Professor Dionigi, nel ringraziare lei e l'intero Senato accademico per l'invito che mi è stato rivolto e l'occasione che mi è stata offerta, vorrei salutare tutte le autorità presenti : il ministro Maroni, i rappresentanti del Parlamento, il sindaco, il presidente della Provincia, le autorità civili e religiose, personalità amiche di vecchia data che ho avuto il piacere di reincontrare quest'oggi. Mi permetta innanzitutto di esprimere la mia gratitudine per l'accoglienza che ci è stata riservata in questa - uso il termine con il suo consenso e accordo - "leggiadra" e civilissima città di Varese. È stato per me davvero emozionante e gratificante il calore che mi è stato riservato, e vedo anche nel clima che ho trovato oggi a Varese la conferma di quello che ho potuto percepire in questi cinque giorni. Sono stati cinque giorni per me molto intensi, a partire dal primo giorno, il 17 marzo, anniversario dell'Unità d'Italia, a Roma, poi a Torino, a Milano e adesso a Varese. Dappertutto ho percepito uno scatto nuovo di sentimento e di consapevolezza nazionale, che accomuna gli Italiani di tutte le opinioni e di tutte le regioni : è un fatto importante per tutti noi, è successo qualcosa di cui possiamo in questo momento essere davvero soddisfatti tutti, il che significa non poco.
In sostanza credo che in questo moto così spontaneo, così diffuso, si sia rispecchiata innanzitutto l'esigenza di affermare con legittimo orgoglio quale straordinario patrimonio di storia e di cultura caratterizzi la nostra nazione e meriti il rispetto di tutto il mondo, al di là delle alterne vicende e delle difficoltà che il nostro Paese, al pari di altri, deve affrontare. Credo che in questa straordinaria mobilitazione di cittadini, così calorosa e intensa, si sia anche rispecchiata l'esigenza di considerare lucidamente e con spirito critico il percorso che abbiamo compiuto in questi 150 anni, il modo stesso in cui si costituì lo Stato nazionale unitario, le debolezze, le insufficienze o, se si vuole, le incompiutezze di cui dobbiamo riuscire a liberarci o che dobbiamo tendere a superare. Nello stesso tempo credo ci sia l'esigenza di raccogliere le nostre energie e le nostre volontà per far fronte alle prove che ci attendono e che sono già dietro l'angolo.
Ho ascoltato con particolare interesse il racconto, la ricostruzione che ci ha presentato il professor Orecchia. È veramente bello quello che si sta facendo in tante parti d'Italia, anche in tante piccole località, in tanti Comuni anche minori, con la riscoperta, se così vogliamo dire, della storia del nostro Risorgimento, attraverso un gran numero di memorie locali e familiari che si fondono con la grande linea del processo unitario e gli restituiscono una particolare concretezza e forza di coinvolgimento.
Qui abbiamo ascoltato la memoria storica di quello che Varese ha rappresentato nel corso di un lungo periodo - non dimentichiamo mai che il Risorgimento non è stato racchiuso soltanto nel biennio 1859-1860 : il Risorgimento è cominciato ben prima ; d'altronde abbiamo sentito qui ricordare non soltanto il 1859, ma anche il 1848 - e in questo ricordo abbiamo visto riecheggiare la figura e l'apporto di Giuseppe Garibaldi e dei suoi volontari che hanno costituito - come ho avuto l'opportunità di dire rivolgendomi al Parlamento qualche giorno fa - una componente essenziale del moto risorgimentale, quella che in fondo ha dato di più il senso di un'adesione non ristretta alle élites intellettuali ma rappresentativa dei ceti più significativi di quell'epoca storica.
Abbiamo sentito ricordare che cosa abbia rappresentato per Varese essersi liberata da sola, prima che giungesse dal di fuori la liberazione. Abbiamo davvero potuto comprendere perché siano così profonde le radici della nostra unità. La nostra unità non è soltanto declamata in documenti o solennemente posta a base del nostro vivere comune nella Costituzione : l'unità appartiene alle radici del nostro sentimento, della nostra coscienza collettiva. E tornare a coltivare queste memorie è parte essenziale di una nuova volontà di fortificare la nostra compagine nazionale.
Ho detto, e desidero qui ripetere, che questo non significa abbandonarsi ad alcuna enfasi retorica, non significa presentare anche la storia del processo unitario - quello che ha condotto il 17 marzo del 1861 alla proclamazione del Regno d'Italia - come storia di un idillio, come storia di scelte facili e non controverse. Ci sono state scelte difficili e che sono rimaste a lungo controverse, particolarmente per il modo in cui si costituì, e forse non poteva che così costituirsi storicamente, il nostro Stato nazionale unitario. In parte abbiamo via via corretto quelle debolezze e quelle insufficienze, ma abbiamo tuttora il dovere categorico di superarle per guardare al futuro, anche per quello che riguarda specificamente l'ordinamento del nostro Stato : il nostro ordinamento politico-amministrativo.
Questa mattina ho partecipato ad una cerimonia solenne, quella dell'inaugurazione del nuovo Palazzo della Regione Lombardia, e anche per la magnificenza della costruzione ho detto: "Mi sembra davvero che possa parlarsi di un monumento all'Italia delle autonomie". L'Italia delle autonomie è stata senza dubbio una delle grandi fonti ispiratrici e uno degli elementi caratterizzanti l'intero moto unitario: ed essa poi ha ritrovato vigore nell'Assemblea costituente, attraverso l'elaborazione della Carta costituzionale. Non dimentichiamo che le Regioni come anelli fondamentali dello Stato democratico italiano sono state concepite allora. Sono state scolpite nella Costituzione la valorizzazione e la promozione delle autonomie locali come parte essenziale di quello stesso principio fondamentale di unità, segnato nell'articolo 5 della Costituzione. E' il solo articolo in cui si parla dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica ed è lo stesso in cui si parla della promozione e della valorizzazione delle autonomie. Abbiamo così recuperato un'ispirazione che giustamente si fa risalire a nomi come quello di Cattaneo e quello di Ferrari : un'ispirazione che fu anche dichiaratamente federalistica nel corso del Risorgimento, che allora non ebbe fortuna e in definitiva risultò sostanzialmente isolata e non riuscì nemmeno ad avere un qualche rispecchiamento in un ordinamento amministrativo fondato su principi di semplice decentramento ; ma questo capitolo è stato riaperto nell'Assemblea costituente con grande consapevolezza, con un riconoscimento aperto della necessità di superare quello che era stato, anche se necessitato storicamente, un vizio di origine del nostro Stato nazionale unitario, cioè un vizio di accentramento burocratico pesante.
Si disse che bisognava uscirne e si indicò la strada non soltanto delle autonomie e del decentramento, ma anche di una nuova articolazione dei poteri del nostro Stato. Questa strada in realtà si era aperta - l'ho voluto ricordare anche questa mattina - già prima che l'Assemblea costituente varasse la Carta, poi destinata ad entrare in vigore il 1° gennaio del 1948 : si era aperta con la nascita delle Regioni a statuto speciale, prima ancora del 2 giugno del 1946. Erano scelte che avevano loro motivazioni e loro caratteristiche, che però senza dubbio non potevano non confluire in un processo generalizzato di riconoscimento delle autonomie regionali, anche perché, non dimentichiamolo, questo non poteva non essere un elemento caratterizzante del nuovo ordinamento dello Stato italiano come ordinamento democratico, essendo quel vizio originario di accentramento burocratico diventato accentramento autoritario estremo durante gli anni del fascismo. Anche a ciò si reagì da parte dei nostri padri costituenti.
Dobbiamo riflettere su quello che è accaduto successivamente, perché probabilmente quell'affermazione dell'ordinamento regionale in nuce nella Carta costituzionale non fu esente da limiti, da esitazioni, da timidezze e da equivoci: ma, soprattutto, ci vollero ventidue anni, fino al 1970, perché fosse approvata la legge istitutiva delle Regioni a statuto ordinario. Poi abbiamo avuto un'esperienza quarantennale, che ha sicuramente scontato quei limiti e probabilmente anche quelle contraddizioni o quegli equivoci che la stessa Carta Costituzionale non aveva risolto. Di qui la riforma del Titolo V, che, come ho voluto dire in Parlamento, è stata la sola revisione della Costituzione repubblicana che abbia avuto l'approvazione del Parlamento, la conferma del corpo elettorale e l'impegno di governi di diverso orientamento per la sua attuazione spedita e conseguente.
Ebbene, noi abbiamo avuto un cammino talmente tormentato e lungo che abbiamo ora il dovere di concluderlo con coerenza, nello spirito di un'evoluzione in senso federalistico del nostro sistema di autonomie e del nostro Stato democratico, anche attraverso qualcosa che in quest'ultimo periodo abbiamo quasi finito per dimenticare : attraverso, cioè, il superamento del bicameralismo perfetto, perché possa esserci anche al vertice dello Stato una conclusione coerente di questa evoluzione.
Certamente abbiamo il dovere di fare le cose per bene, proprio perché vogliamo che questo cambiamento abbia basi durevoli. Non sia, cioè, un'altra tappa rispetto alla quale un giorno si dovrà dire che non si è conclusa pienamente, che la scelta non ha avuto sufficiente futuro.
Dobbiamo con grande ponderazione e grande equilibrio, mirando a ravvivare e a rafforzare l'unità nazionale attraverso un sistema di federalismo solidale, portare effettivamente a termine questo compito con il massimo sforzo di condivisione. Perché più condivisa sarà fino in fondo questa riforma, più durevoli saranno le sue prospettive di consolidamento e di successo nel futuro.
Torno sul punto dell'esigenza che è avvertita dal paese, che si è espressa in questa giornata a Varese e in quelle che ho vissuto in altre città, che si è tradotta, appunto, in questo grande scatto di sentimento e di consapevolezza nazionale : abbiamo bisogno di coesione, e coesione, non c'è bisogno di dirlo, non significa sottovalutazione o tantomeno svalutazione delle diversità e anche dei conflitti che rappresentano il sale della democrazia. Diversità di posizioni politiche e di ispirazioni ideali, competizione ogni volta che ci si presenti davanti al popolo sovrano per le maggioranze, per i governi a livello locale e nazionale : tutto questo è pienamente compatibile, e deve essere effettivamente compatibile, con lo sforzo di coesione attorno alle nostre grandi, comuni responsabilità, in vista delle grandi sfide che ci attendono, e che non fanno distinzione tra parti politiche e parti del paese. Sono sfide che toccano tutta l'Italia, tutte le forze politiche, sociali e culturali del nostro paese. Abbiamo bisogno di questa coesione anche di fronte a quello che accade nel mondo, un mondo che forse - una ventina di anni fa - avevamo nutrito l'illusione fosse destinato a diventare un mondo senza tensioni.
Si era parlato di fine della storia, da parte di qualche troppo ottimista o troppo avvenirista studioso. Invece, è stato, sì, superato il momento lungo, quarantennale della guerra fredda e dello scontro senza esclusione di colpi tra le due superpotenze, è stata superata la fase dell'ordine bipolare - un ordine relativo che coesisteva con tanti focolai di conflitto - ed è stato superato con la caduta del blocco sovietico e con la riunificazione dell'Europa sotto le bandiere della Comunità e dell'Unione. Ma siamo dinanzi ad altre tensioni, ad altri focolai di crisi e di conflitto. Non possiamo sottrarci ad un momento di scelte difficili da fare. Sono state difficili nei giorni scorsi e lo sono ancora, per l'Italia e per la comunità internazionale, e qualsiasi preoccupazione è pienamente legittima e va rispettata, ma non potevamo e non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità : l'Italia è un membro importante della comunità internazionale, dell'Alleanza atlantica, dell'Unione europea, e non possiamo non dare il nostro contributo anche alla soluzione della crisi libica e alla riaffermazione del diritto di tutti i popoli, in questa fase storica in modo particolare i popoli arabi, a vedere riconosciuta la loro sete di libertà e di giustizia.
Dobbiamo, quindi, concorrere al massimo di coesione sociale e politica anche dinanzi a delle complesse problematiche, come quelle del flusso migratorio, nell'accoglienza di chi arriva, nella vigilanza nei confronti di tutto quello che si può mescolare di torbido e di pericoloso con questo flusso migratorio presso le nostre coste.
Voglio dire che ho apprezzato in questi frangenti ancora l'impegno del ministro Maroni : lavoriamo in piena sintonia, per quello che riguarda le responsabilità che io possa avere, che non sono responsabilità di governo - esecutive - ma in quanto Presidente del Consiglio supremo di difesa, nei giorni scorsi ho dato il mio doveroso contributo per una linea di condotta, che credo sia corretta, e credo sia la sola che noi possiamo tenere in questo momento.
Infine, magnifico rettore, non ignoro un'altra delle problematiche e delle sfide che ci stanno davanti : lei ha parlato della sua università, che è particolarmente efficiente e protesa verso l'avvenire. Sono convinto che l'Università dell'Insubria non tema di sottoporsi alla grande prova della valutazione dei risultati, non tema di sottoporsi a qualsiasi confronto e ad uno sforzo complessivo di rinnovamento del sistema universitario che dovrà anche prendere atto di insufficienze da correggere in questo o quel punto del sistema, per questo o quell'aspetto di norme che ne regolano la vita. Però non c'è dubbio - ne sono convinto come lei - che per affrontare le sfide di un mondo grande e terribile, comunque di un mondo ben più competitivo di quello che abbiamo mai conosciuto nel passato, sia indispensabile potenziare il ruolo della ricerca e della formazione.
Abbiamo una volta scritto, noi membri dell'Unione europea, che l'economia europea deve diventare un'economia fondata sulla conoscenza, e ci siamo proposti degli obiettivi che, dobbiamo pur dirlo, non abbiamo raggiunto : volevamo raggiungerli in un decennio, che è scaduto, e quegli obiettivi restano ancora un traguardo non facile. Abbiamo bisogno, perciò, di qualificare il nostro sistema universitario, innanzitutto sul terreno della ricerca e su quello dell'alta formazione. E ciò comporta anche un'attribuzione adeguata di risorse, non in modo indiscriminato, facendo le valutazioni necessarie, come dicevo, distinguendo fra situazioni che richiedono drastiche correzioni ed altre che debbono essere incoraggiate. Sono sicuro che saprete fare la vostra parte. Per quello che mi riguarda, ritengo mio dovere di rappresentare questa come una delle esigenze fondamentali della società nazionale e dello Stato italiano. Un augurio vivissimo a voi, e ancora un ringraziamento alla città di Varese.
Varese 21/03/2011