Il vivissimo ringraziamento che rivolgo alle rappresentanze (instances) accademiche dell'Università Paris-Sorbonne per la generosa decisione di eleggermi docteur honoris causa, fa tutt'uno con l'emozione che in me suscita l'essere accolto in una istituzione che come poche altre trasmette il senso di una comune appartenenza europea.
Mi ha sempre intrigato e ancora mi intriga il tema della nascita dell'Europa come unità storica, quale noi oggi la intendiamo e studiamo : il tema della "genèse d'une civilisation", come recita il titolo che è stato dato - nel pubblicarlo oltre cinquant'anni più tardi - allo straordinario corso di lezioni tenuto da Lucien Febvre al Collège de France nel 1944-45. Se si individuano presupposti significativi della civiltà europea nell'alto Medioevo, ma si conviene che neppure "l'Impero carolingio è la nostra Europa", si può allora sostenere che lo spartiacque, per la "genesi" di cui parla Febvre, fu, all'inizio del secondo millennio, la rinascita, lo sviluppo nuovo delle città.
La rivoluzione cittadina che iniziò tra i secoli XI e XIII investì tutte le realtà : certamente, insieme alla vita economica, la cultura. Il "tempo delle città fu" - secondo la definizione data dallo storico italiano Rosario Villari - "il tempo dei mercanti e delle università, dei banchieri e delle manifatture, di San Domenico e di San Francesco, delle eresie provenienti dall'Oriente o nate all'interno delle stesse società cittadine, come quella dei valdesi".
Le università nacquero in quel tempo nel segno dell'autonomia dalla tutela dell'autorità religiosa e si caratterizzarono come istituzioni cosmopolitiche. Così quella di Bologna e quella di Parigi, la vostra Sorbonne, così, nello stesso XIII secolo, nella mia Napoli, quella fondata da Federico II.
La Sorbonne ha rappresentato poi nei secoli, attraverso i rivolgimenti delle epoche che si succederono, un esempio splendido di capacità di durata e - ancora sul finire del XX secolo - di capacità di trasformazione. Ma ho voluto rappresentarvi la mia emozione nel ritrovare qui, innanzitutto, le tracce della "genesi", del formarsi di quella civiltà europea, di cui come italiani e francesi siamo tra i primi a sentirci figli ed eredi.
E l'altro tema, che in questo mio breve indirizzo di ringraziamento, sono spinto a richiamare, è quello - attualissimo, direi - del rapporto tra diversità e unità nel farsi e nel crescere dell'Europa e della sua cultura. Il concetto, la tesi da cui parte - torno a citarlo - Lucien Febvre, e che magistralmente egli sviluppa nel suo corso di lezioni, è in queste essenziali parole: "L'unité européenne n'est pas l'uniformité: Dans l'histoire de l'Europe, le chapitre des dissemblances reste aussi important que celui des ressemblances".
Ma mi piace ricordare anche le parole lasciateci in anni recenti da un finissimo intellettuale - che come storico si formò anche a Parigi, accanto a Braudel e nello spirito delle Annales - da un grande patriota polacco ed europeo, purtroppo scomparso, Bronislaw Geremek : "La diversità delle culture nazionali resta la più ricca risorsa dell'Europa". Ed essa non si pone in contraddizione con la ricerca e l'individuazione di un nucleo comune di esperienze e valori europei in cui riconoscersi e da porre a base di una identità e solidarietà europee. Ecco dunque il giusto rapporto che bisogna saper sempre ri-creare. E non è questa forse la missione cui possono concorrere in modo decisivo le Università europee - Università aperte alle diversità e insieme capaci di compenetrarsi, Università come la Sorbonne o Bologna, nate cosmopolitiche nell'epoca lontana della genesi della civiltà europea e chiamate ad essere oggi più che mai tali nell'era della globalizzazione?
In questo senso stanno in effetti operando e cooperano proprio l'Université Paris-Sorbonne e l'Alma Mater Studiorum di Bologna, con il contributo dell'Associazione Italiques.
Ma mi si consenta di allargare per un momento lo sguardo alla missione che i nostri due paesi in quanto tali - con l'insieme delle loro forze rappresentative e delle loro istituzioni - sono chiamati ad adempiere nell'Europa e nel mondo d'oggi. Una missione di arricchimento e di integrazione, di valorizzazione rinnovata e diffusa dei nostri rispettivi patrimoni storici e culturali e di superamento di chiusure ed egoismi nazionali, di rafforzamento deciso e conseguente dell'Unione che insieme con altri abbiamo fondato come Unione di Stati e di popoli. Questa è la visione nella quale ritrovarsi fianco a fianco Italia e Francia, questo è il rapporto che può saldarsi fra loro in quanto nazioni tra le più vicine, nel contesto europeo, per affinità di radici culturali e di percorsi storici. Affinità che si rivelarono e incisero fortemente anche nel percorso che condusse, 150 anni fa, l'Italia a unirsi e farsi Stato, con l'apporto determinante di ispirazioni ideali e di sostegni politici attinti in Francia.
Signor Presidente, Signor Rettore, spero non vi stupisca che l'onore da voi accordatomi, e l'emozione dell'accoglienza in questo luogo, abbiano risvegliato in me pensieri e auspici che possono apparire distanti dalla sfera in cui ho operato per una vita, quella dell'azione politica, prima, e delle responsabilità istituzionali, già prima di ora, e ora più che mai. Ma forse l'attenzione che mi avete riservato, e l'omaggio che mi avete reso, hanno a che fare col modo in cui ho cercato di intendere la politica e la cultura, e cerco oggi di servire il mio paese e l'Europa - credendo profondamente nella causa dell'unità europea, così come in quel che accomuna Italia e Francia, le rende amiche e sodali, le sollecita a un più alto impegno comune.