiani, noi Europei, non dimenticheremo mai la parte che ebbero le forze armate americane, con un costo di vite umane ingente, nella liberazione del nostro Paese, e di tutta l'Europa, dal dominio nazista. Se mi è consentita una testimonianza personale aggiungerò che egualmente non posso dimenticare quale rapporto di compenetrazione e simpatia si stabilì tra la popolazione e le truppe americane che rimasero a lungo nella città di Napoli, dopo averla liberata il 1° ottobre 1943, e condivisero la drammatica condizione umana in cui la guerra l'aveva precipitata.
L'intervento americano, nel secondo come nel primo conflitto mondiale, fu determinante per le sorti dell'Europa, e fu prova di un legame dell'America con il vecchio continente che aveva profondissime radici. Ed è motivo di orgoglio per noi che, dopo la caduta del fascismo, gli Italiani abbiano partecipato, con la cobelligeranza e con la Resistenza, di militari e di civili, alla lotta per la Liberazione.
Quando le forze politiche italiane, dopo il voto popolare da cui nacque la nostra Repubblica, seppero, sulla base di valori comuni radicati nell'antifascismo, tenere a freno i dissensi politici e ideologici per dare vita insieme, con coraggio, alla nostra Costituzione, esse si collocarono, consapevolmente, nella scia della lunga storia della democrazia moderna. Sappiamo bene che questa storia ebbe uno dei suoi punti di partenza nella Rivoluzione americana e nei grandi principi di libertà e di uguaglianza fra tutti i cittadini su cui si fondava la giovane democrazia che ne era nata, ispirandosi a sua volta a ideali illuministi e cristiani, espressione della civiltà europea.
Ci riesce talvolta difficile non considerare la storia americana come un capitolo di storia europea. A sua volta, ancora negli anni del dopoguerra, l'America - dapprima con il Piano Marshall, da cui venne, insieme con una straordinaria prova di solidarietà, l'impulso a una prima concertazione di sforzi in Europa, e quindi con la dichiarata simpatia per il progetto comunitario - mostrò di guardare all'Europa con un istinto di partecipazione alle vicende del vecchio continente che è molto più della semplice espressione di puri interessi politici.
Poi fu la Guerra fredda, che divise l'Europa, e anche l'Italia, in due campi politici. Nacque, non senza una forte contrapposizione nel nostro Paese, l'Alleanza Atlantica. Ma ebbe presto inizio anche un intenso, a mio avviso ancora oggi esemplare processo di negoziati per il controllo degli armamenti che si protrasse per decenni e che diede vita a un succedersi di trattati, fondamento di quella che fu chiamata la coesistenza pacifica tra le grandi potenze.
Le tensioni, internazionali ed interne, si attenuarono. In Italia si giunse, attraverso una graduale evoluzione degli orientamenti e dei "clivages" politici, a una larghissima condivisione delle grandi scelte che avevano segnato la nostra collocazione internazionale: Comunità Europea e Nato. Venne meno, in sostanza, anche nella sinistra di opposizione, l'antiamericanismo ideologico. La grande maggioranza degli italiani si riconobbe via via in un ricco patrimonio di valori comuni : in quello spazio politico che chiamiamo Occidente, come luogo della democrazia politica e del pluralismo economico, sociale e culturale, i cui principi hanno finito per estendersi a tutto il Continente, quasi interamente riunificato nell'Unione Europea.
Il cammino dell'integrazione e dell'unità politica dell'Europa rimane ancora incompiuto ; ha conosciuto e continua a conoscere battute d'arresto. Ma non ho dubbi che operino a suo sostegno ragioni e spinte oggettive profonde. E non è soltanto la storia passata che ci spinge a completare, passo dopo passo, la costruzione delle istituzioni comuni capaci di garantire il progresso economico, sociale e civile dell'Europa unita : ma è anche la coscienza che i popoli europei potranno salvaguardare i loro interessi e i loro valori, e dare un contributo peculiare al governo globale in un mondo di pace, soltanto se sapranno esprimere la loro volontà e capacità d'azione unitaria.
Nel quadro così complesso del nostro tempo si propone in modo nuovo anche il legame, storicamente fortissimo, fra America ed Europa, e oggi, fra gli Stati Uniti e l'Unione Europea in quanto tale, come ci dicono anche i periodici summit e le dichiarazioni comuni che ne scandiscono il dialogo. Se tuttavia emergono talvolta ancora legami particolari, privilegiati, fra Washington e questa o quella capitale europea, ciò si deve, a mio avviso, soprattutto alla difficoltà che ancora troviamo noi Europei per esprimere una solida politica comune.
Ma confido che non sia troppo lontano il momento in cui, per parlare con l'Europa, il Presidente degli Stati Uniti, o il Segretario di Stato, disporrà di un singolo numero di telefono cui rivolgersi, e troverà all'altro capo della linea telefonica chi sappia e possa rispondergli rappresentando e impegnando l'Unione nel suo insieme. Comprendo quanto sia complicato e talvolta difficile il dialogo dell'America con una Unione di Stati ancora sovrani. Ma credo che l'America debba incoraggiare, anche nel suo stesso interesse, l'Europa a non funzionare come mera "collection of nation-states" bensì come entità politica unitaria. E' così che possono meglio consolidarsi le relazioni transatlantiche rendendo vitale l'Alleanza che le suggellò.
Non lo disse forse già nel 1963 il Presidente Kennedy ? Cito le sue parole :
"E' solo un'Europa pienamente coesa che può proteggerci tutti da una frammentazione dell'alleanza. Solo una simile Europa consentirà una piena reciprocità di trattamento attraverso l'oceano nel far fronte all'agenda Atlantica. Solo con una simile Europa potremo realizzare un pieno rapporto di dare e avere tra eguali, una eguale ripartizione di responsabilità, e un uguale livello di sacrificio".
Oggi come non mai sentiamo quanto debba ancora rafforzarsi quella coesione, e il senso di una identità comune, dell'Europa, affinché l'Unione possa esprimere sulla scena mondiale - ai fini della resistenza a minacce gravi come è nella fase attuale il terrorismo, e quindi ai fini del mantenimento della pace e dell'avanzamento economico e sociale di tutti i popoli, in modo particolare di quelli più poveri, tutto il suo peso, non soltanto economico.
E' vero: la nostra è ancora una "Europa in transizione", come Lei, caro Kissinger, l'ha definita. E ciò crea difficoltà sul terreno di un impegno comune fra l'Unione Europea e gli Stati Uniti d'America per la sicurezza mondiale. Ma non regge la polemica distinzione fra "Marte e Venere". Si è manifestata in Europa in misura crescente la consapevolezza dell'impossibilità di fare esclusivo affidamento sulla forza degli Stati Uniti per fronteggiare sfide molteplici e crisi acute, la consapevolezza cioè del non poterci sottrarre alle nostre responsabilità in senso globale. E' quel che dimostra la forte e costruttiva presenza europea, e segnatamente italiana, in missioni multilaterali di stabilizzazione di numerose aree, a noi vicine e lontane, in cui sono insorti conflitti e permangono pericolose tensioni.
Una presenza anche militare, con uno spiegamento di uomini e mezzi mai raggiunto dopo la seconda guerra mondiale. L'Europa nel suo insieme ha riconosciuto e riconosce di dover rafforzare la sua "capability" militare, anche per rendere credibile una sua identità di sicurezza e di difesa, e una sua politica comune in questo campo. Nonostante le difficoltà finanziarie e di altra natura che a ciò fanno ostacolo soprattutto in alcuni dei nostri paesi, dobbiamo riuscirvi, pur nel calcolo realistico dei limiti entro cui può concepirsi un apprezzabile impegno militare europeo nel panorama mondiale.
Abbiamo, europei e americani, grandi obbiettivi comuni da perseguire, e lo spostarsi del baricentro degli affari internazionali, il mutare degli equilibri tra le grandi aree continentali, nulla tolgono al significato e all'essenzialità dei rapporti e dell'alleanza tra le due sponde dell'Atlantico.
In questo spirito, possiamo ben discutere e affrontare serenamente le differenze di approccio tra europei e americani sui complessi problemi di un nuovo ordine mondiale: sull'evoluzione del ruolo della Nato; sul rapporto tra il ricorso alla forza e la ricerca di soluzioni negoziali; sull'equilibrio e sulla sinergia tra gli strumenti militari e quelli civili cui ricorrere nelle aree di crisi; ed anche sul rapporto, cui attribuiamo grande importanza, fra gli Stati Uniti e l'Unione Europea da un lato e la Russia dall'altro, una Russia potenza europea ed asiatica, oggi mossa da rinnovate ambizioni ma pur sempre consapevole dell'importanza vitale, nel suo stesso interesse, e nell'interesse del mantenimento della pace nel mondo, di un continuo rafforzamento dei legami economici e istituzionali con l'Unione e con gli Usa, indispensabili per il suo stesso progresso.
Il nostro sguardo, di europei e americani, deve comunque farsi più comprensivo e dirigersi più lontano. La complessità e contraddittorietà del processo di globalizzazione, il rapporto tra le opportunità e i benefici che esso porta con sé e le insoddisfazioni e le inquietudini che provoca, l'emergere di nuovi grandi attori sulla scena mondiale, il manifestarsi di diversità storiche, sociali, religiose di grandissimo impatto : tutto ci spinge a misurarci con dilemmi che non sono soltanto economici ma richiedono grande sapienza politica e grande apertura culturale. Penso che in questo senso abbiamo entrambi, europei e americani, fondamentali risorse di civiltà e di esperienza cui attingere. Se, come lei, caro Kissinger, scrisse non molti anni fa, "la sfida per l'America sta in ultima istanza nel trasformare la sua potenza in consenso morale", la sfida per l'Europa sta nel far pesare, con uno sforzo nuovo di unità, le sue potenzialità al di là dei limiti in cui restano ancora ristrette.
No, non sono soltanto le nostre radici, pur così forti; non sono soltanto i nostri valori comuni, a volere che rimaniamo uniti, e che insieme esprimiamo capacità di leadership e cultura, nel segno di un'incrollabile fede nella forza della libertà e della democrazia. Non è solo il passato, è anche il futuro, un futuro quanto mai incerto, che ci chiama a questa prova solidale.