Parma 09/01/2009

Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla Fondazione Collegio Europeo di Parma. Teatro Regio

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALLA FONDAZIONE COLLEGIO EUROPEO DI PARMA

TEATRO REGIO

Parma, 9 gennaio 2009

È con grande piacere che rivolgo il più cordiale saluto e augurio a tutti voi, alle autorità civili, religiose e militari, alle rappresentanze politiche e istituzionali di questa magnifica città, esempio in Italia e in Europa di splendore culturale, di laboriosità e di dinamismo.
Ringrazio il presidente Azzali per le parole così calorose che mi ha rivolto e per l'invito a partecipare a questa manifestazione: invito che ho accolto ben volentieri conoscendo da tempo i meriti e il ruolo della Fondazione Collegio Europeo di Parma.
Gli interventi che ho ascoltato - sono venuto essenzialmente per ascoltare e lo farò ancor più di qui a poco quando prenderà la parola Jacques Delors - hanno mostrato come l'esperienza di Delors e la riflessione che egli stesso ci ha offerto con le "Memorie" sull'esperienza compiuta ci aiutino a ragionare sulla fase attuale della costruzione europea, sui nodi non sciolti e sugli interrogativi di fondo dinanzi ai quali ci troviamo oggi.
Basti qualche esempio: il Libro Bianco del 1993, o meglio il fatto che da qualche parte si è scoperto ora il piano Delors di quindici anni fa. Solo ora - a crisi finanziaria ed economica mondiale manifesta e allarmante - si riconosce al livello politico, nel confronto tra i governi nazionali, la bontà dell'idea di grandi progetti infrastrutturali europei e del loro finanziamento, almeno in parte, attraverso un prestito, attraverso l'emissione di eurobonds. Sono stati quindici anni di sordità, fine di non ricevere, o scetticismo, nel timore di un riconoscimento più forte della dimensione europea e dell'approccio comunitario, che pure le trasformazioni tecnologiche e sociali già quindici anni fa richiedevano.
Altro esempio clamoroso: nel dicembre 2001 si apre il processo costituente: "Dichiarazione di Laeken", istituzione della convenzione di Bruxelles, firma solenne e unanime del Trattato costituzionale nell'ottobre del 2004 a Roma. Ebbene, non si è ancora alla conclusione del processo di ratifica e all'entrata in vigore nemmeno del più modesto Trattato di Lisbona. Sono passati sette anni, c'è stato un grande allargamento dell'Unione, ma non si è riusciti finora a varare neppure il minimo indispensabile di innovazioni istituzionali, insieme con il rilancio della visione, dei motivi ispiratori, dei valori di libertà, di pace e solidarietà, dei diritti civili e sociali, da porre a base dell'ulteriore sviluppo della costruzione europea. Sembra che il fattore tempo e il fattore efficacia non rivestano agli occhi di taluni un'importanza cruciale.
Jacques Delors, sia chiaro, è stato un maestro nell'arte della paziente e sapiente ricerca del consenso, combinando il coraggio della proposta con il senso della misura, nel rispetto degli equilibri in seno al triangolo istituzionale europeo e anche nel rispetto delle esigenze, delle difficoltà e degli imprevisti della politica e, dunque, nel rispetto del ruolo dei governi nazionali e dei loro leader, nel momento stesso in cui li sollecitava a pensare europeo e ad agire europeo. Ne resta la prova più alta il cammino dal Comitato Delors al Trattato di Maastricht, alla creazione della moneta unica e alla istituzione della Banca Centrale Europea.
Ma oggi non è facile trovare artigiani altrettanto pazienti e sapienti di fronte alle resistenze e alle ambiguità persistenti di governi, forze politiche, leadership nazionali, che fanno ostacolo ad un balzo in avanti del processo di integrazione, nel senso dell'unione politica, nonostante fatti recenti e significativi come quelli citati or ora da Mario Monti.
Sottolineo il punto sul quale da qualche tempo ho, a più riprese, insistito: la contraddizione tra quello che possiamo chiamare il ruolo potenziale dell'Europa unita e la debole volontà politica di tradurlo in azione concreta e conseguente. Evidente è il ruolo che io chiamo potenziale, cioè quello che l'evoluzione mondiale richiede e che il mondo si aspetta dall'Europa ma esso sollecita, per poter divenire effettivo, un sostanziale rafforzamento delle istituzioni europee, della loro capacità progettuale, decisionale e operativa anche attraverso quella differenziazione - alla quale Jacques Delors tenacemente ci richiama - tra gli obiettivi possibili per la grande Europa a 27 (o domani a 30) e iniziative volte a corrispondere alle ambizioni irrinunciabili di una Europa politica.
Le difficoltà da superare a questo fine restano molto serie anche perché risorgono illusioni e tentazioni di arroccamento in un puro approccio intergovernativo. E io vedo con preoccupazione anche il ripresentarsi della retorica degli interessi nazionali, che conduce fatalmente alla contesa e al negoziato meschino e defatigante tra governi, quando i padri fondatori dell'Europa, più di 50 anni or sono, compresero e ci insegnarono che gli interessi nazionali possono trovare la loro tutela e il loro coronamento soltanto nel quadro di una visione del comune interesse europeo.
Allora vorrei innanzitutto dire, per quel che riguarda l'Italia, che sento di dovere e di poter garantire la continuità, anche nel presente, dell'impegno europeista delle istituzioni del nostro Paese. Un impegno che Jacques Delors ha ben conosciuto nel corso di decenni attraverso il contatto diretto con quanti hanno rappresentato l'Italia nella Commissione Europea, nel Parlamento Europeo, nel Consiglio Europeo e in momenti cruciali alla guida del Consiglio Europeo.
Ma penso che abbiamo bisogno, grande bisogno, della formazione di nuove generazioni di europeisti anche in Italia. E che questa formazione possa dare degli splendidi frutti lo abbiamo visto poco fa su questo palco. E nello stesso tempo abbiamo bisogno che si levi ancora forte la voce di Jacques Delors e di quanti come lui hanno creduto e credono nella causa europea.