INTERVENTO INTRODUTTIVO
DEL PRESIDENTE NAPOLITANO
NELL'INCONTRO CON UN GRUPPO DI STUDENTI E CON LA STAMPA
SUI RISULTATI DEL VERTICE INFORMALE
DEI CAPI DI STATO "UNITI PER L'EUROPA"
Napoli, 13 giugno 2009
E' stato un incontro abbastanza complesso, che ha affrontato temi rilevanti. Questo esercizio chiamato dei Presidenti "Uniti per l'Europa" è nato parecchi anni fa: infatti, vi hanno partecipato anche nostri predecessori, coloro che ci hanno preceduto nell'incarico di Presidenti della Repubblica nell'uno e nell'altro Paese. E' un incontro abitualmente tra 8 Capi di Stato, ma quest'anno, per impegni sopraggiunti di carattere istituzionale o anche di carattere strettamente personale, tre non hanno potuto partecipare: la Presidente finlandese, il Presidente lettone e il Presidente polacco.
E' un incontro informale: siamo - come si suole dire - tutti Capi di Stato-Presidenti non esecutivi. Non abbiamo poteri di governo: abbiamo ruoli istituzionali, più o meno simili nei nostri paesi, che non prevedono anche l'esercizio di poteri di governo, e quindi il pregio dell'informalità di questi incontri è quello di una discussione libera e franca.
Sono molto soddisfatto della sostanziale concordanza di vedute che si è realizzata in questi due giorni, come anche in occasione dei nostri precedenti incontri: lo scorso anno a Graz, in Austria, due anni fa a Riga, in Lettonia.
Noi concordiamo in anticipo i punti da trattare e indichiamo chi introdurrà ciascun punto all'ordine del giorno. Quest'anno i tre punti all'ordine del giorno erano: la riflessione sul risultato delle elezioni europee, punto introdotto da me; la crisi finanziaria ed economica e i problemi che ne discendono per l'Unione europea, e ha introdotto questo punto il prof. Mario Monti (quindi, un esterno), e subito dopo ha dato il suo contributo, anche in virtù di una sua speciale e alta competenza, il presidente Kohler; il terzo punto, relativo allo stato delle relazioni internazionali e quindi alla politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europeo, è stato introdotto dal presidente Fischer.
Sul primo punto dirò subito gli aspetti che abbiamo considerato preoccupanti della conclusione della campagna elettorale europea pochi giorni fa. Primo elemento di preoccupazione, il livello di partecipazione al voto: abbiamo avuto quest'anno circa il 43% come media di partecipazione al voto nei 27 paesi dell'Unione europea. Secondo punto di preoccupazione, la incidenza e, specie in alcuni casi, il non trascurabile successo che hanno avuto posizioni e formazioni ostili all'integrazione europea.
Il basso tasso di partecipazione alle elezioni europee non è una novità in senso assoluto. Il punto più alto fu toccato nel 1979, cioè la prima volta che i cittadini furono chiamati a votare direttamente per il Parlamento europeo: si raggiunse allora il 64%. Però dobbiamo dire che nel 1979 il Parlamento europeo era un oggetto totalmente sconosciuto. Purtroppo, dobbiamo constatare che 30 anni dopo rimane ancora poco conosciuto e poco valorizzato, e questo spiega il fatto che i livelli di partecipazione tendono a diminuire anziché a crescere. Le situazioni sono diverse nel senso che il tasso di partecipazione in qualcuno dei 27 paesi membri è cresciuto, ma come media europea è rimasto stagnante, e anzi è regredito di circa un punto.
Quali conclusioni abbiamo creduto di dover trarre da questo risultato delle elezioni europee? Primo, l'esigenza di una comunicazione molto più intensa, seria e onesta ai cittadini per quello che riguarda non solo il ruolo e i risultati dell'attività del Parlamento europeo, ma per quello che riguarda in generale lo stato dell'Unione europea. Naturalmente, la comunicazione per ciò che concerne specificamente il Parlamento europeo non è semplice, perché abbiamo 730 deputati europei in rappresentanza di circa 370 milioni di elettori nei 27 paesi, e quindi la distanza è molto più forte di quella tra i parlamentari nazionali e gli elettori dei singoli paesi. Però, c'è egualmente stato non solo difetto di comunicazione ma anche qualche elemento distorsivo: abbiamo constatato come nei nostri paesi - credo quasi senza eccezione - la campagna elettorale si è giocata molto più sui temi nazionali: più che il voto per il Parlamento europeo c'è stato in qualche paese una specie di test politico interno, e quindi si è dedicato poco spazio e poco impegno alla comunicazione sui temi europei e più concretamente sul ruolo del Parlamento europeo.
Dobbiamo dire che quando solleviamo la necessità di una comunicazione schietta, responsabile, onesta da parte delle forze politiche e dei governi nazionali ai cittadini, facciamo anche riferimento al fatto che troppo spesso quel che si comunica ai cittadini tende a fare delle istituzioni europee una sorta di capro espiatorio per decisioni che sono prese concordemente, perché nessuna decisione è presa dalla famosa Commissione di Bruxelles se non c'è il consenso di tutti i governi; e però, quando si tratta di decisioni delicate o impopolari, si presentano come decisioni dell'"infame" Commissione di Bruxelles. Quindi, c'è la tendenza a non comunicare schiettamente, ciascuno assumendosi le proprie responsabilità, e questo è un altro elemento di distorsione abbastanza serio.
Più in generale abbiamo posto l'accento sulla necessità di un coinvolgimento molto più forte dei cittadini comuni, dei loro sentimenti e delle loro aspirazioni nel dibattito che si deve tenere in occasione di elezioni europee, e anche sulla necessità di un coinvolgimento sistematico, dal basso verso l'alto, dei cittadini nel processo di sviluppo delle politiche europee.
Però non è soltanto un problema di comunicazione quello che ci deve impegnare: c'è bisogno di una nuova motivazione e visione del progetto europeo che ha avuto le sue grandi motivazioni in varie fasi, a cominciare dalla primissima fase. Quando il progetto di integrazione europea nacque con la Comunità dei sei, esso era volto a garantire la pace in Europa, la riconciliazione tra Francia e Germania, il superamento delle tensioni e dei focolai di guerra che avevano portato al primo e al secondo conflitto mondiale in Europa. Il progetto originario, che poi diventò quello della Comunità economica europea, fu un progetto di integrazione in certi settori, innanzitutto nel settore della produzione del carbone e dell'acciaio, per consentire la ricostruzione e lo sviluppo delle economie almeno di quei sei paesi europei, tenendo sempre aperte le porte all'ingresso di altri Stati europei. Il che è poi avvenuto nel corso di molti anni, fino a raggiungere da ultimo la cospicua cifra di 27 Stati membri rappresentando di fatto la unificazione del continente europeo sotto le bandiere dell'Unione dopo la caduta del Muro di Berlino.
Occorre una nuova motivazione e visione, si è detto, del progetto europeo oggi come risposta alla crisi che ha colpito la economia europea e quella mondiale. Risposta che può essere efficace solo se sarà una risposta comune a livello europeo, non essendo nessuno Stato membro in grado di dare da solo le risposte necessarie a questa crisi.
E solo se l'Europa riuscirà a parlare con una sola voce sulla scena mondiale, a far valere il peso e il contributo di tutte le sue energie come Europa unita, è possibile evitare un declino o una marginalizzazione del ruolo dell'Europa in un mondo radicalmente cambiato, in cui sono emerse nuove grandi realtà economiche e politiche. Sappiamo che l'asse delle relazioni internazionali si è spostato lontano dall'Europa: se vogliamo contare per quello che abbiamo da dare, e che siamo convinti di poter dare alla costruzione di un nuovo e più giusto ordine globale, dobbiamo riuscire a far pesare insieme le nostre forze, a parlare con una sola voce, ad agire di comune accordo. In questo senso diciamo che ci può essere una nuova grande occasione - si è parlato nella nostra discussione di un nuovo momentum - per procedere sulla via dell'integrazione e dell'unità europea.
Questo è anche un modo di garantire le conquiste che si sono realizzate nel corso di più di 50 anni, e che possono apparire oramai acquisite per sempre. Così non è, perché le nostre conquiste anche di benessere sociale possono essere messe a rischio nel mutare degli equilibri mondiali, all'indomani di una crisi così profonda, se l'Europa non riuscirà, appunto, a trovare una sempre più efficace ed effettiva unità.
Un primo indispensabile passo è quello di garantire finalmente la ratifica completa e l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che garantisce almeno alcune fondamentali innovazioni di carattere istituzionale, senza le quali è molto difficile che l'Europa possa fare la sua parte.
Secondo punto all'ordine del giorno: la crisi finanziaria ed economica. Si è discusso naturalmente delle decisioni assunte a livello europeo, che sono state considerate apprezzabili: anche se si ritiene che siano state ritardate per qualche tempo da diversità di posizioni, prima di concretizzarsi in uno sforzo di concertazione almeno tra gli Stati membri dell'Unione europea.
Ci si è chiesti se questo sforzo possa considerarsi sufficiente oppure no. Certamente ha sofferto dei limiti rappresentati dallo stato attuale delle istituzioni europee: i loro poteri, e soprattutto i loro poteri di bilancio, sono particolarmente ristretti.
Si è detto, nel nostro incontro, che dalla crisi scaturisce una opportunità nuova per l'avvicinamento tra il modello anglosassone e il modello dell'economia sociale di mercato, nella misura in cui si può parlare di una distinzione netta tra questi due modelli, e possono essere avanzati dubbi in proposito. Certo è che si è palesato fuori dell'Europa - negli Stati Uniti e, si è detto, persino in Cina - un interesse nuovo per l'esperienza e per la scelta europea dell'economia sociale di mercato. Questa scelta va tenuta ferma, va rinnovata, ma - e il ma non è una cosa da poco - senza stravolgere le regole del mercato interno. Quindi, misure di stimolo e di sostegno per la ripresa dell'economia europea, ma senza mettere in questione le regole del mercato interno, anzi esprimendo l'impegno comune a definire in particolare una nuova regolamentazione dei mercati finanziari a livello europeo e a livello globale.
Infine, terzo punto: i problemi di politica internazionale. Si è manifestato tra noi un comune forte apprezzamento per i nuovi indirizzi della politica americana, del presidente Obama e dell'Amministrazione da lui guidata, naturalmente senza accedere a nessun ingenuo miracolismo e sapendo anche quali difficoltà il Presidente deve affrontare in seno agli Stati Uniti e nel rapporto con le istituzioni rappresentative, innanzitutto con il Congresso. Però noi vediamo nel nuovo corso della politica estera americana più opportunità per l'Europa di svolgere il suo ruolo, di dare il suo contributo.
Vediamo più facile la convergenza di posizioni tra l'Europa e gli Stati Uniti: si è citato in modo particolare il significato dell'orientamento enunciato dal Presidente Obama anche nel corso del suo più recente viaggio in Europa a favore del disarmo nucleare, di un nuovo round di negoziati per il disarmo nucleare e, più in generale, anche convenzionale. Si è espresso apprezzamento convinto per la ricerca di soluzioni negoziate, non dando la priorità all'impiego della forza nemmeno di fronte alle realtà più critiche che ci sono nel mondo; così anche per la necessità di sviluppare relazioni con la Russia coinvolgendola in una responsabilità comune per la sicurezza e per lo sviluppo mondiale. Apprezzamento infine per le nuove iniziative che riguardano la crisi in Medio Oriente.
Abbiamo però detto, più in generale, che apprezzare l'impulso che viene dalla nuova Amministrazione americana non può significare sottovalutare le responsabilità che l'Europa in quanto tale deve su tutti i piani, anche su quello della sicurezza e della difesa, assumersi di fronte alle sfide globali che sono sfide comuni all'Europa e agli Stati Uniti, e direi, ancora più in generale, sfide comuni per il mondo d'oggi.