Signor Vice Presidente, Signori Consiglieri,
a tutti voi e a coloro che con voi collaborano quotidianamente, il mio più cordiale saluto.
Sono particolarmente lieto di questo incontro concepito per riflettere proficuamente sui temi che hanno impegnato e impegneranno il Consiglio nell'esercizio del suo ruolo essenziale a presidio dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.
Rinnovo innanzitutto al Vice Presidente Vietti l'apprezzamento e la stima per l'equilibrio e la concretezza con cui presiede i lavori del Consiglio. L'assiduità dei contatti che mantengo con lui mi permette di essere costantemente informato sull'andamento dei lavori e di formulare, in relazione a essi, considerazioni e suggerimenti.
Nei primi diciotto mesi di attività, il Consiglio Superiore ha svolto - assieme alla pesante, ma indispensabile attività ordinaria - funzioni consultive e propulsive che, anche nei momenti in cui più alta e ricorrente è stata la tensione politico-istituzionale, hanno contribuito a prospettare misure normative e organizzative in grado di ridurre l'abnorme durata dei processi e il contenzioso civile e penale.
Ho apprezzato che la relazione del Ministro al Parlamento, le relazioni inaugurali dell'Anno giudiziario e in larghissima misura gli interventi che a queste ultime sono seguiti abbiano posto in evidenza sia la consapevolezza che la crisi del sistema può essere superata solo attraverso scelte condivise, sia la piena consonanza nella individuazione delle ragioni della crisi, delle priorità da affrontare e degli immediati rimedi riformatori.
E' in questo senso che può senz'altro percepirsi un positivo mutamento dell'atmosfera per quel che riguarda disponibilità e reali possibilità di confronto costruttivo sui problemi che è più urgente affrontare in materia di politica della giustizia. Opportuno e realistico è stato partire - innanzitutto in sede di governo - da provvedimenti funzionali a un rapido miglioramento delle condizioni del servizio giustizia - con riferimento, tra l'altro, all'autentica emergenza sociale e umanitaria insorta nelle carceri - e da scelte che possano collocarsi in una prospettiva di più lungo termine di vera e propria riforma, comprensiva anche di delicati aspetti costituzionali.
In questi diciotto mesi, il Consiglio ha dovuto prendere in esame, tra l'altro, complesse questioni connesse alla interpretazione e applicazione di nuove norme dell'ordinamento giudiziario. Lo ha fatto nell'ambito di vicende delicate per il ruolo ricoperto dai magistrati che in esse erano coinvolti e per l'eco mediatica che le accompagnava. Il riferimento è al problema dei rapporti tra il procedimento per trasferimento d'ufficio disposto in via amministrativa a norma dell'art. 2 della legge delle guarentigie e il procedimento disciplinare che ha invece carattere giurisdizionale.
La tendenza finora prevalsa a un'applicazione estensiva dell'art. 2 ha favorito sovrapposizioni istruttorie in grado di compromettere la segretezza dei procedimenti disciplinari, la strategia delle loro indagini, le garanzie difensive dei magistrati incolpati e i loro rapporti con gli uffici di appartenenza. La lettera della norma mi pare far ritenere invece che i margini di intervento del Consiglio sono limitati e che l'attività avviata sulla base del detto art. 2 deve arrestarsi non appena il fatto contestato è astrattamente inquadrabile tra quelli a rilevanza disciplinare. E mi fa piacere che in questo senso vi siate orientati anche voi in una importante delibera approvata questa mattina.
Una soluzione del genere non contrasta infatti con l'esigenza di una celere definizione del procedimento. Sono ormai accertate la prontezza dell'intervento disciplinare e la accresciuta severità del relativo giudizio. I dati sul numero e sulle definizioni sanzionatorie dei procedimenti pendenti davanti alla Sezione disciplinare smentiscono frettolose valutazioni negative in proposito. La giurisprudenza della Sezione è divenuta più rigorosa, corrispondendo anche alle frequenti ragioni di doglianza degli utenti del servizio-giustizia.
Desidero però sottolineare che il maggior rigore valutativo corrisponde anche all'interesse dei tantissimi magistrati che esercitano i loro compiti con competenza, sobrietà e spirito di sacrificio ; da un lato, rifuggendo da qualsiasi forma di sciatteria o trascuratezza nella redazione dei provvedimenti ; dall'altro, depositandoli nei termini imposti dalla legge e non, come purtroppo è accaduto, con ritardi gravi e irragionevoli.
Peraltro a disorientare i cittadini contribuiscono - come da tempo rilevo - alcune tipologie di condotta che innescano periodicamente spirali polemiche e acuiscono molteplici tensioni. Mi riferisco in particolare alle esternazioni esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo ; all'inserimento nei provvedimenti giudiziari di riferimenti non necessari ai fini della motivazione e che spesso coinvolgono terzi estranei ; all'assunzione quando inopportuna di incarichi politici e alla riassunzione di funzioni giudiziarie dopo averli svolti o essersi dichiarati disposti a svolgerli.
Condotte del genere possono incidere sulla immagine di terzietà che deve assistere ciascun magistrato con riguardo al concreto esercizio delle sue funzioni, come regola deontologica che va osservata in ogni comportamento per evitare - come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n. 224 del 2009 - che possa fondatamente dubitarsi della indipendenza e imparzialità di chi giudica o indaga.
Molti dei comportamenti prima indicati sfuggono però alla sanzionabilità disciplinare per la rigida tipizzazione voluta dal legislatore del 2006 e non sono riconducibili neppure alla regolamentazione paradisciplinare del trasferimento di ufficio disposto in via amministrativa. E' bene che da parte delle forze politiche di ciò si sia consapevoli e che a ciò - se si vuole - si ponga meditato rimedio anziché farne ogni volta occasione di invocazioni polemiche e generiche di interventi sanzionatori allo stato non praticabili. Come il Consiglio Superiore, la Sezione disciplinare e la Procura Generale della Corte di Cassazione hanno rilevato, si è in presenza di vuoti normativi non colmabili in via interpretativa.
I numerosi casi in cui è stato sanzionato il ritardo nel deposito dei provvedimenti richiamano l'importanza della funzione di vigilanza affidata ai dirigenti degli uffici. Il mancato o negligente esercizio di questa può costituire, a ben vedere, un illecito disciplinare addirittura più grave di quello imputabile all'autore materiale della condotta. Lo ha rilevato di recente il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Prof. Annibale Marini.
L'esercizio della funzione direttiva esige un continuativo e incisivo impegno in grado di garantire l'ordinato funzionamento dell'ufficio e la corretta condotta dei magistrati che di esso fanno parte. I Capi degli uffici debbono assicurare la stretta osservanza delle previsioni organizzative tabellarmente stabilite, l'uniforme interpretazione dei presupposti che legittimano il ricorso alle misure custodiali, il corretto utilizzo degli strumenti investigativi più invasivi come le intercettazioni, l'ordinato impiego della polizia giudiziaria, il rispetto del segreto di indagine. Da ultimo, il rispetto dei criteri di competenza: un punto, questo sul quale invito a valutazioni particolarmente attente.
Sulle caratteristiche e la valorizzazione delle funzioni di vigilanza che l'art. 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006 ha delineato in capo ai Procuratori Generali presso le Corti di appello e al Procuratore Generale della Corte di Cassazione è atteso il contributo propositivo che il Consiglio si appresta a fornire anche per rispondere alle sollecitazioni che gli provengono da numerosi procuratori generali presso le Corti di Appello.
Per parte mia, non posso che riportarmi a quanto dissi nell'intervento all'Assemblea Plenaria del 9 giugno 2009 e ribadire che l'attività di vigilanza va esercitata in primo luogo per garantire indirizzi omogenei nelle scelte organizzative e nella distribuzione delle risorse assicurando così correttezza, imparzialità e trasparenza dell'attività del pubblico ministero oltre che certezza del diritto e prevedibilità della sua applicazione. Mi pare importante, in proposito, citare l'esempio dell'attività svolta nel corso del 2011 dalla Procura Generale della Cassazione, per la individuazione di una "comune" disciplina sull'impiego dei registri delle notizie di reato e per il superamento della discutibile prassi, in uso presso alcuni uffici, di convogliare nei registri notizie di vario genere sulle quali svolgere indagini anche di lungo periodo.
Per l'esercizio delle loro funzioni di vigilanza, i procuratori generali non potranno che ricorrere a plurimi e anche informali momenti d'interlocuzione e impulso finalizzati a scongiurare l'insorgere di contrasti e, nello stesso tempo funzionali alla diffusione delle "buone prassi", anche grazie al ruolo attivo del Procuratore Generale della Corte di cassazione, cui spetta "chiudere" il circuito informativo.
L'importanza del ruolo dei Capi degli uffici mi impone di auspicare nuovamente che le loro procedure di nomina siano velocizzate come è meritoriamente accaduto per l'incarico di procuratore della Repubblica in Roma che questa mattina è stato conferito, con massimo consenso, al dottor Giuseppe Pignatone - magistrato le cui qualità personali e professionali sono a tutti note - al quale formulo vive felicitazioni e fervidi auguri di buon lavoro.
Allo stesso modo, auspico nuovamente che la scelta dei magistrati destinati a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi sia operata nell'esclusivo rispetto dei parametri della capacità professionale e organizzativa, dell'attitudine al ruolo, dell'autorevolezza e della vocazione a motivare i magistrati addetti all'ufficio.
E' perciò indispensabile che si presti grande cura nella formazione e nell'aggiornamento dei magistrati. Come ha detto il Vice Presidente Vietti, - "solo un magistrato professionalmente attrezzato ... è un magistrato autorevole e ... può esercitare bene la fondamentale funzione della giurisdizione che è il presidio insostituibile di legalità per tutto il paese". Con l'insediamento del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura è stato compiuto il primo passo per la concreta attuazione della nuova struttura formativa individuata dal decreto legislativo n. 26 del 2006. Occorre che la Scuola inizi a funzionare pur se, nelle attuali difficili condizioni della finanza pubblica e nella presente fase di avvio, potrà essere valutata dal Ministro - dopo il confronto cui ha dichiarato di voler procedere - anche l'opzione di una sola offerta formativa, valida per tutto il territorio nazionale.
Tornando al tema delle nomine, scelte basate esclusivamente sui parametri che ho prima indicato allontanano il pericolo che l'opinione pubblica e, talvolta, gli stessi magistrati abbiano la percezione che alcune di esse siano condizionate da logiche spartitorie e trasversali, rapporti amicali, collegamenti politici. Una percezione del genere favorisce il contenzioso davanti al giudice amministrativo.
Comunque, la Corte Costituzionale (Corte cost. 8/2/1991, n. 72) e il Consiglio di Stato (Cds 10/7/2007 n. 3893) hanno affermato che l'"elevatissimo potere discrezionale" attribuito al Consiglio Superiore deve limitare e attenuare il sindacato giurisdizionale sulle sue scelte. Si tratta di una discrezionalità che discende anche dal fatto che al Consiglio Superiore è affidato in via esclusiva il compito di assicurare il difficile equilibrio tra garanzie dei singoli magistrati ed efficacia della funzione giudiziaria.
Alle condivisibili affermazioni di principio debbono seguire - non escludendosi anche appositi interventi normativi - applicazioni coerenti da parte della giustizia amministrativa, tali da evitare un improprio sindacato che lede il potere decisionale del Consiglio Superiore. E' a tal fine anche opportuno che il Consiglio eviti di adottare deliberazioni ancorate a criteri troppo rigidi che determinino una sensibile attenuazione dell'esercizio del suo potere discrezionale.
Guardo con preoccupazione a situazioni che si sono verificate in questi ultimi tempi e che, come ha sottolineato anche il Presidente del Consiglio di Stato nella relazione inaugurale del 1° febbraio, hanno dato la sensazione del venir meno di un rapporto istituzionale sereno, fondato sulla cooperazione tra i poteri.
Non a caso con il decreto legge sulle "semplificazioni" il legislatore è intervenuto per rimuovere gli effetti del recente approdo interpretativo del Consiglio di Stato sulla non necessità di un periodo minimo di permanenza in un ufficio per acquisire la legittimazione all'incarico superiore : approdo cui sarebbero conseguite gravi criticità sia rispetto all'attività del Consiglio (per l'incremento del contenzioso e l'aggravamento delle procedure), sia rispetto alla funzionalità ed efficienza degli uffici giudiziari (per il pregiudizio agli assetti organizzativi e gestionali connesso al frequente avvicendamento nelle funzioni di vertice).
All'inizio del mio intervento, mi sono compiaciuto per la condivisione attualmente rilevabile in ordine agli interventi volti a velocizzare i processi e a dare soluzione alle problematiche carcerarie.
La condivisione riguarda in primo luogo le norme sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Sono convinto - e lo dissi già il 21 luglio 2011 nell'indirizzo di saluto ai magistrati ordinari in tirocinio - che l'attuale geografia giudiziaria impedisce economie di scala e la specializzazione dei magistrati sicché la sua revisione rappresenta presupposto indifferibile per restituire efficienza al sistema-giustizia. Il precedente e l'attuale Governo, il Consiglio Superiore, la Magistratura, il Parlamento convengono sulla indispensabilità dell'intervento. Senza esitazioni, con equilibrio e adottando parametri oggettivi, vanno allora superate le vischiosità conseguenti alla esasperazione dei particolarismi che si oppongono al necessario cambiamento.
In questa fase è comunque fondamentale l'imperativo di riuscire - come ha detto il Vice Presidente Vietti - nel compito "insieme difficile ed esaltante, di ammodernare il servizio giustizia nell'esclusivo interesse dei cittadini".
Sono certo che, come sempre, a questo compito e anche a questa disposizione d'animo, non si sottrarranno né il Consiglio Superiore né la Magistratura. Ai Magistrati - nonostante le carenze di strutture e di risorse personali e strumentali - è affidata la tutela del principio di legalità. Anche con il coraggio istituzionale che tante volte hanno dimostrato fino all'estremo sacrificio, sono chiamati a contrastare la criminalità organizzata e ogni forma di delinquenza, a garantire ai cittadini i diritti assicurati dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali, a intervenire - in autonomia e indipendenza - anche sui tanti, troppi casi di abuso di potere e su molteplici forme, vecchie e nuove, di corruzione : fenomeni che turbano tutti quei cittadini onesti, oggi chiamati a grandi sacrifici e sensibili al rigore nei comportamenti di chiunque assolva pubbliche funzioni. Naturalmente, il successo della lotta - di cui più che mai si avverte l'acuta necessità - contro la corruzione richiede non solo vigilanza e capacità di intervento sul piano giudiziario, ma seri adeguamenti normativi e mutamenti profondi di clima e di costume.
Intervento conclusivo del Presidente della Repubblica
Ringrazio tutti gli intervenuti e vorrei assicurarvi che, se è la prima volta che sono fisicamente presente ai vostri lavori, lo sono però sempre, in sostanza, grazie alla collaborazione con il vice Presidente Vietti. Comunque sento anche la esigenza di una mia ulteriore presenza personale: cercherò, nel tratto di strada che mi rimane da compiere prima della conclusione del mio mandato, di partecipare ancora - e più di una volta - ai lavori del Consiglio.
Anche sollecitato da questa esigenza, vorrei esprimere qualche brevissima considerazione su alcune delle questioni che sono state poste chiedendovi naturalmente venia fin da ora per l'approssimazione delle mie considerazioni in quanto estraneo alle vostre specifiche competenze ed esperienze.
Innanzitutto, una considerazione di carattere generale che ho colto negli interventi sia del consigliere Calvi sia del consigliere Virga sull'atmosfera in cui, in questo momento, si stanno discutendo i problemi della giustizia nel nostro paese. Io credo ci fosse bisogno di una fase di rasserenamento dopo quella che possiamo considerare "una estrema politicizzazione" delle questioni sulla giustizia. Alla "estrema politicizzazione" hanno contribuito opposti schieramenti politici e si è quindi navigato tra pregiudiziali, forzature, resistenze, chiusure. In qualche modo abbiamo dovuto constatare di essere finiti in un vicolo cieco. Ripartiamo oggi convinti che è invece assolutamente indispensabile modificare il funzionamento del sistema-giustizia perché assolva al suo altissimo ruolo costituzionale. Credo sia stato saggio riuscire a rimettere al centro, come punto di partenza, una serie di esigenze non strettamente legate a ipotesi di riforma o di grande riforma costituzionale, con riferimento alle quali scatta ovviamente anche la considerazione realistica dei tempi molto limitati che rimangono per il compimento della legislatura.
Con ciò, non voglio dire che escludo possa esserci più avanti una futura riflessione, serena e appropriata anche su modifiche di carattere costituzionale da proporre in materia di giustizia. Si vedrà quale possa essere il momento più idoneo per affrontare questi temi: cosa è ancora possibile fare in questo scorcio di legislatura, cosa va predisposto per il successivo periodo di attività parlamentare e politica. Mi auguro ed auspico che si vada nel futuro Parlamento verso una dialettica politica più costruttiva, verso una democrazia dell'alternanza che non sfoci in una conflittualità talvolta addirittura paralizzante.
Naturalmente, vi sono molte questioni che possono e debbono essere affrontate anche prescindendo da modifiche di carattere costituzionale: non posso però addentrarmi in tutti i temi che ha sollevato il consigliere Virga soffermandosi su possibili modifiche normative o organizzative che non implichino un passaggio di riforma costituzionale.
Tra le tante questioni c'è quella sollevata dal consigliere Borraccetti della copertura degli organici, dei concorsi in magistratura e dell'assunzione di personale amministrativo. E' evidente che si tratta di un nocciolo la cui particolare durezza è evidentemente rappresentata dalle condizioni della finanza pubblica e dalla limitatezza delle risorse a disposizione. Credo tuttavia che non si possa non tenere conto della necessità di garantire una "funzionalità minima" degli Uffici attraverso l'ampliamento delle risorse umane disponibili.
Tocco rapidissimamente i quattro punti principali che mi è parso di poter cogliere nei vostri interventi.
La riforma delle circoscrizioni giudiziarie: sono d'accordo con il consigliere Corder. Non si può ridurre il discorso solo alla necessità di far fronte a esigenze di carattere economico-finanziario. Anche se pure nelle migliori condizioni di finanza pubblica, anche quando cioè non gravasse sullo Stato italiano un debito pubblico così rilevante, sarebbe saggio non "sprecare" le risorse finanziarie. Il problema di una loro razionale utilizzazione è sempre un problema fondamentale. Poi ci sono esigenze di distribuzione proporzionata ed equa degli Uffici sul territorio. Qui occorre la massima attenzione; e mi auguro che vi sia anche la massima fermezza innanzitutto al livello di Governo e Parlamento nel reagire alle resistenze che già si stanno manifestando e che sono state qui richiamate. Non siamo ancora nella fase di attuazione della delega, ma già si cerca di mettere dei "paletti" e ci sono sicuramente degli intraprendenti parlamentari i quali sventolano vessilli di territori che dovrebbero considerarsi "santuari intoccabili" dal punto di vista degli uffici giudiziari attualmente esistenti. Mi auguro che fin dai prossimi giorni, in Parlamento si riesca ad arginare pressioni di questa natura.
Secondo tema, molto importante dal punto di vista degli equilibri costituzionali, è quello su cui si è soffermato il prof. Marini e su cui anch'io mi ero già chiaramente espresso. Mi pare che la questione di principio che egli ha posto sia assolutamente ineccepibile: nessuno contesta che debba valere anche per il CSM il principio della sindacabilità dei provvedimenti. Il fatto è che le delibere del CSM in materie delicatissime e ad esso esplicitamente riservate non debbono però essere sindacate come si fa con qualsiasi normale atto amministrativo ; ciò non è ammissibile per il carattere di organo di rilevanza costituzionale attribuito al CSM. Condivido pienamente le argomentazioni in tal senso del prof. Marini; non mi pronuncio sui rimedi possibili in ordine ai quali mi fa difetto la competenza, ma mi auguro che anche gli spunti presenti al riguardo nell'intervento del Presidente Marini possano essere raccolti.
La questione trattata dal consigliere Calvi è interessante. Ho sottolineato - e voi capite bene perché - i limiti che la tipizzazione degli illeciti pone all'esercizio dell'azione disciplinare. L'ho sottolineato perché di tanto in tanto capita qualche fatto che immediatamente sollecita appelli al Consiglio Superiore della magistratura: perché aspettate a sanzionare, ecc.... E invece esistono effettivamente alcuni impedimenti allo stato attuale. Il consigliere Calvi ritiene che sia possibile ovviarvi tenendo conto anche delle condotte non sanzionabili disciplinarmente quando si procede alla valutazione di professionalità. Valuterete se ciò sia sufficiente o se invece si deve veramente pensare a una chiarificazione normativa. In ogni caso ritengo che tenere distinti, come ho detto, l'esercizio dell'azione disciplinare dalla "inchiesta" di carattere amministrativo, sia importante e serva in qualche misura ad evitare ambiguità e incomprensioni che purtroppo sono abbastanza frequenti e che finiscono per avere un certo peso politico.
Infine è molto importante il problema messo a fuoco dal consigliere Funzio. Non c'è dubbio che si debba rivendicare senza alcuna esitazione, senza alcuna reticenza il diritto-dovere del CSM di esprimersi su qualsiasi provvedimento di provenienza governativa che abbia un impatto serio sull'organizzazione giudiziaria e, più in generale, sull'esercizio delle funzioni della magistratura.
Per quello che riguarda le circoscrizioni giudiziarie rilevo tuttavia che è stata approvata soltanto una legge di delega e che essa prevede esplicitamente l'obbligatorietà del parere del CSM sui suoi provvedimenti attuativi. Anche per quel che riguarda il Tribunale delle imprese mi pare che vi sia stata una dichiarazione non solo di disponibilità ma di interesse del Ministro della Giustizia ad avvalersi di un parere del Consiglio Superiore. Naturalmente sul punto del diritto-dovere di esprimere il parere non si può transigere. Non voglio tornare su polemiche del passato per stabilire in che cosa si è o non si è ecceduto; né riaprire l'annoso capitolo delle "iniziative a tutela" su cui mi pare che si convenga sia stato opportuno intervenire con i limiti posti nella precedente Consiliatura.
Concludo dicendo che sono perfettamente consapevole della necessità di valorizzare l'impegno e il rendimento dei magistrati italiani. So che esiste la forte convinzione - e l'ho colta anche di recente non solo nelle parole dette all'inaugurazione dell'anno giudiziario dal Presidente Lupo - che è lo stesso nostro modello costituzionale di giustizia a meritare di essere valorizzato, come già lo è al livello internazionale. Naturalmente non possiamo nasconderci che il modello costituzionale che i nostri Padri hanno introdotto nella Carta va sempre messo a confronto con l'effettivo funzionamento del sistema, con l'effettivo rendimento. C'è quindi una contraddizione che dobbiamo superare e risolvere reagendo a valutazioni indiscriminate e negative, liquidatorie e sommamente ingiuste, ingenerose e contrarie alla verità. Perché è sacrosanto che occorre tenere conto delle condizioni in cui operano i magistrati i quali non fanno giustizia in poltrona seduti a casa loro, ma con le forze che vengono messe a loro disposizione e con i mezzi di cui possono avvalersi.
Comunque mi fa piacere che anche da parte del consigliere Borraccetti si sia sottolineato il senso dei miei "richiami". Termini come questo per la verità un po' mi impensieriscono. Lo dicevo l'altro ieri, incontrando i giornalisti insieme con il Presidente della Repubblica tedesco: ogni tanto mi si chiede di lanciare appelli o si sostiene che rivolgo moniti. Io non desidero né rivolgere appelli né rivolgere moniti e nemmeno fare richiami. Io cerco di porre dei problemi, e quando pongo dei problemi che riguardano comportamenti, modi di assolvere le proprie funzioni da parte dei magistrati, lo faccio nell'esclusivo interesse della magistratura e della giustizia, nel pieno rispetto - che sono sempre pronto a rivendicare per il compito che ho - per la funzione giurisprudenziale che è uno dei cardini del nostro Stato di diritto e del nostro assetto costituzionale democratico.