Lussemburgo 04/02/2009

Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, davanti alla Corte di Giustizia

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
DAVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

Lussemburgo, 4 febbraio 2009

Signor Presidente,
Signori Giudici e Avvocati Generali,
ci unisce, come italiani, a questa Corte una sensibilità, una visione, un impegno comune, ieri e oggi. E' la visione dei padri fondatori dell'Europa comunitaria che ci siamo impegnati - paesi come l'Italia e, nel suo ambito e in piena indipendenza, la Corte di Giustizia - a perseguire con coerenza, negli sviluppi che si sono via via resi necessari e nelle prospettive nuove che si sono aperte.
Colgo quindi l'occasione di una visita che ho inteso innanzitutto come omaggio a una grande istituzione europea, per svolgere qualche riflessione sullo stato dell'Unione, sui dilemmi dinanzi a cui si trova, sul ruolo che in tale contesto la Corte di Giustizia è chiamata a svolgere in continuità con una tradizione che le ha guadagnato prestigio e rispetto, in continuità con le sue esperienze più significative. E mi si consentirà di richiamare in qualche punto il contributo degli italiani e dell'Italia.
Fin dal momento in cui si delineò il progetto di un nuovo europeismo, all'indomani di quella vera e propria dichiarazione d'intenti e di volontà che è rimasta legata al nome di Robert Schuman, si levò a Roma, dal Parlamento, anche se in un clima di acceso scontro politico, la voce del consenso e dell'auspicio per "la costruzione di un primo nucleo federale tra i paesi continentali democratici dell'Europa occidentale". E nel dicembre 1951 fu per iniziativa di Alcide De Gasperi che venne postulata nel disegno di Trattato per una Comunità europea di Difesa la creazione di istituzioni politiche comuni e innanzitutto di un'Assemblea rappresentativa eletta a suffragio universale. Alla formulazione di quella norma concorse personalmente Altiero Spinelli.
Non stupisca questo mio richiamo alle origini. Da un lato intendo così sottolineare come l'Italia fu parte integrante dell'avvio della costruzione europea, la cui linea ispiratrice sostenne da allora, per decenni, con determinazione e coerenza, sulla base di una crescente condivisione in Parlamento. E nello stesso tempo considero essenziale un richiamo a quella visione originaria, perché essa costituisce la bussola da non smarrire nella fase complessa, incerta e altamente impegnativa che l'Unione europea sta attraversando.
Parlo di una visione che andava al di là di ogni tradizionale esperienza di alleanza e cooperazione tra Stati sovrani, postulando una "parziale fusione di sovranità", al servizio dell'interesse comune europeo e attraverso istituzioni nuove anche di carattere sovranazionale.
Era quel che avevano intuito uomini lungimiranti che nel redigere, tra il 1946 e il 1947, la Costituzione italiana introdussero la previsione di un consenso, "in condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni". Questo divenne, anni dopo, precisamente l'ordinamento comunitario per l'Europa : e quell'articolo 11 della Costituzione avrebbe permesso all'Italia democratica di parteciparvi a pieno titolo nel lungo periodo.
Fu in effetti a un vero e proprio processo di integrazione, su basi democratiche, senza precedenti nella storia europea, che si intese dar luogo, da parte di sei grandi e piccoli Stati, nel 1950-51.
Quella scelta venne poi messa in questione in seno alla stessa Comunità a sei, che pure era riuscita a superare la crisi del fallimento della CED e a rilanciarsi vigorosamente con la Conferenza di Messina e i Trattati di Roma : venne messa in questione con l'avvento in Francia del generale De Gaulle, con il suo attaccamento all'idea di una "Europa degli Stati" e con la crisi della "sedia vuota". Con i successivi allargamenti della Comunità, a cominciare da quello che sancì l'adesione del Regno Unito, riserve di fondo rispetto alla logica e al conseguente sviluppo di un processo d'integrazione sarebbero tornate a farsi sentire e a pesare sul cammino dell'unità europea.
Tuttavia, grazie all'impulso dell'Atto unico del 1986 quel cammino si è fatto via via più sicuro ; e si può ben affermare che a partire dal Trattato di Maastricht si sono realizzati sostanziali approfondimenti, col passaggio dalla Comunità all'Unione, tanto da poter farci dire che il processo d'integrazione europea è entrato da allora in uno stadio avanzato.
Questo hanno significato innanzitutto la nascita della moneta unica - a coronamento della lunga e laboriosa impresa della costruzione del mercato interno - e la creazione di una nuova istituzione sovranazionale come la Banca Centrale Europea, che segnò la rinuncia alla sovranità monetaria da parte degli Stati membri. E di grande significato è stato nello stesso tempo anche l'aprirsi dei cantieri della politica estera e di sicurezza comune e della cooperazione negli affari interni e di giustizia : pur frenandosi la comunitarizzazione di questi nuovi settori, intesi come distinti "pilastri", si fecero passi decisivi nella prospettiva di una Unione politica. Così come di indubbio valore nello stesso senso è stato il graduale, rilevante accrescimento dei poteri del Parlamento europeo eletto a suffragio universale, altra grande istituzione di tipo sovranazionale.
Quella dell'integrazione europea è stata dunque, nell'arco di oltre cinquant'anni, una strada faticosa, non lineare, fatta di alti e bassi, nel corso della quale l'autorità più importante "inventata" al fine di segnare un nuovo inizio per l'Europa, e cioè la Commissione di Bruxelles, è passata attraverso periodi di più forte iniziativa e di più ampio riconoscimento e periodi meno brillanti, di minore incisività e di maggiore difficoltà rispetto a ricorrenti contestazioni.
Si può ben dire che la Corte di Giustizia è stata l'istituzione che più di ogni altra ha tenuto fermo il timone della visione originaria della costruzione europea e ne ha garantito il graduale, deciso progredire.
Come ha di recente detto, parlando a Parma, Jacques Delors "l'Europa di Robert Schuman non sarebbe stata possibile senza la giurisprudenza". E' il diritto, è la giurisprudenza - egli ha sottolineato - che ha posto su basi nuove - pacifiche, di reciproca comprensione, di rispetto di regole comuni - i rapporti tra gli Stati riconosciutisi nel progetto europeo. E' "il diritto che deve restare alle fondamenta della costruzione europea".
Nel dibattito pubblico sulle vicende dell'Europa unita, e anche nelle analisi più attente, questo ruolo della Corte di Lussemburgo, della giurisprudenza che essa ha via via sapientemente espresso, non è stato e non è sufficientemente compreso e valorizzato. Eppure, per comprenderlo basta pensare a come questa giurisprudenza abbia concorso alla formazione del diritto vivente, interpretando i Trattati, presiedendo alla loro attuazione, anticipandone gli sviluppi impliciti e possibili, costruendo il sistema giuridico comunitario, definendo le pietre angolari dell'Europa unita come comunità di diritto. Basta pensare ai principi-chiave che essa ha sancito - il primato del diritto comunitario e la sua efficacia diretta : che ha sancito in particolare con le decisive sentenze del 1963 e '64, cui contribuì - mi piace ricordarlo - in modo incisivo, per convinzione e per dottrina, l'italiano Alberto Trabucchi. Ed egualmente, dovrebbe essere ben presente il ruolo della giurisprudenza affermatasi in questa Corte nel garantire la tutela, al più alto livello e con mezzi adeguati, dei diritti dei cittadini, dei diritti che nello svolgimento delle sue premesse il diritto comunitario andava riconoscendo.
Quel che va anche sottolineato è come l'antitesi, così spesso riproposta polemicamente nel dibattito esterno e interno all'Unione, tra principi, poteri, modi di operare delle istituzioni europee sovranazionali da un lato e degli Stati nazionali dall'altro sia stata superata e smentita dall'esempio della Corte del Lussemburgo, dalle sue decisioni, dai suoi atteggiamenti. Si è infatti puntato sull'osmosi e sull'integrazione fra tradizioni e ordinamenti giuridici ; si è puntato sul dialogo, sulla sinergia tra il giudice comunitario e il giudice nazionale, e un punto di congiunzione essenziale è stato posto nel meccanismo del rinvio pregiudiziale da parte del giudice ordinario e amministrativo degli Stati membri al pronunciamento, per competenza, della Corte di giustizia dell'Unione. E a conferma della sensibilità e capacità di scelta europeistica dell'Italia, vale la pena di citare la decisione recente con cui la stessa nostra Corte Costituzionale ha operato - per la prima volta - il rinvio pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo di questioni relative all'interpretazione dei Trattati.
Il processo di integrazione è stato dunque fortemente sospinto dalla giurisprudenza di questa Corte, e ha - come ho ricordato - raggiunto nell'ultimo quindicennio traguardi importanti : ma si è arrestato alla soglia di una più compiuta, matura costituzionalizzazione. E' la storia della caduta del Trattato costituzionale, scaturito da un confronto durato più di due anni e sottoscritto all'unanimità dai Capi di Stato e di governo dell'Unione, ma bocciato in paesi importanti benché contemplasse norme più rigorose per il rispetto sia delle competenze degli Stati nazionali, sia del principio di sussidiarietà, sia del ruolo dei Parlamenti nazionali. Ed è la storia della travagliata ratifica del pur meno ambizioso Trattato di Lisbona, rimasto ancora nel limbo.
Risultano così fino ad oggi bloccate innovazioni largamente considerate indispensabili - anche se alcune non appaiono convincenti o presentano incognite - per dare coesione all'Unione sul piano dei valori, dei principi, delle regole, dopo il grande allargamento a 27 Stati membri ; e non meno indispensabili per rafforzare le istituzioni europee, la loro capacità progettuale, decisionale e operativa.
Il paradosso sta nel fatto che mai come nel mondo d'oggi, quale ci si presenta con le sue complessità, le sue sfide e le sue crisi - incombente e dominante in questo momento una profonda crisi finanziaria ed economica - l'Europa può giocare un ruolo peculiare, e non dovrebbe esitare e tardare ad attrezzarsi per poterlo esercitare. Dovrebbe sentire piuttosto l'orgoglio di veder riconosciute nell'attuale momento di crisi mondiale le qualità di quel suo modello di sicurezza e solidarietà sociale, contro cui era diventato di moda scagliarsi, nel segno di un certo disprezzo per la "vecchia Europa".
Ma evidenti sono i dilemmi dinanzi a cui l'Unione oggi si trova e che restano da sciogliere.
Compiere il necessario balzo in avanti sulla via dell'integrazione, sulla via dell'unione politica e di una cooperazione guidata dal metodo comunitario, o ripiegare su angusti orizzonti di difesa degli interessi nazionali - difesa velleitaria ma foriera di tensioni e di rischi per l'unità europea - e far ricorso, dinanzi alle sfide del mondo di oggi, a uno sforzo di semplice, e fatalmente inefficace, concertazione tra i governi nazionali dei 27 Stati membri dell'Unione?
Intraprendere la strada, per alcuni aspetti obbligata, dell'integrazione differenziata, o farsi frenare, se non bloccare, dal vincolo del procedere comunque all'unanimità?
E in definitiva, si riuscirà a superare la debolezza di volontà politica che rende incerto il cammino dell'Unione? Si riuscirà ad evitare il riproporsi di vecchie ambiguità e resistenze sulla via dell'integrazione, e a portarci, come europei, all'altezza dell'impegno nuovo a cui la nostra storia e civiltà comune, e l'esperienza di questi decenni, ci chiamano nel rapporto con una realtà mondiale che può altrimenti spingerci ai margini?
Sono dilemmi che spetta alle classi dirigenti, alle istituzioni, ai cittadini dei nostri paesi saper sciogliere. E ancora una volta un apporto prezioso può venire dal mondo del diritto. Un eminente studioso italiano ha in una sua recente opera ricostruito i lineamenti e gli sviluppi, nel succedersi delle diverse fasi storiche, dell'Europa del diritto. E' anche questa Europa che oggi deve sentirsi impegnata nella costruzione - egli ha detto - di "un edificio imponente" : un continente politicamente e giuridicamente unito. Occorre avere il senso del cambiamento in cui siamo immersi : "un nuovo paesaggio giuridico" ancora da definire oltre i confini e gli "idoli" del passato. E dobbiamo avere fiducia nelle forze che possono reggere queste sfide, il peso di quest'opera di costruzione.
Confido che l'Italia farà la sua parte. Sono certo che la faranno gli italiani in questa Corte di giustizia. Il suo primo presidente, cinquantasei anni orsono, fu un italiano, Massimo Pilotti. E tra i molti che ne hanno fatto parte e hanno speso qui la loro passione e il loro sapere, vorrei rendere omaggio in particolare ad alcuni, purtroppo scomparsi, cui sono stato personalmente legato da lunga amicizia e per i quali conservo grande considerazione : Francesco Capotorti, Antonio La Pergola, Federico Mancini.
Vi auguro, signori della Corte, nuovi successi e crescenti riconoscimenti. Nelle Memorie di Jean Monnet, che portano la data del 1976, si possono leggere queste parole :
"Cette institution exemplaire continue à travailler dans le calme à Luxembourg, discrètement et fermement, à l'image des hommes qui s'y succèdent".
Buon lavoro ancora, nella calma di Lussemburgo, nel segno della discrezione e della fermezza.