Sono molto contento di poter testimoniare il mio vivo apprezzamento per questa iniziativa molto originale, molto suggestiva e molto ricca di significato. D'altronde sono qui insieme con il ministro Giorgia Meloni perché siamo tra quelli che credono fortemente nelle celebrazioni del 150° anniversario come occasione da non perdere per rinnovare e diffondere la consapevolezza della nostra identità come Nazione e della nostra storia come Stato nazionale unitario.
Dobbiamo impegnarci a portare in profondità il programma delle celebrazioni senza complessi e senza cedimenti. Siamo un paese nel quale, per tante ragioni, si è diffuso l'orrore per la retorica: io non sarò qui a farvi l'elogio della retorica, ma sotto questa etichetta si sono messe troppe cose, si è teso a buttar via troppe cose. Per esempio, si è diffusa una riluttanza a parlare di eroi: ma che cosa è la storia del Risorgimento se non una storia costellata di episodi di eroismo? Che cosa sono questi giovani che hanno sacrificato la loro vita per la causa della libertà, dell'indipendenza e dell'Unità se non degli eroi? Se guardiamo anche ad altri paesi, vediamo che lì si è molto più attenti a non deprimere il proprio patrimonio storico-nazionale, il proprio patrimonio ideale. Io sono stato a Parigi, invitato a parlare alla Scuola Normale Superiore che ha dedicato, qualche settimana fa, una giornata a "Cavour l'Europeo", richiamando noi tutti allo straordinario valore che per l'Europa ha rappresentato il movimento per l'Unità d'Italia, e il conseguimento dell'Unità. Quindi, liberiamoci da questi complessi, e stiamo attenti ai cedimenti ad una rappresentazione sterilmente polemica e distruttiva del Risorgimento e del processo unitario: una rappresentazione del Risorgimento, in particolare, come rivoluzione mancata o fallita.
Si potrebbe continuare a citare esempi di queste tendenze perniciose che danno una interpretazione unilaterale e anche spesso storicamente falsa. Per esempio quella secondo cui il brigantaggio meridionale ha rappresentato una semplice reazione di rigetto dell'Unità d'Italia per i modi in cui l'Unità si era conseguita. Il brigantaggio ha afflitto l'Italia meridionale ben prima della realizzazione dell'Unità sotto l'egida dei Savoia, sotto l'ègida della monarchia sabauda; è stato un fenomeno diffuso per decenni nel Mezzogiorno, ed è stato in gran parte rivolta sociale, rivolta contro l'oppressione sociale e politica innanzitutto del regno dei Borboni. Invece, affiorano perfino venature di nostalgismo borbonico nella discussione che, in qualche modo, circola nel nostro paese. Quindi, ripeto, attenti a questi cedimenti.
Il Risorgimento è stata una vicenda molto complicata, molto sofferta, molto contraddittoria. Ci sono stati errori e, soprattutto successivamente all'Unità, ci sono state gravi insufficienze dello Stato unitario, ma non mettiamo sul conto di Goffredo Mameli o degli eroi che hanno sacrificato la loro vita, e in generale degli artefici del grande processo che ha portato alla nascita dello Stato nazionale unitario, gli errori e le responsabilità delle classi dirigenti che si sono succedute dopo l'Unità, fino ai nostri giorni. Se il problema del Mezzogiorno è rimasto la più grave incompiutezza del movimento nazionale unitario, non è responsabilità né di Mazzini né di Garibaldi e nemmeno di Cavour.
E a proposito di Cavour va detto che egli certamente impersonò l'egemonia moderata sul movimento per l'Unità, ma questa egemonia non si sarebbe realizzata se egli non avesse saputo interpretare le istanze ideali del movimento nazionale. Ho avuto modo di dire, e mi piace ripetere, che la grandezza del processo unitario è consistita nella pluralità e ricchezza delle sue ispirazioni, delle sue componenti ideali e delle sue forze reali, e la grandezza di Cavour è consistita nella capacità di far confluire questa pluralità di ispirazioni e di componenti in una azione politica che ha potuto condurre al conseguimento del risultato possibile.
C'è poi anche un parlare di continuo delle tensioni personali, perfino violente, tra i protagonisti del Risorgimento, ma la cosa fondamentale è che, nonostante quelle differenze e quelle tensioni, prevalse il senso dell'obiettivo da raggiungere, il senso dell'unità. E vorremmo che anche nell'Italia di oggi su tante tensioni che si possono comprendere - in qualche misura (ma non esageriamo), sono fisiologiche - prevalesse sempre il senso dell'unità che oggi c'è, il senso dell'unità che abbiamo conquistato.
L'on. Giorgia Meloni ha ricordato il concetto di 'piccole patrie', e c'è una bellissima pagina della Storia d'Europa di Benedetto Croce che prefigura per l'Europa il processo verificatosi in Italia con l'Unità quando il napoletano e il piemontese si fecero italiani "non dimenticando le patrie più piccole, ma meglio amandole". Ecco, noi dovremmo riuscire a dare questa consapevolezza ai giovani d'oggi.
Naturalmente, se il nostro impegno per le celebrazioni si esaurisse nei convegni accademici o nelle cerimonie ufficiali, non conseguirebbe l'obiettivo che vogliamo conseguire. Le celebrazioni devono raggiungere innanzitutto le nuove generazioni, e perciò apprezzo moltissimo tutto il programma che il ministro Meloni ha esposto, apprezzo moltissimo il lavoro che è stato fatto da studiosi e da tecnici, e anche il ricorso a nuovi strumenti di rappresentazione e comunicazione.
E' essenziale che ci sia questa partecipazione, ce la dobbiamo mettere tutta con molta tenacia, senza scetticismi e senza tergiversazioni, fino al 17 marzo del prossimo anno, e oltre. E dobbiamo dire ai giovani, a voi che siete già coinvolti in questo movimento celebrativo, dateci una mano, fate catena, trasmettete tra i vostri coetanei, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di studio e nel luoghi di incontro, il messaggio dell'Unità nazionale, dell'identità italiana, della causa comune e del patto che deve legare gli italiani del futuro.