Palazzo del Quirinale 17/12/2008

Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'incontro con le Alte Magistrature della Repubblica

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
ALL'INCONTRO CON LE ALTE MAGISTRATURE DELLA REPUBBLICA

Quirinale, 17 dicembre 2008

La ringrazio vivamente, signor Presidente del Senato, per aver accompagnato le sue puntuali riflessioni con calorose espressioni di apprezzamento e di augurio nei miei confronti. Lei sa quale considerazione io abbia per il ruolo del Parlamento e dei Presidenti delle Camere.
Ringrazio al tempo stesso voi tutti - signor Presidente della Camera dei Deputati, signor Presidente della Corte Costituzionale, autorità, onorevoli parlamentari - per la vostra partecipazione, in così vasta rappresentanza del mondo delle istituzioni e della politica, a questo tradizionale incontro di fine anno.
Il 2008 è stato attraversato in Italia da crisi politiche e nuove elezioni generali, cui è conseguito un netto cambiamento di maggioranza parlamentare, e quindi l'immediato avvio di un'intensa attività di governo, nonché, ben presto, il riproporsi di rilevanti problemi di carattere istituzionale.
Ma l'evento che ha finito per imporsi su ogni altro, nella seconda metà dell'anno, è stato l'esplodere di una crisi finanziaria globale di eccezionale portata e gravità. Dominante è divenuto, anche per l'Italia, il tema del come porvi in qualche modo immediato riparo e del come prepararsi a fronteggiarne le inevitabili ricadute economiche e sociali, puntando su una nuova, coraggiosa visione dei problemi del nostro sviluppo e di un comune futuro mondiale. E' dunque di qui che si deve - io credo - partire oggi, per considerare le sfide e le responsabilità cui sono chiamate le nostre istituzioni democratiche e l'intera collettività nazionale.
In questa riflessione, non possiamo separare gli interrogativi e gli impegni relativi al nostro paese dal ruolo e dalle prospettive dell'Europa di cui siamo parte. Innanzitutto, dal ruolo che l'Unione Europea, anche con l'attivo contributo italiano, ha saputo esercitare nel semestre di presidenza francese, sia dinanzi a improvvise tensioni nei rapporti internazionali, sia dinanzi all'urgere di risposte incisive a un'incalzante crisi finanziaria e infine a nuove esigenze di sostegno dell'economia. Si può discutere sull'adeguatezza delle risposte che sono state concordate e degli strumenti destinati ad assicurarne il necessario coordinamento, ma non c'è dubbio che l'Europa abbia dimostrato una capacità di decisione unitaria e anche di iniziativa e di stimolo in seno alla comunità internazionale, che costituisce motivo di fiducia e punto di riferimento per le scelte cui è chiamata l'Italia.
D'altra parte, le difficoltà che è stato necessario superare per giungere a conclusioni condivise dai 27 Stati membri, e che ancora non sono state risolte sul piano istituzionale con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, debbono spingerci a un forte e coerente impegno per creare le condizioni di un nuovo sviluppo del processo di integrazione europea in senso politico. La necessità storica di tale processo esce più che mai confermata dall'attuale crisi mondiale ed è ora meglio compresa e riconosciuta dai cittadini. Il ripiegare su logiche di mera difesa nazionale e su tentazioni protezionistiche, non salverebbe l'Europa né alcuno dei suoi paesi. Occorre anzi un deciso balzo in avanti dell'Unione Europea come soggetto politico rafforzandone la capacità di presenza e intervento nella concertazione mondiale che si sta delineando.
In questa prospettiva, il nostro paese deve fare con lucida consapevolezza i conti con sé stesso, non sottovalutando l'impatto che la crisi globale può avere specificamente sulla realtà italiana, individuando le maggiori debolezze da superare e i punti di forza su cui far leva. Preoccupano noi tutti i fenomeni di recessione, e i rischi di arretramento cui è esposta anche da noi l'attività produttiva e insieme con essa l'occupazione, specie tra i giovani e nelle sue componenti più precarie. Ci preoccupano i rischi di un diffuso malessere sociale, per le condizioni difficili delle famiglie a più basso reddito, talvolta ai limiti della povertà. Fenomeni, tutti, che tendono a risultare particolarmente pesanti per una parte del nostro paese, per le regioni del Mezzogiorno e segnatamente per alcune di esse. Lo ha appena rilevato anche il Commissario europeo per la politica regionale nella sua recente missione in Italia.
La consapevolezza delle criticità che presenta la situazione italiana dinanzi ai possibili svolgimenti ed effetti di una crisi finanziaria mondiale che sta attraversando i continenti e investendo in particolare economie come quella americana e quella europea, non giustifica reazioni di paura, di scoramento e di rassegnazione. Si sono negli ultimi tempi comprensibilmente richiamate da più parti le parole del Presidente Roosevelt, che si insediò alla Casa Bianca nel pieno della Grande Depressione seguita al crollo del sistema finanziario. Parole essenziali e forti: "l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa, quel timore senza nome, irragionevole, ingiustificato che paralizza gli sforzi necessari per convertire una ritirata in avanzata". Per reagire a ogni fatale sentimento di paura, è peraltro essenziale - volle premettere lo stesso Presidente - "dire la verità, tutta la verità, con franchezza e coraggio", guardando in faccia alle condizioni e ai problemi del paese.
Ebbene, in una situazione pure storicamente diversa qual è quella del mondo d'oggi, l'atteggiamento di quanti hanno compiti di guida non può che essere lo stesso. In questo senso, dinanzi alle sfide che si pongono all'Europa e all'Italia, occorre una nuova, decisa comune assunzione di responsabilità.
Responsabilità nell'individuare e rendere possibile quel che tocca alla politica e allo Stato decidere e fare, e al tempo stesso nel suscitare la più ampia, indispensabile mobilitazione collettiva.
Se è vero - secondo un giudizio che appare condiviso - che la crisi mondiale deve attribuirsi a colpe gravi della politica e dei regolatori, per l'essere prevalsa una fiducia cieca nell'efficienza dei mercati e nella loro capacità di autoregolarsi, compete ora alla politica e alle istituzioni pubbliche intervenire fornendo stimoli, definendo e facendo rispettare regole, che possano aprire la strada a nuove dinamiche di mercato e prospettive di crescita.
E ciò richiede in Italia che, sciogliendosi antichi nodi, si compia un balzo in avanti nell'efficacia e nella qualità dell'operato di nostre fondamentali istituzioni. Ho toccato poc'anzi il tema del Mezzogiorno : rispetto al quale urge una strategia dell'attenzione, una provvista di risorse, una visione e azione di governo al livello nazionale, in virtuosa sinergia con l'Unione Europea, ma anche, e non meno, il superamento di gravi inefficienze e distorsioni nel modo di operare delle istituzioni regionali e locali nel Mezzogiorno.
D'altronde un costume di severità, uno sforzo senza precedenti di gestione corretta ed oculata si impone in molti campi dell'azione pubblica. Sono ben presenti a noi tutti quei grandi comparti di presenza dello Stato - a cominciare dalla ricerca e dalla formazione - che andrebbero riconosciuti come prioritari per superare ritardi e limiti seri sul piano di una piena valorizzazione sia delle nostre risorse umane, sia delle nostre energie imprenditoriali già proiettatesi in significativi processi di ristrutturazione e internazionalizzazione. Ma in ciascuno di questi campi, di cui si riconosca l'importanza primaria, le condizioni del bilancio dello Stato, e del debito che pesa su di esso, richiedono il massimo rigore nell'uso del danaro pubblico e sollecitano interventi - che non possono essere elusi - di razionalizzazione e di riforma.
E' in questa prospettiva che vanno oggi visti e affrontati problemi, pure non nuovi, di ruolo e di efficacia delle nostre istituzioni. In primo luogo, il Parlamento : perché nei sistemi democratici di maggiore tradizione e solidità, anche se guidati da forme di governo diverse da quella disegnata per l'Italia dalla Costituzione repubblicana, il Parlamento continua ad assolvere un ruolo insostituibile. Si guardi a come in questo momento appaia essenziale nel processo di formazione delle decisioni negli Stati Uniti colpiti dalla crisi, l'ascolto del Congresso, la ricerca del consenso nel Congresso.
Da noi, molto si deve ancora fare per accrescere la produttività del Parlamento, per rendere più spedito e sicuro il cammino legislativo, per rispettare il diritto-dovere della maggioranza di governare. Ma ciò non comporta e non deve sancire una mortificazione del ruolo del Parlamento. E' quello il luogo in cui vanno confrontate analisi obbiettive delle situazioni su cui intervenire, e libere valutazioni delle possibili scelte da compiere ; il luogo in cui vanno consultate le rappresentanze politiche, di maggioranza e di opposizione, preparate e infine adottate le decisioni. Può scaturire da ciò una legislazione meno pletorica e dispersiva, e di migliore qualità, del che c'è grande bisogno. E può scaturire una piena affermazione del Parlamento sia come legislatore sia nelle sue funzioni di indirizzo e di controllo, e, come altrove si è sancito, di valutazione costante delle politiche pubbliche.
I lavori parlamentari appaiono spesso condizionati da un sovraccarico legislativo, in un clima di concitazione e talvolta di vera e propria congestione. L'urgenza si deve combinare con un realistico ordine di priorità dei provvedimenti da condurre al voto finale, a garanzia della necessaria ponderazione e del normale diritto di emendare le proposte del governo. Va così rispettato effettivamente il ruolo dell'opposizione, essenziale in ogni sistema democratico, ma più in generale il ruolo del Parlamento nel suo insieme.
E non posso non tornare a questo proposito sul punto dolente della decretazione d'urgenza. Per quanto si tratti di provvedimenti straordinari che il governo adotta sotto la sua responsabilità, il Presidente della Repubblica e i Presidenti delle Camere non possono esimersi dal sollevare i problemi, costituzionalmente sensibili, che derivano sia da un'abnorme frequenza del ricorso a decreti, sia dall'eterogeneità che essi spesso presentano nei loro contenuti e che è poi aggravata dalla pratica di emendamenti estranei alla materia e chiaramente strumentali.
I Presidenti delle Camere sono invece già impegnati, e di ciò li ringrazio, in un serio sforzo - a cui le forze dell'opposizione non possono sottrarsi - per garantire un più intenso e ricco contributo dei membri del Parlamento all'attività delle Commissioni e delle Assemblee ; un serio sforzo per assicurare comportamenti che facilitino e non ostruiscano lo svolgimento in tempi ragionevoli e certi del processo legislativo, ed anche per adottare le opportune modifiche dei Regolamenti parlamentari.
Inutile dire come queste esigenze assumano particolare rilievo in riferimento alle leggi finanziaria e di bilancio e all'iter della loro discussione e approvazione in Parlamento, restando aperta e urgente la necessità di una nuova disciplina in questa materia, al di là dell'eccezionale procedura urgente adottata quest'anno fin dall'estate.
Su modifiche dei Regolamenti parlamentari si è appena avviata una discussione che mi auguro possa procedere e concludersi nel rispetto delle diverse esigenze da contemperare. Naturalmente, le modifiche non possono che essere strettamente funzionali all'obbiettivo di un più efficace sviluppo dell'attività parlamentare, senza sovrapporvi impropriamente finalità di correzione degli equilibri costituzionali.
E dunque, è da affrontare distintamente la possibile revisione di specifiche norme della Costituzione del 1948, "non più rispondenti - ebbi a dire - ad esigenze di corretta ed efficace articolazione dei poteri nel sistema delle istituzioni repubblicane". Direi che tale revisione appare ancor più opportuna dinanzi ad alterazioni di fatto dell'assetto rimasto vigente, in particolare per quel che riguarda la forma di governo.
Abbiamo celebrato nel corso di quest'anno il sessantesimo della Costituzione repubblicana, con numerose e varie iniziative, promosse da molteplici soggetti pubblici, e rivolte in special modo ai giovani, ai ragazzi delle scuole ; ne ho tratto conforto nel ritenere che in quei principi e valori, in quei diritti e doveri si riconosca davvero "la base del nostro stare insieme", come dissi in Parlamento nel primo discorso celebrativo. Da allora, son venuto ribadendo, nelle più diverse occasioni, il mio convincimento che la Carta del '48 non possa considerarsi, e in effetti non sia "mai stata considerata un tutto intoccabile". Diecine di suoi articoli sono stati d'altronde già modificati in questi decenni, anche se non hanno avuto successo tentativi di riforma complessiva, essenzialmente della seconda parte della Costituzione.
La permanente validità dei "Principi fondamentali" - racchiusi in quei primi 12 articoli che "scolpirono il volto della Repubblica" - non impedisce di formulare essenziali e ben determinate proposte di riforma dell'ordinamento repubblicano, come quelle che verso la fine della passata legislatura furono delineate a larga maggioranza nella Commissione parlamentare competente. Né può destare meraviglia il mio rinnovato auspicio che quel cammino venga ripreso in un clima di costruttivo confronto e nella ricerca della più ampia condivisione, come sempre si conviene quando si tratti di modificare la Costituzione o di darvi attuazione.
La riflessione sullo stato delle nostre istituzioni e sull'esigenza di porle meglio in grado di affrontare le dure difficoltà e le più impegnative sfide che ci attendono, non può ovviamente toccare solo il Parlamento. Vorrei, così, dedicare una parola a istituti la cui importanza emerge ancor più nella crisi che si è aperta : parlo di quelle autorità indipendenti, con funzioni di regolazione e di garanzia, di cui va rafforzato e non indebolito il ruolo, e l'autonomo profilo.
Grande attenzione va poi data all'ordinamento dei poteri locali, che esige una chiarificazione e semplificazione, da tempo invocata, per superare sovrapposizioni dannose di competenze e di canali di spesa, per realizzare in modo efficiente un conseguente sviluppo del sistema delle autonomie secondo principi presenti nella Costituzione. E un'importante occasione è data dalla discussione della legge sul federalismo fiscale, ovvero sull'attuazione dell'art. 119 della Carta : anche a questo riguardo non può certo destare meraviglia la mia insistenza sulla ricerca - che appare già ben avviata - di soluzioni condivise, per fare di questa innovazione un fattore durevole di accresciuta efficienza dello Stato e di rinnovata unità nazionale.
E vengo al tema della riforma della giustizia, cioè di un'istituzione e di un'amministrazione fondamentali per il servizio da rendere ai diritti e alla sicurezza dei cittadini, e per l'efficienza di uno Stato fondato sull'imperio della legge. La lotta contro la criminalità, e soprattutto il crimine organizzato, contro la corruzione e ogni sorta di illegalità, richiede un impegno incessante come quello di cui va dato atto alle forze dell'ordine e alla magistratura, meglio definendone però i rispettivi ruoli e le necessarie sinergie. Gravissima è la condizione della giustizia civile, i cui tempi appaiono incompatibili con una economia avanzata, che viene in Italia ormai frenata nel suo dinamismo, più che mai prezioso invece in una fase critica come quella attuale. In generale, unanime è il riconoscimento dell'esigenza di intervenire decisamente sull'abnorme, intollerabile durata dei processi : non manca in tal senso l'impegno del governo e del Parlamento.
Ma si pongono con urgenza anche problemi di equilibrio istituzionale, nei rapporti tra politica e giustizia, ed esigenze di misure di riforma, volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell'esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente. Misure di riforma che riguardino anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio Superiore della Magistratura dalla Carta costituzionale. Misure, nello stesso tempo, di fermo richiamo a criteri di comportamento come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici, o come quelli relativi ai limiti da osservare - e troppo spesso violati - nella motivazione dei provvedimenti giudiziari, o più semplicemente quelli attinenti a un costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all'assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale. Si tratta di aspetti più volte toccati e sviluppati dinanzi al CSM, ed emersi clamorosamente nel recentissimo scontro tra due Procure della Repubblica, con un vero e proprio "cortocircuito istituzionale e giudiziario", a cui ho sentito il dovere di reagire intervenendo nella mia qualità di Capo dello Stato, senza alcuna propensione a improprie invadenze.
Sono in giuoco, al di là dei singoli casi, essenziali norme di condotta, di cui garantire il rispetto : se ne stanno mostrando consapevoli sia il CSM e il vertice dell'ordine giudiziario, attraverso un severo e tempestivo esercizio dei loro poteri, sia la stessa rappresentanza unitaria dei magistrati come indica la sua recente energica risoluzione.
Si discuta dunque di tutto ciò in Parlamento e attraverso ogni altro utile canale di consultazione, e si cerchino, anche qui, soluzioni condivise, senza partire da opposte pregiudiziali e posizioni rigidamente precostituite. La politica della giustizia è materia controversa e scottante : ma non si riuscì forse nel 1999 perfino a portare avanti, giungendosi a una votazione finale a schiacciante maggioranza, l'elaborazione del nuovo articolo 111 della Costituzione che ha definito i principi del "giusto processo"?
Autorità, signore e signori,
sono gli eventi stessi, la complessità dei problemi e delle sfide che l'Italia ha di fronte a sé, l'evidente e pressante interesse generale, che esigono più pacati dibattiti, disponibilità ben maggiori di quelle che comunque - e ne prendo atto con piacere - si stanno manifestando, all'incontro e alla convergenza su questioni di assoluta rilevanza per il prossimo futuro.
D'altronde, dove potrebbe mai condurre un'ulteriore esasperazione dei rapporti tra le forze politiche, la perdita del senso della misura nei giudizi sui fatti e sulle persone, del senso del limite nella polemica tra le opposte coalizioni e perfino nel linguaggio corrente, le tendenze all'autosufficienza, così come le diffidenze o i timori che producono arroccamento e rifiuto, le infinite contestazioni reciproche della colpa della non collaborazione? Sono convinto che sia diffusa e comune l'aspirazione a una maggiore serenità, in luogo di un clima dominato da troppe tensioni.
Vorrei che tutti - ciascuno in ragione delle proprie responsabilità pubbliche - ascoltassero non l'appello del Capo dello Stato, che comunque oggi si risparmia di ripeterlo, ma quel che si attende il paese perché sa di averne bisogno. Occorre che dalla politica e dalle istituzioni venga in questo modo un impulso capace di suscitare fiducia e coesione sociale, di sollecitare quella vitale reazione alla crisi e quella rinnovata spinta in avanti che la nazione italiana è in grado di sprigionare come in altre fasi critiche della sua storia. Prepariamoci con questo spirito all'anno che sta per avere inizio.