Palazzo del Quirinale 25/09/2009

Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all'incontro con gli europarlamentari italiani

Un vivo ringraziamento al Ministro Ronchi e all'Onorevole Pittella per il loro contributo, e un cordiale saluto alle autorità, ai rappresentanti del Parlamento oltre che del Governo italiano, al vice Presidente della Commissione Europea, Onorevole Tajani, all'Ambasciatore Nelli Feroci.

Compiacimenti e auguri vivissimi ai neoeletti italiani al Parlamento europeo, ai quali vorrei rivolgermi da vecchio collega.

Entrai a far parte del Parlamento europeo la prima volta vent'anni fa, nel 1989, e la legislatura fu segnata dalla caduta del muro di Berlino, da moti e cambiamenti rivoluzionari nei Paesi dell'Europa centro-orientale (in Polonia ancor prima della caduta del Muro), dall'avvio della riflessione e del confronto sulla necessità di aprire a quei Paesi le porte dell'Unione e nello stesso tempo di approfondire il processo di integrazione.

Fui rieletto al Parlamento di Strasburgo dieci anni dopo, e la legislatura fu segnata dal massimo impegno per la costituzionalizzazione dell'Unione, dai lavori della Convenzione e dall'adozione del Trattato che stabiliva una Costituzione per l'Europa e che venne firmato a Roma nel 2004, e dalla contestuale scelta del "Grande Allargamento" dell'Unione.

Ho da allora continuato e continuo, in altra veste e responsabilità, a sentirmi profondamente impegnato a portare avanti la causa dell'integrazione e dell'unità europea. E, per la verità, ho vissuto questi ultimi anni con crescente preoccupazione: per la crisi del Trattato costituzionale, per il trascinarsi, tra incognite e colpi di coda, della ratifica del Trattato di Lisbona, per l'indebolirsi - di cui si sono avuti ripetuti segni - di una comune visione e volontà politica europea e insieme per il fragilizzarsi del consenso dei cittadini verso il progetto di integrazione e verso le istituzioni dell'Unione.

Queste preoccupazioni permangono anche se è di questi giorni la buona notizia del deposito della ratifica tedesca - con la firma del Presidente Koehler - del Trattato di Lisbona, dopo l'approvazione - da parte del Bundestag e del Bundesrat - di una legge di accompagnamento richiesta dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe, sulla cui sentenza si sono però manifestate significative riserve di parte tedesca per ambigue sollecitazioni e dubbie e rischiose tesi in essa presenti. Sono ugualmente di questi giorni notizie incoraggianti sugli orientamenti dell'elettorato irlandese alla vigilia del secondo referendum sul Trattato di Lisbona - e perciò non voglio adesso considerare l'ipotesi di un eventuale secondo voto negativo e soprattutto su quel che toccherebbe fare in quel caso all'Unione.

Permangono le preoccupazioni, perché non solo sono indifferibili almeno le innovazioni sancite dal Trattato di Lisbona, ma obbiettivamente ineludibile è un balzo in avanti del processo di integrazione. In effetti, l'ultimo anno è stato un anno cruciale perché ci ha dato drammaticamente il senso delle responsabilità dell'Europa, delle prove e delle sfide cui è esposto il ruolo dell'Europa nel mondo d'oggi. In un mondo cioè percorso da cambiamenti radicali nei suoi equilibri, e da ultimo investito da una crisi globale che ha colpito le nostre economie e le nostre società e messo in questione le prospettive del nostro sviluppo.

Ora, a qualunque aspetto si guardi dell'esperienza dell'ultimo anno e della possibile evoluzione del processo di globalizzazione, risulta incontestabile l'esigenza che l'Europa faccia più decisi passi avanti sulla via dell'integrazione, rafforzi la sua capacità di azione comune.

Ma può l'Unione Europea - mi sono chiesto di recente, e lo ripeto - dopo quel che è accaduto, esitare ancora a superare la soglia di persistenti chiusure nazionali e spinte centrifughe? Si pensi, per citare solo un esempio particolarmente scottante, ai limiti che ancora incontra un impegno comune europeo in materia di immigrazione e, su un piano necessariamente distinto, in materia di asilo, garantendo l'inalienabile diritto all'asilo di chi sia costretto a chiederlo. Si tratta, sempre, di esprimere più volontà politica, più disponibilità alla ricerca paziente, nel rispetto reciproco, di validi punti d'incontro.

E, in generale, può l'Unione Europea affrontare il futuro senza darsi una direzione unitaria e degli strumenti validi per esprimere una politica estera e di sicurezza comune? Può l'Europa evitare un fatale declino del suo ruolo in un mondo sempre più diverso da quello del passato, senza riuscire ad esprimersi, a crescere, ad affermare il suo ruolo come entità unitaria?

La risposta da dare, e non solo a mio avviso - vorrei sottolineare come, in questo senso, molto indicativo sia stato un incontro che abbiamo avuto alcuni mesi fa con altri Presidenti "non esecutivi" di Paesi dell'Unione, e a cui ha dato un particolare apporto di determinazione e di convincimento il Presidente tedesco Koehler - è netta: non si può esitare, occorre sciogliere i nodi che si sono venuti via via accumulando.

E penso che questo possa essere l'indirizzo, che questo possa essere l'impegno dell'Italia e della rappresentanza italiana nel Parlamento europeo.

La presenza dell'Italia nel Parlamento di Strasburgo ha sempre rispecchiato la scelta di fondo , per l'integrazione e l'unità europea del nostro Paese a partire dai lontani primi anni '50 dello scorso secolo, che videro l'Italia tra i Paesi fondatori dell'Europa comunitaria. Una scelta portata avanti dal nostro Paese con una coerenza che si può riconoscere - tra i maggiori Paesi fondatori o divenuti successivamente membri della Comunità - solo alla Germania oltre che all'Italia. I nostri due Paesi non hanno mai fatto la politica "della sedia vuota" cara al Generale De Gaulle, né quella delle pretese ostruzionistiche cara alla Signora Thatcher. E l'Italia ha avuto un ruolo di punta sia nel progettare - con Altiero Spinelli - il primo Trattato istitutivo dell'Unione sia nel mettere in moto il processo per la creazione della moneta unica, sia nel sostenere il grande allargamento a 27.

Per andare avanti in questa direzione è decisivo il ruolo del Parlamento europeo, ed è importante il contributo dell'Italia, in generale e nel Parlamento europeo. Lasciatemi dire che bisogna crederci, e spendersi - ciascun eletto a Strasburgo - col massimo di convinzione e dedizione. Ho sempre visto il Parlamento europeo come uno straordinario unicum e un possibile modello nuovo nella storia della democrazia rappresentativa, un'esperienza originale e sempre in movimento, un work in progress che con i nuovi poteri attribuiti al Parlamento europeo dal Trattato di Lisbona sta per varcare non pochi dei limiti finora incontrati.

Vale la pena crederci, e impegnarsi fino in fondo, senza risparmiarsi nell'andare su e giù tra l'Italia, Strasburgo e Bruxelles, e non pensando ad altri obbiettivi e luoghi per il proprio futuro politico. L'autorevolezza e il peso dell'Italia nel Parlamento europeo sono sempre dipesi e dipendono dall'assiduità dei nostri deputati e dalla competenza che via via possono sempre di più acquistare e far valere. Questa volta partiamo anche da notevoli successi - e me ne compiaccio - riportati nella competizione per le vicepresidenze del Parlamento e per le presidenze delle Commissioni.

Penso sia importante anche acquisire il gusto dell'operare nel Parlamento europeo come luogo d'incontro e come Assemblea forte di un suo peculiare modo di essere, su cui non pesano contrapposizioni precostituite e rigide tra i diversi gruppi parlamentari. E fermamente credo che in questo quadro sia possibile il convergere tra i deputati italiani di diverse appartenenze politiche e di diverse affiliazioni ai Gruppi di Strasburgo: il loro convergere sui temi della costruzione europea, che sono l'oggetto esclusivo dell'attività del Parlamento di Strasburgo.

Questo non può essere una cassa di risonanza dei conflitti e delle polemiche politiche che si svolgono nei singoli Paesi e per essi nei singoli Parlamenti nazionali ; né può essere una sorta di istanza d'appello nei confronti di decisioni dei Parlamenti nazionali e di comportamenti dei governi nazionali. Vi sono sedi appropriate in cui possono essere contestate violazioni delle norme dei Trattati: la Corte di Giustizia del Lussemburgo; violazioni dei diritti umani: la Corte di Strasburgo; violazioni, o rischi di violazione, dei valori dell'Unione: il Consiglio Europeo, secondo le procedure sancite nell'Articolo 7 del Trattato di Lisbona.

A voi neoeletti italiani chiedo infine di dedicare i vostri sforzi nel farvi portatori della problematica e della causa europee in Italia, anche in seno ai vostri partiti; nel condividere la vostra esperienza in modo particolare con i parlamentari nazionali, nell'associarvi a loro in quell'impegno di informazione, di comunicazione, di persuasione che non potete assolvere con le vostre sole forze, e che è tuttavia indispensabile per riguadagnare consenso e fiducia verso l'Europa e le sue istituzioni. Sono sicuro che farete in questo senso la vostra parte: di qui la mia vicinanza e il mio augurio.