Celebro per il sesto anno, da Presidente, la Festa della Liberazione. L'ho celebrata in città capitali della Resistenza come Genova e Milano, l'ho celebrata, fuori d'Italia, a Cefalonia - che fu teatro di una straordinaria prova di dignità, eroismo e sacrificio dei militari della Divisione Acqui - e successivamente a Mignano-Montelungo dove ebbe il suo battesimo di fuoco il rinato esercito italiano dopo che ci era stato riconosciuto, dalle forze alleate, lo status di paese co-belligerante.
Alla mia presenza oggi qui tra voi attribuisco il significato particolare di un richiamo dell'attenzione storica e della memoria collettiva su quelle realtà dell'Italia profonda, popolare e contadina, in cui si radicò, venne combattuta e vinta la Guerra di Liberazione. Territori di antica storia, province di tradizionale laboriosità, piccoli Comuni legati all'agricoltura, in cui si sprigionarono - di fronte all'oppressione e alle angherie nazifasciste - un senso civico, un sentimento nazionale, uno spirito di ribellione e un anelito di libertà che diedero filo da torcere anche alle agguerrite forze tedesche. Fino a concorrere, nel settembre 1944, a quello sfondamento della Linea Gotica che in sostanza segnò le sorti della guerra in Italia.
Esemplare fu la Resistenza tra il pesarese e l'anconetano. Esemplare per la solidarietà tra partigiani combattenti e famiglie contadine, per lo stoicismo di queste nel subire feroci rappresaglie nelle case e nelle persone. Ed esemplare fu qui la Resistenza non solo per l'audacia di incalzanti azioni di guerra, con cui sempre si reagì ai colpi subiti, ma per l'intreccio tra tutte le sue componenti : formazioni partigiane (cui si aggregarono anche degli stranieri, dei non italiani sfuggiti alla dominazione nazista), reparti alleati (angloamericani, polacchi, indiani) e - a rappresentare la volontà di riscatto dell'Italia dalle disastrose scelte del fascismo - i soldati, i volontari, i giovani del Corpo Italiano di Liberazione.
Ecco, a questo volto unitario e corale della Resistenza nelle Marche e in altre realtà consimili, io desidero rendere omaggio a nome delle istituzioni repubblicane : e rendere particolare, commosso omaggio, al Comune e alla popolazione di Sant'Angelo in Vado su cui si abbatté la barbara furia nazifascista il 4 maggio 1944. Mi è spiaciuto non poter raggiungere - ma lo sento in egual modo idealmente vicino - il luogo in cui la stele in memoria dei caduti garibaldini del 1849 e l'imponente monumento ai caduti partigiani di un secolo dopo danno il senso della continuità dell'impegno e del patto più solenni che ci legano : l'impegno e il patto dell'unità nazionale.
In questo spirito abbiamo lo scorso anno collocato la data del 25 aprile, e tutto quel che essa rappresenta, nel quadro delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Perché - si è giustamente detto, e non va dimenticato - la Festa della Liberazione è anche festa della riunificazione dell'Italia brutalmente divisa in due, dopo l'8 settembre del 1943, dall'occupazione tedesca. Anche di ciò - di quel terribile, sanguinoso periodo di divisione del nostro paese, che avrebbe potuto essere fatale per il futuro dell'Italia - bisogna continuare a rievocare e trasmettere la storia.
Vedete, ancora adesso emergono fatti e figure della Resistenza, che non avevano prima ottenuto alcun riconoscimento. Ho in questi giorni firmato, su proposta del Ministro dell'Interno, i decreti di conferimento di medaglie al merito civile alla memoria di uomini semplici che tra il 1943 e il 1945 sacrificarono la loro vita a ideali di amor patrio, libertà e solidarietà : un operaio della Dalmine di Bergamo, un finanziere di Sondrio, un parroco del frusinate, un medico ebraico colpito dalle leggi razziali del fascismo che a Piacenza prestava cure ai partigiani feriti. Si continua dunque a scavare nelle vicende di quel periodo cruciale, e si individuano sempre meglio i tanti fili - persone, luoghi, episodi di azione collettiva, gesti individuali - di cui risulta intessuta la grande tela della Resistenza. Questo sforzo di esplorazione e diffusione della verità, e di celebrazione di quanto hanno saputo esprimere di più nobile e forte gli italiani per la salvezza comune e il comune avvenire, non deve mai cessare o attenuarsi perché non si disperdano insegnamenti ed esempi di cui abbiamo ancor oggi acuto bisogno.
Sì, dinanzi alla crisi che ha investito l'Italia e l'Europa, nel quadro di un profondo cambiamento mondiale, abbiamo bisogno di attingere alla lezione di unità nazionale che ci viene dalla Resistenza, e abbiamo bisogno della politica come impegno inderogabile che nella Resistenza venne da tanti riscoperto per essere poi quotidianamente praticato. Ci si fermi a ricordare e a riflettere, prima di scagliarsi contro la politica. Ho già citato qualche volta ma non esito a citare nuovamente le parole della lettera dello studente di Parma, di anni 19, Giacomo Ulivi, condannato a morte e fucilato nella Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944 :
"Cari amici, allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica è stato il più terribile risultato di un'opera di diseducazione ventennale, che è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi, fondamentale quello della «sporcizia» della politica. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di «specialisti» : lasciate fare a chi può e deve. E invece la cosa pubblica è noi stessi : dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante".
Ecco, quante cose aveva capito quel ragazzo, combattendo per liberare l'Italia dal fascismo e dalla sua ventennale opera di intossicazione delle coscienze. E il messaggio di quel ragazzo, di quel giovanissimo eroe non restò isolato né vano: se fu possibile far rinascere l'Italia, lo fu perché in moltissimi - sull'onda della Liberazione - si avvicinarono alla politica, non considerandola qualcosa di "sporco", ma vedendo la cosa pubblica come affare di tutti e di ciascuno.
E invece oggi cresce la polemica, quasi con rabbia, verso la politica. E si prendono per bersaglio i partiti, come se ne fossero il fattore inquinante. Ma per capire, e non cadere in degli abbagli fatali, bisogna ripartire proprio dagli eventi che oggi celebriamo. Come dimenticare che proprio da allora, dagli anni lontani della Resistenza, i partiti divennero e sono per un lungo periodo rimasti l'anima ispiratrice e il corpo vivo e operante della politica? I partiti antifascisti furono innanzitutto la guida ideale della stessa Resistenza, che non si identificò con nessuno di essi, che non ebbe un solo colore, che si nutrì di tante pulsioni e posizioni diverse, ma dai partiti trasse il senso dell'unità e la prospettiva della democrazia da costruire nell'Italia liberata. E furono quei partiti i promotori e i protagonisti - sospinti dalla forza del voto popolare - dell'Assemblea Costituente, dando vita a quella Costituzione repubblicana che costituisce tuttora la più solida garanzia dei valori e dei principi che scaturirono dalla Resistenza.
E anche quando si ruppe l'unità antifascista e la politica si fece aspra competizione democratica, furono i partiti, e fu la partecipazione dei cittadini a quel confronto, fu la partecipazione popolare alla vita politica e sociale che resero possibile uno straordinario progresso dell'Italia senza lacerazioni dell'unità nazionale.
Sono poi venute, col passare dei decenni, le stanchezze e le degenerazioni - lo sappiamo - della politica e dei partiti. Questi non sono certo più gli stessi dell'antifascismo, della Resistenza e della Costituente : diversi ne sono scomparsi, altri si sono trasformati, ne sono nati di nuovi, e tutti hanno mostrato limiti e compiuto errori, ma rifiutarli in quanto tali dove mai può portare? Nulla ha potuto e può sostituire il ruolo dei partiti, nel rapporto con le istituzioni democratiche. Occorre allora impegnarsi perché dove si è creato del marcio venga estirpato, perché i partiti ritrovino slancio ideale, tensione morale, capacità nuova di proposta e di governo. E' questo che occorre : senza abbandonarsi a una cieca sfiducia nei partiti come se nessun rinnovamento fosse possibile, e senza finire per dar fiato a qualche demagogo di turno. Vedete, la campagna contro i partiti, tutti in blocco, contro i partiti come tali, cominciò prestissimo dopo che essi rinacquero con la caduta del fascismo : e il demagogo di turno fu allora il fondatore del movimento dell'Uomo Qualunque - c'è tra voi chi forse lo ricorda -un movimento che divenne naturalmente anch'esso un partito, e poi in breve tempo sparì senza lasciare alcuna traccia positiva per la politica e per il paese.
Io ho ritenuto doveroso, e non solo negli ultimi tempi ma in tutti questi anni, sollecitare anche con accenti critici, riforme istituzionali e politiche ; e mi rammarico che si sia, in questa legislatura e nella precedente, rinunciato a ogni tentativo per giungere in Parlamento a delle riforme condivise. Oggi però si sono create condizioni più favorevoli per giungervi : anche per definire norme che sanciscano regole di trasparenza e democraticità nella vita dei partiti, compresi nuovi criteri, limiti e controlli per il loro finanziamento, e per varare una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e non di votare dei nominati dai capi dei partiti.
In effetti, sono cadute non solo vecchie contrapposizioni ideologiche ma anche forme di sorda incomunicabilità tra opposte parti politiche, ed è dunque possibile oggi concordare in Parlamento soluzioni che sono divenute urgenti, anzi indilazionabili. Non esitino e non tardino i partiti a muoversi concretamente in questo senso. Guardino però tutti con attenzione ai passi per le riforme che si stanno compiendo e si compiranno da parte dei partiti, e non vi si opponga una sfiducia preconcetta e aggressiva.
Prevalga dunque un serio impegno di rinnovamento politico-istituzionale e lo si accompagni, da parte dei cittadini, con spirito più costruttivo e fiducioso. Rinnovamento, fiducia e unità sono le condizioni per guardare positivamente a tutti i problemi economici e sociali che ci assillano e che presentano aspetti drammatici per le famiglie in condizioni più difficili, per quanti vedono a rischio il posto di lavoro e per quanti sono, soprattutto tra i giovani, fuori di concrete possibilità di occupazione. Ed è questo il nostro assillo più grande: aprire prospettive più certe e degne di lavoro e di futuro per le giovani generazioni.
La politica, i partiti, debbono, rinnovandosi decisamente, fare la loro parte nel cercare e concretizzare risposte ai problemi più acuti, confrontandosi fattivamente col governo fino alla conclusione naturale della legislatura. Debbono fare la loro parte le istituzioni, dal Parlamento e dal governo nazionale ai Comuni, peraltro condizionati oggi da gravi ristrettezze. Dobbiamo fare tutti la nostra parte, con realismo, consapevolezza, senso di responsabilità, sapendo che le possibilità di ripresa e di rilancio dello sviluppo economico e sociale del paese, sulla base di una giusta distribuzione dei sacrifici necessari, sono legate anche a un grande insieme di contributi operosi e di comportamenti virtuosi che vengano dal profondo della società e ne rafforzino la coesione.
Sono convinto che potremo riuscirvi, ispirandoci nel modo migliore agli insegnamenti e all'esempio della Resistenza. Trasmettiamo questa convinzione e questo messaggio di speranza nella giornata del 25 aprile, che resta scolpita nella nostra storia e nella nostra coscienza nel ricordo di tutti i combattenti e i caduti della Guerra di Liberazione !
Pesaro 25/04/2012