Saluto con sentimenti di viva cordialità e profondo rispetto la Direttrice e tutti i rappresentanti dell'École Normale Supérieure, le personalità politiche, scientifiche e accademiche che onorano questo incontro della loro presenza, e ringrazio quegli oratori che hanno voluto rivolgermi parole cortesi e generose di apprezzamento personale.
Voi tutti potete facilmente immaginare come io apprezzi - essendone, vorrei dire, intimamente toccato - le testimonianze che qui si colgono di un rinnovato fervore di studi sull'Italia del Risorgimento e dell'età liberale. E' con questo spirito che guardo in particolar modo al Colloquio - oggi anticipatoci e presentatoci - del prossimo dicembre su "Cavour e la rivoluzione diplomatica tra liberalismo e nazionalità" : Colloquio concepito in funzione del 150° dell'Unità italiana. Si tratta di prove importanti della forza che conservano e della sempre nuova linfa che diffondono le radici storiche del rapporto di vicinanza ideale e culturale tra l'Italia e la Francia. E si tratta di contributi preziosi che si annunciano da parte di istituzioni e di studiosi non italiani rispetto al nostro programma di celebrazioni del momento fondativo del Regno d'Italia come Stato nazionale unitario.
E' un programma che impegna fortemente, insieme con il governo e con il mondo della cultura e della comunicazione, anche chi vi parla. E forse potrà interessarvi qualche considerazione sulle ragioni dell'attivo coinvolgimento in questo esercizio della figura del Presidente della Repubblica qual è configurata nella Costituzione repubblicana italiana. Nell'Assemblea Costituente del 1946-47, si discusse ampiamente sul come caratterizzare tale figura ; se ne discusse ampiamente e prendendo in considerazione, con grande apertura e ricchezza di riferimenti e argomenti, diverse ipotesi e possibilità di scelta, non esclusa l'opzione presidenzialista.
La conclusione di quel dibattito fu nettamente favorevole alla definizione di una figura di Capo dello Stato eletto dal Parlamento e non direttamente dai cittadini, titolare di rilevanti prerogative e attribuzioni ma non di poteri di governo, chiamato a intrattenere col paese un rapporto non condizionato da alcuna appartenenza politica e logica di parte. La Costituzione pone in cima all'articolo che sancisce i caratteri e i compiti del Presidente della Repubblica, l'espressione-chiave : "rappresenta l'unità nazionale". Egli la rappresenta e la garantisce svolgendo un ruolo di equilibrio, esercitando con imparzialità le sue prerogative, senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti, e ricorrendo ai mezzi della moral suasion e del richiamo a valori ideali e culturali costitutivi dell'identità e della storia nazionale.
E chiudo qui questa digressione, della cui lunghezza e apparente estraneità al nostro incontro di oggi spero vorrete scusarmi. Ma se il rappresentare l'unità nazionale è la stella polare del ruolo che mi è stato affidato dal Parlamento, è lì anche - questo volevo sottolineare - la ragione prima del mio impegno per le celebrazioni del 150° anniversario dello Stato italiano. A maggior ragione in un periodo nel quale sul tema dell'unità nazionale pesano sia il persistere e l'acuirsi di problemi reali rimasti irrisolti, sia il circolare di giudizi sommari (in taluni casi, fino alla volgarità) sul processo che condusse alla nascita del nostro Stato unitario e anche sul lungo percorso successivo, vissuto dall'Italia da quel momento, da quel lontano 1861 a oggi.
Siamo in presenza di tensioni politiche, di posizioni e manovre di parte, di debolezze e confusioni culturali, di umori ostili, che ruotano attorno alla questione dell'unità nazionale e che le istituzioni repubblicane debbono affrontare cogliendo un'occasione così significativa come quella del 150° anniversario del 17 marzo 1861.
Coglierla attraverso un'opera di ampia chiarificazione, riproponendo e arricchendo le acquisizioni della cultura storica, e collegandovi una riflessione matura sulle tappe essenziali della successiva nostra vicenda nazionale. Dovrebbe trattarsi - come ho avuto occasione di dire - di un autentico esame di coscienza collettivo, che unisca gli italiani nel celebrare il momento fondativo del loro Stato nazionale. Riuscirvi non sarà facile, l'inizio è risultato difficile, ma cominciamo a registrare una crescita di interesse e di impegno, una moltiplicazione di iniziative anche spontanee.
Non ho voluto tacervi il quadro delle preoccupazioni che mi muovono. Ma debbo aggiungere che esse non nascono da timori di effettiva rottura dell'unità nazionale. Polemiche e contese sui rapporti tra il Nord e il Sud, per quanto si esprimano talvolta in termini e in toni estremi, e rumorose grida di secessione, trovano il loro limite obbiettivo nel fatto che prospettive separatiste o indipendentiste sono - e tali appaiono anche a ogni italiano riflessivo e ragionevole - storicamente insostenibili e obbiettivamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggi.
Quel che preoccupa è dunque altro : è il possibile oscurarsi della consapevolezza diffusa di un patrimonio storico comune, il tendenziale scadimento culturale del dibattito e della comunicazione. Quel che preoccupa è il seminare motivi di sterile conflittualità e di complessivo disorientamento in un paese che ha invece bisogno di confermare e rafforzare la fiducia in sé stesso e di veder crescere tra gli italiani il sentimento dell'unità : nell'interesse dell'Italia e - lasciate che aggiunga - nell'interesse dell'Europa.
Le difficoltà nascono anche dal sovrapporsi e confondersi di piani diversi di discorso : il piano del giudizio storico scaturito da ricerche di valore scientifico ; il piano delle contestazioni, talvolta chiaramente faziose e mistificatorie, del giudizio storico più autorevole ; il piano delle rappresentazioni giornalistiche degli eventi storici, talora prive dell'auspicabile rigore ; il piano di uno spregiudicato uso della storia, piegato alle contingenze della polemica politica. E questo può accadere più facilmente quando ci si occupi di vicende ed esperienze storiche a cui si avvicinano oggi italiani da esse distanti di circa sei generazioni, ma tendenti a considerarle con occhio contemporaneo.
La questione è complessa già sul piano dell'approccio storico in senso proprio. Ricordiamo bene la celebre affermazione di Benedetto Croce : "Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di «storia contemporanea», perché per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni." E un altro grande studioso, di tutt'altra formazione, lo storico inglese Edward Carr, nel citare Croce, dice, in termini meno filosofici : "Noi possiamo guardare al passato e comprenderlo soltanto con gli occhi del presente. Lo storico vive nel suo tempo : le condizioni stesse dell'esistenza lo legano ad esso."
Ma se già lo storico nel far proprio questo punto di vista e muoversi di conseguenza nella sua ricerca, è impegnato a non cadere in alcuna semplificazione, solo gravi danni può provocare la tendenza di chi, su qualsiasi piano, pensi di poter adattare il richiamo alla storia a tesi precostituite e a convenienze di parte. E' questa tendenza che purtroppo trova un certo corso in Italia, in particolare nell'avvicinarsi del 150° anniversario dell'unificazione nazionale : ma che non dubito incontrerà le necessarie risposte da parte degli storici seri e non solo da parte loro.
Ben vengano, di fronte a ciò, in Italia e fuori d'Italia, tutte le iniziative volte a ristabilire giudizi storici ben fondati, e disinteressati, sui fatti e sui protagonisti del movimento per l'Unità, fuori di rievocazioni immaginarie e strumentali. Iniziative volte a ristabilire in primo luogo il giudizio di fondo sulla straordinaria portata che ebbe per l'Italia il compimento del processo unitario, la nascita dello Stato nazionale : come ho detto rivolgendomi mesi fa da Milano agli italiani di ogni parte del paese, "se noi tutti, Nord e Sud tra l'800 e il '900, entrammo nella modernità, fu perché l'Italia si unì facendosi Stato". Venne superato così un pesante ritardo rispetto alla ben più precoce formazione di altri grandi Stati nazionali in Europa.
E non ha senso perciò qualsiasi concessione a revisioni del giudizio critico e a nostalgie, o a rivalutazioni, dell'Italia pre-unitaria o dei singoli vecchi Stati e regimi in cui essa era divisa. Né ha molto senso, sul piano storico, "simpatizzare" per diverse concezioni del processo unitario da contrapporre all'esito che venne concretamente conseguito, fino ad abbozzare esercizi di "storia alternativa" o "controfattuale", volti a mettere in questione il vincolo dell'unità nazionale.
Soprattutto, non si possono richiamare strumentalmente correnti di opinione - anche schiettamente democratiche - che nei decenni successivi alla proclamazione del Regno d'Italia si espressero assai criticamente verso le modalità conclusive del processo di unificazione e ancor più verso i caratteri che tese ad assumere il nuovo Stato : non si può farlo con l'intento di negare o svilire oggi il valore storico che ebbe il conseguimento dell'unità italiana nel contesto europeo.
Rispetto a tendenze che circolano in Italia, come quelle che ho evocato, e anche tenendo conto del loro sorprendente provincialismo, è particolarmente importante un contributo quale il vostro, cari amici francesi, di riflessione sul respiro europeo del movimento per l'unità italiana e dei suoi maggiori protagonisti, e sul quadro delle vicende europee in cui quel movimento si collocò. Come si può ignorare l'impronta ginevrina e parigina, e anche londinese, della formazione - diciamo pure tout court europea - di Cavour? O l'influenza della storia e del pensiero francese sul maturare del bagaglio culturale e del disegno politico di Giuseppe Mazzini, per non parlare del suo radicamento nell'Inghilterra di quel tempo?
Il flusso dei grandi messaggi ideali provenienti dalla Francia dell'epoca rivoluzionaria e del periodo napoleonico fu retroterra essenziale del Risorgimento. Vorrei oggi ricordare qui come il mese prossimo, il 18 ottobre, celebreremo il bicentenario della fondazione della Scuola Normale Superiore di Pisa : e vorrei così rendere omaggio al modello - la vostra École - da cui essa nacque.
Cavour vide più lucidamente di chiunque altro il quadro internazionale - con i condizionamenti oggettivi che ne derivavano - in cui collocare la strategia del piccolo e ambizioso Regno di Sardegna e la questione italiana. Erano in giuoco in Europa - allora teatro privilegiato e decisivo della politica mondiale - gli equilibri usciti dalla prima e dalla seconda Restaurazione, i moti per le libertà costituzionali contro il dispotismo, gli equilibri sociali sotto il premere di nuovi conflitti, l'affermazione del principio di nazionalità e le lotte per l'indipendenza contro il dominio imperiale austriaco.
Il sapersi muovere con audacia e duttilità, e con i necessari adattamenti, in questo contesto fu per Cavour fattore determinante di superiorità ai fini della guida del movimento nazionale italiano, e fattore non meno determinante per il successo ultimo della sua strategia al servizio della causa dell'Unità italiana.
L'asse della politica europea di Cavour fu, come sappiamo, l'alleanza con la Francia di Napoleone III, senza peraltro trascurare l'importanza, in momenti significativi, del rapporto con l'opinione pubblica, ambienti politici e governanti della liberale Inghilterra. E sappiamo anche come fu non lineare, e quali tormenti suscitò in Cavour, la ricerca dell'intesa con l'imperatore francese - basti pensare a quei drammatici giorni dell'aprile 1859 quando Cavour vide il suo disegno sul punto di crollare e visse momenti di estremo sconforto.
Poi gli eventi presero il corso da lui voluto della II Guerra d'indipendenza. E le battaglie di Solferino e San Martino cementarono nel sangue un'alleanza che cento anni più tardi, nel 1959, il Presidente francese eletto l'anno precedente, il generale De Gaulle, volle, venendo in Italia per quelle celebrazioni, indicare come il "trovarsi insieme dei campioni di un principio grande come la terra, quello del diritto di un popolo a disporre di se stesso quando ne abbia la volontà e la capacità".
Infine, vorrei ribadire come l'altro fattore decisivo dell'affermarsi della funzione egemone di Cavour in Italia e del progredire della causa italiana, fu - come ha scritto Rosario Romeo - che "Cavour stette indubbiamente dalla parte del realismo e della moderazione, ma ebbe l'intuizione di ciò che valessero le forze e i motivi ideali nella costruzione dell'edificio italiano".
E mi permetto di aggiungere, reagendo a una certa moda attuale di esaltare, rispetto a Cavour, altre personalità del Risorgimento e del movimento per l'Unità, che la grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e molteplicità delle sue ispirazioni e delle sue componenti ; la grandezza di Cavour sta nell'aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte divergenti, nell'aver saputo padroneggiare quel processo fino a condurlo allo sbocco essenziale della conquista dell'indipendenza e dell'unità nazionale.
Quando, logorato da anni di dure fatiche e di "dolori morali", scrisse, "d'impareggiabile amarezza", cessò di vivere il 6 giugno 1861, Cavour poté senza dubbio lasciare come suo estremo messaggio quello che "l'Italia era fatta". Ma nel grande discorso per Roma capitale tenuto in Parlamento il 25 marzo, otto giorni dopo la proclamazione del Regno d'Italia, egli aveva affermato : "l'Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa".
Tra quei "gravi problemi" era destinato a risultare come il più complesso, aspro e di lunga durata il problema del Mezzogiorno, dell'unificazione reale, in termini economici, sociali e civili, e dei suoi possibili modi, tra Nord e Sud. Possiamo dire oggi che quella resta la più grave incompiutezza del processo unitario, dopo che nei decenni successivi alla morte di Cavour iniziative coraggiose e nuove congiunture internazionali favorevoli resero possibile il pieno compimento dell'unificazione territoriale del paese.
Ma quel che è giusto dunque condurre oggi - cogliendo l'occasione del 150° anniversario della nascita dello Stato nazionale unitario - è una riflessione critica ed equilibrata sullo svolgersi del movimento risorgimentale ; e quindi un esame degli sviluppi del nuovo Stato, della politica delle sue classi dirigenti, e dell'evoluzione della società italiana.
E' stato un lungo tragitto quello dei 150 anni, che ha visto l'Italia crescere e trasformarsi, tra molte contraddizioni, portandosi dietro antiche tare, e conoscendo periodi bui e fatali cadute dopo la I guerra mondiale. Tuttavia, l'unità nazionale ha retto anche a prove estreme, è tornata a vivere anche quando tra il 1943 e il 1945 sembrava che fosse stata mortalmente compromessa e spezzata. Se l'Italia che celebra il suo 150° compleanno è "un paese democratico tra i più avanzati in quell'Europa integrata che abbiamo concorso a fondare, è perché" - volli dire il 25 aprile scorso nella ricorrenza dell'anniversario della Liberazione ad opera delle forze alleate e della Resistenza - "superammo i traumi del fascismo e della guerra recuperando libertà e indipendenza, ritrovando la nostra unità".
Unità, che la Costituzione repubblicana ha posto su fondamenta più solide promuovendo anche un profondo rinnovamento in senso autonomistico e regionalistico dello Stato nazionale nato con forti tratti di centralizzazione uniformandosi al modello piemontese.
Unità, infine, che rimane fondamento essenziale di ogni ulteriore, nuovo sviluppo del nostro paese nel più impegnativo contesto europeo e nel più complesso quadro mondiale del nostro tempo.
L'ininterrotto impegno dell'Italia come paese costruttore di un'Europa sempre più integrata è stato decisivo per affermare il ruolo storico e garantire il progresso dell'Italia stessa e, nello stesso tempo, è stato prezioso per far avanzare il processo che ha visto da 60 anni crescere e trasformarsi il nostro Continente nel segno della democrazia. Su questa strada, lungo la quale ci attendono ardue sfide e nuove opportunità, l'Italia potrà tanto meglio procedere quanto più resterà saldamente unita sulle sue basi storiche e secondo l'ispirazione della sua Carta costituzionale.
Sono certo che in quanto francesi ed europei ci siate vicini in questa convinzione e in questo impegno.
Vi ringrazio per la vostra accoglienza, per la vostra attenzione, per la vostra simpatia.