Signor Presidente,
Signore e Signori deputati,
l'invito a prendere la parola in questa Assemblea, altamente rappresentativa della tradizione storica della Francia e del suo ruolo nel mondo, è stato da me accolto come un onore e un'occasione di cui esservi grato. Un onore reso al mio paese, per la funzione di Presidente della Repubblica cui assolvo da quasi sette anni, e forse motivato anche dal lungo impegno - gran parte della mia vita - dedicato al servizio dell'istituzione parlamentare. E insieme un'occasione che mi è stata offerta, in coincidenza con la visita di Stato che compio oggi su invito del Presidente François Hollande : l'occasione di un essenziale messaggio sul tema delle relazioni tra l'Italia e la Francia e sul tema della nostra comune missione per l'avvenire dell'Europa.
Non posso pretendere di avvicinarmi all'affascinante complessità e ricchezza del primo tema. Vorrei semplicemente dirvi come esso sia emerso e sia stato messo a fuoco di recente in rapporto al processo di avanzamento della causa dell'Unità d'Italia, culminato nella nascita - il 17 marzo del 1861 - del nostro Stato nazionale. A quel centocinquantesimo anniversario abbiamo dedicato in Italia - con qualche eco anche fuori del nostro paese, e in particolare in Francia - celebrazioni dispiegatesi in profondità nell'arco di oltre due anni.
L'unificazione statuale fu in Italia un compimento tardivo e faticoso, benché antiche e profonde fossero le radici ideali, culturali, linguistiche della Nazione italiana. E quel compimento si ebbe grazie a generosi apporti di eroiche avanguardie e a combattive mobilitazioni e adesioni popolari, ma grazie anche a una sapiente tessitura politica. Questa ebbe il suo centro e la sua guida a Torino, nell'iniziativa diplomatica e militare del Regno di Sardegna e del suo governo. Ne fu artefice il Conte di Cavour, che scelse come asse della sua politica europea l'alleanza con la Francia di Napoleone III.
E sappiamo anche come la ricerca di quell'intesa con l'imperatore francese non fu lineare, conobbe difficoltà e momenti di crisi. Ma con la II Guerra d'indipendenza, le battaglie di Solferino e San Martino cementarono nel sangue un'alleanza che cento anni più tardi, nel 1959, il Presidente francese eletto l'anno precedente, il generale De Gaulle, volle, venendo in Italia per quelle celebrazioni, indicare come il "trovarsi insieme dei campioni di un principio grande come la terra, quello del diritto di un popolo a disporre di se stesso quando ne abbia la volontà e la capacità".
Mezzo secolo più tardi, nel luglio 1918, in un momento decisivo per le sorti della Prima Guerra Mondiale, toccò all'Italia concorrere alla difesa del suolo francese dal violentissimo attacco delle truppe tedesche lasciando sul terreno cinquemila caduti, cui è rimasto dedicato il cimitero italiano di Bligny. Ma pensando al successivo Secondo terribile conflitto nel cuore dell'Europa provocato dal disegno hitleriano di distruzione e di dominio, non posso naturalmente omettere un doloroso richiamo alla macchia che nella storia delle relazioni tra i nostri due paesi fu segnata, nel giugno del 1940, per decisione di Mussolini, dall' "aggressione brigantesca della Francia sconfitta", come scrisse con parole di sdegno il grande intellettuale antifascista Benedetto Croce, facendovi seguire parole di amore per quella Francia "che era tanta parte della nostra vita, non solo civile ma personale".
Il riscatto dell'onore d'Italia dall'onta della guerra fascista, destinata a concludersi con il crollo della dittatura e la sconfitta militare, venne ad opera della Resistenza, della guerra di Liberazione condotta al fianco dell'alleanza antinazista.
Con la Repubblica e la Costituzione l'Italia non solo rifondò la sua libertà e indipendenza e si diede un assetto democratico, ma scelse di orientarsi verso una nuova prospettiva di unità europea. Nel marzo 1947 l'Assemblea Costituente inserì nell'articolo 11 della nostra Carta fondamentale la previsione che l'Italia consentisse - leggo - "in condizioni di parità con altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni".
E fu proprio quello l'approccio fondamentale che caratterizzò il grande disegno di una Federazione europea tracciato da Robert Schuman con la Dichiarazione del 9 maggio 1950 e quindi l'invenzione comunitaria di Jean Monnet, tradottasi nell'aprile del 1951 nel Trattato istitutivo della Comunità del Carbone e dell'Acciaio, prima tappa della costruzione europea. Il principio della delega di sovranità segnava la differenza rispetto a ogni tradizionale semplice cooperazione nell'ambito di organizzazioni internazionali. Si trattava, secondo le parole di Monnet, di suscitare tra gli europei "il più vasto interesse comune gestito da istituzioni comuni democratiche cui è delegata la sovranità necessaria".
Ebbene, non altro è ancor oggi l'asse attorno a cui ruota il confronto sulle scelte da compiere per rafforzare l'unità e il ruolo dell'Europa. Andare avanti sulla via dell'integrazione secondo lo spirito comunitario delle origini, o mettere in questione i traguardi già raggiunti - innanzitutto quello dell'Euro, dell'unificazione monetaria - e ripiegare su posizioni di difesa anacronistica di interessi e prerogative nazionali, se non su chiusure dettate da egoismi e da illusioni di autosufficienza di taluni Stati membri? La risposta non può essere dubbia.
Noi tutti sappiamo che la scelta dell'integrazione si impose negli anni '50 alle leadership più lungimiranti dell'Europa occidentale come necessità politica per chiudere col passato, con i distruttivi antagonismi nazionali della prima metà del '900, per riconciliare nella libertà e nella pace innanzitutto Francia e Germania. Ma oggi - Signor Presidente, Signori Deputati - procedere decisamente verso una più stretta integrazione economica e politica, è divenuto un imperativo cui non si può sfuggire se si vuole riaffermare, in termini nuovi, il ruolo e l'avvenire del nostro Continente in un mondo profondamente cambiato dal processo di globalizzazione e dallo spostarsi lontano dall'Europa del baricentro dello sviluppo mondiale e delle relazioni internazionali. Nessuno anche tra i più popolosi, ricchi e forti Stati dell'Unione può da solo scongiurare il rischio del declino e dell'irrilevanza.
Ci deve unire il senso nuovo della nostra missione comune : far vivere, come europei, di fronte a una globalizzazione sregolata che potrebbe sommergerci, la nostra identità, il nostro esempio di integrazione e unità, il nostro modello di sviluppo, in definitiva l'insopprimibile peculiarità del nostro apporto allo sviluppo della civiltà mondiale. Mettere insieme le forze dell'Europa finalmente riunificatasi nella democrazia è essenziale anche per poter concorrere a determinare la dinamica e le regole della globalizzazione.
Impegniamoci insieme in una grande opera di chiarificazione, contro vecchi e nuovi fraintendimenti e luoghi communi. Possiamo farlo con le parole di Lucien Febvre che al Collège de France nel suo Corso di lezioni del 1944-45 sul tema della "genèse d'une civilisation" pose in questi termini una questione essenziale, che ritorna ancor oggi : "L'unité européenne n'est pas l'uniformité : dans l'histoire de l'Europe, le chapitre des dissemblances reste aussi important que celui des ressemblances". O possiamo dirlo con le parole dell'ultimo discorso di un grande europeista, François Mitterrand, al Parlamento di Strasburgo: "Elles sont riches et diverses, les expressions de notre génie protéiforme ... L'Europe des cultures c'est l'Europe des nations contre celle des nationalismes".
E uno studioso, protagonista tra i maggiori del dibattito attuale, Zygmunt Bauman, ha scritto di recente : "La casa europea offre una sorta di tetto comune a tradizioni, valori, differenze molteplici. Ogni singolo Paese è molto più a rischio di perdere la sua identità specifica, se si espone senza protezione, senza lo scudo europeo, alle pressioni globali".
Rafforziamo allora questo scudo. Reagiamo - più di quanto non si sia fatto negli ultimi anni in tutti i nostri paesi - a false rappresentazioni del progetto europeo. Abbiamo bisogno di più unità e di più integrazione, nel rispetto di diversità che sono la nostra ricchezza.
Più unità e più integrazione. Vediamo come. Innanzitutto, recuperando e attualizzando tutte le componenti della visione in cui ci siamo riconosciuti. Rafforzando e rispettando, certo, regole e istituzioni comuni, ma non trascurando quella componente irrinunciabile della costruzione europea, che è il principio di solidarietà. Negli ultimi anni, fronteggiando la crisi dell'Euro, quel principio si è venuto oscurando : ma esso è parte integrante di una visione indivisibile.
Il rafforzamento delle regole e delle istituzioni comuni è indispensabile, e vi si sta giustamente dedicando il massimo impegno, direi peraltro con un così intenso moltiplicarsi di misure e di formule, espresse in un linguaggio per iniziati, che la semplicità e la comprensibilità della trama e del percorso ne soffrono visibilmente. Nel merito, si tratta di completare il disegno rimasto incompiuto dell'Unione Economica e Monetaria, essendo il primo dei due termini rimasto sulla carta e richiedendo oggi una ben più ricca strumentazione ed efficacia decisionale. Di qui le decisioni che sono state prese via via dalle istituzioni europee, e che tendono a sfociare in un'Unione di bilancio e in un'Unione Bancaria. Ne ha segnato un passaggio nodale, come si sa, un Accordo sui generis, sottoscritto da 25 dei 27 Stati membri e ora sottoposto a ratifica : e osservo a questo proposito che non può mancare in noi la consapevolezza di indubbie esigenze di chiarimento e consolidamento nel prossimo futuro della fisionomia giuridica e costituzionale dell'Unione, nel suo nuovo necessario evolversi.
Due mi sembrano su tale terreno i temi cruciali da considerare. Da un lato quello delle possibili forme di differenziazione del processo di unione e integrazione. E il tema certo non è nuovo : esso è stato oggetto di discussione a più riprese, a partire da quando all'indomani della caduta del muro di Berlino si cominciò a ragionare su approfondimento e allargamento del disegno comunitario. Un punto fermo si è posto in anni più recenti nei Trattati - a mano a mano che cresceva il numero degli Stati membri - con la previsione di cooperazioni rafforzate, in qualche modo sperimentate con il passaggio alla moneta unica. Ma la questione di possibili diversificazioni nell'ulteriore sviluppo del processo di integrazione resta da esplorare ancora pienamente.
Inutile dire che ciò non ha nulla a che vedere con la futile e fuorviante contrapposizione tra un'Europa del Nord (o baltica?) e un'Europa del Sud (o mediterranea), la prima magari designata come deposito di virtù e la seconda come recinto di vizi.
Ma vengo all'altro tema cruciale : quello di una ben più forte legittimazione democratica del processo decisionale europeo e della vita dell'Unione. E i capitoli da affrontare sono diversi : da quello - a voi, Signori deputati, certamente ben presente - di un rapporto di più forte cooperazione tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, a quello che mi è sembrato di poter chiamare della "europeizzazione" della politica, dei partiti politici, i cui primi segni ci si dovrebbe sforzare di dare anche in occasione delle elezioni europee del 2014.
La crisi di funzionalità e di consenso che ha investito il progetto europeo, specie per contraccolpo della crisi finanziaria ed economica globale nata fuori dell'Europa, va senza dubbio posta in relazione sia - come ho detto - con l'incompiutezza del processo di approfondimento dell'integrazione suggerito dal Trattato di Maastricht, sia con un sempre più insufficiente e faticoso coinvolgimento dei cittadini, con un grave indebolimento della fiducia reciproca e della volontà politica comune.
Ma non c'è dubbio che la crisi di consenso che scontiamo sia in notevole misura riflesso della crisi del processo di sviluppo e progresso economico e sociale garantito per decenni dalla Comunità e dall'Unione Europea. E mentre siamo impegnati - correggendo rigorosamente errori politici e comportamenti collettivi generatori di gravi distorsioni - a rafforzare la sostenibilità finanziaria delle nostre politiche di sviluppo, liberandole dal peso di indebitamenti non più ammissibili, dobbiamo senza indugio aprire e percorrere la strada di un rilancio della crescita e dell'occupazione in Europa. Non si possono a questo riguardo giustificare tergiversazioni e resistenze passive.
Su questa linea di marcia si sono incontrate le posizioni di governo dei nostri due paesi, all'indomani dei cambiamenti intervenuti nelle rispettive situazioni. Un incontro non sorprendente - Signor Presidente, Signori deputati - perché tutto quel che ha legato nella storia, nella cultura, nelle relazioni umane, l'Italia e la Francia è nel modo più alto e limpido confluito nel crogiuolo della costruzione europea. E' in quel crogiuolo che si sono bruciate le scorie delle drammatiche alterne vicende attraversate fino al 1945 da ciascuno dei nostri due paesi e dalle relazioni tra loro. Ed è lì che sono emersi, consolidati e sempre di più condivisi - diventando principi dell'Unione Europea - i valori di libertà, dignità umana, uguaglianza, tolleranza scaturiti dalle più avanzate correnti di pensiero e lotte di popolo storicamente espresse dalla Francia e dall'Italia a partire dal XVIII secolo.
Sulle nuove basi di ricongiungimento unitario offerte dalla costruzione europea, Italia e Francia, insieme con la Germania e gli altri paesi fondatori, hanno a lungo operato in sostanziale sinergia. E tra le tappe più significative di questo impegno comune vorrei menzionare il momento successivo all'approvazione (nel 1984, da parte del Parlamento europeo) del progetto di Unione promosso da Altiero Spinelli : che fu un alto momento di comprensione reciproca e di dialogo tra l'ideatore del Manifesto di Ventotene "Per un'Europa libera e unita" e il Presidente Mitterrand.
Questo retroterra di comune, solidale impegno dei paesi promotori del processo di integrazione europea, ha rischiato di incrinarsi negli scorsi anni. Le conseguenze sarebbero state fatali. Bisogna ritrovare, e confido si stia ritrovando la strada di una decisiva nuova convergenza di intenti e di posizioni.
Ciascuno deve fare la sua parte perché l'Europa, e il progetto di unità europea, escano dalla crisi. L'Italia si sta assumendo le sue responsabilità, con quella aperta consapevolezza delle criticità della storia e della realtà del nostro paese, che ha accompagnato - nel celebrare il 150° anniversario della nascita dello Stato unitario - l'orgoglio dei progressi conseguiti e il rifiuto di facili cliché negativi sull'Italia. Stiamo - con un vasto concorso di forze politiche in Parlamento - tracciando e seguendo un severo percorso di risanamento e cambiamento, e stiamo al tempo stesso sollecitando e stimolando una svolta verso una nuova prospettiva di crescita e sviluppo in Europa. E qui si stanno incontrando, come dicevo, in operosa collaborazione le nostre azioni di governo.
Signor Presidente, Signori deputati, si è aperta una nuova fase nelle relazioni tra Italia e Francia. E' nostro dovere operare per coltivare e far crescere questo seme prezioso. Prezioso per noi, prezioso per l'Europa.
Parigi 21/11/2012