Firenze 17/12/2009

Intervento del Presidente Napolitano all'Istituto Europeo Universitario

Caro professor Mèny, mi sono impegnato a rispondere subito dopo alle domande di alcuni ricercatori e giovani federalisti e naturalmente manterrò l'impegno.

Per il momento vorrei salutare lei, il Ministro Ronchi, i rappresentanti della Commissione, il Vice Presidente del Parlamento europeo, i molti amici e personalità che ho incontrato nel corso di un lungo cammino europeo nei passati decenni.

Lei ha anche detto che Garibaldi è stato qui: "Garibaldi a èté partout", ma comunque questo è un motivo aggiuntivo per me per non mancare.
Sono molto contento di essere qui, sia perché questa è una straordinaria realizzazione - geniale, ha detto Romano Prodi - sia perché credo di dovere e potere rappresentare la continuità dell'impegno europeista dell'Italia, una continuità che è affidata ai Governi che si succedono, ai Parlamenti che vengono eletti ogni cinque anni, più o meno, e che però è anche molto affidata a una trasmissione, di generazione in generazione, di questo impegno e di questo patrimonio.

Certo, io appartengo - come si usa dire - a una generazione molto anziana, che è arrivata alla scelta europeista per diverse strade, e a un certo punto tutte le strade hanno condotto all'Europa, e ognuno poi ha avuto i suoi maestri e i suoi compagni.

Sono stato particolarmente colpito, anche entrando qui lungo il percorso che è stato predisposto, dall'incontrare i volti di tanti italiani che sono stati giustamente impressi nel segnare le tappe della costruzione europea. Innanzitutto due italiani che io, in diverse occasioni, ho creduto di poter avvicinare, per diversissimi che fossero tra loro e anche per molto diversi che siano stati i rispettivi ruoli nell'impresa europea: Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi. Credo che non sia casuale che noi abbiamo qui oggi Maria Romana De Gasperi e Barbara Spinelli.

Siamo in una nuova fase che è segnata dall'entrata in vigore finalmente - hélas - del Trattato di Lisbona e vorrei ricordare un insegnamento di Altiero Spinelli che torna utile: ho creduto molto nell'idea di una Costituzione europea e naturalmente poi, quando già non ero più nel Parlamento europeo - dove per cinque anni mi ero dedicato molto a questa causa - ho dovuto prendere atto dell'abbandono di quel progetto e dell'adozione di un nuovo Trattato, senza dubbio molto meno ambizioso di quello precedente.

Ma qual è l'insegnamento di Altiero? È che per quanto si possa uscire spesso (e si sia spesso usciti) insoddisfatti, delusi da un passaggio o dall'altro nel corso della costruzione europea, bisogna immediatamente sapersi calare nel contesto che è venuto a determinarsi, e lì ricominciare. In fondo, Altiero conobbe un momento di grande insoddisfazione quando, in luogo del progetto di fondazione dell'Unione, del vero e proprio Progetto di Costituzione che aveva portato all'approvazione del Parlamento europeo il 25 febbraio 1984, dovette misurarsi con l'Atto Unico.

Possiamo anche discutere se storicamente il suo giudizio allora fu troppo insoddisfatto e in qualche modo ingiusto. Sappiamo che c'è stata anche una certa dialettica nel giudizio da dare su quel Trattato, in particolare tra Altiero Spinelli e Jacques Delors, che è rimasto sempre un sostenitore convinto della bontà dell'Atto Unico.

Ma la cosa fondamentale fu che il giorno dopo Altiero Spinelli seppe - come sempre sapeva - voltare pagina, e quante volte si è dovuto voltare pagina, per esempio dopo la caduta del Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa.Bene, è caduto il Trattato costituzionale faticosamente elaborato e unanimemente firmato dai Capi di Governo. (Questa è una storia che non intendo fare oggi, su cosa siano le firme solenni dei Capi di Governo, i quali poi non sanno tutti impegnarsi perché la loro firma sia rispettata e perché l'impegno preso in quel momento diventi un impegno ratificato dei rispettivi Parlamenti o attraverso i rispettivi referendum nazionali).

Comunque, sia quel che sia, il Trattato costituzionale è morto, viva il Trattato di Lisbona. E da qui dobbiamo ricominciare.
Sono stato particolarmente colpito dal fatto che dieci giorni fa, in occasione della visita a Roma del Presidente della Repubblica Tedesca Köhler, nell'incontro che abbiamo avuto egli si sia mostrato pienamente consenziente nell'indicare - e lo abbiamo fatto con una dichiarazione comune - la strada di una forte determinazione per rilanciare, portare più avanti, per far compiere un autentico balzo in avanti al processo di integrazione europea. Insisto sul termine "integrazione" perché bisognerebbe cominciare a chiamare le cose con il loro nome.

Mi sembra che questo sia dunque il quadro in cui si colloca anche questo nostro incontro di oggi.

Rinnovo il mio saluto molto cordiale a tutti gli amici, alle personalità e ai rappresentanti delle istituzioni oggi presenti.

IL PRESIDENTE NAPOLITANO RISPONDE ALLE DOMANDE DEI RICERCATORI

Domanda
Signor Presidente, prima di tutto vorrei dire a nome dei ricercatori che per noi è un onore straordinario averla qui e poter discutere con lei. Vorrei chiederle del Trattato di Lisbona, «la Ferrari», come l'ha chiamata il Vice Presidente Martínez. Lei direbbe che l'approccio costituzionale è finito, che è finito per il momento, cioè che il Trattato di Lisbona è la fine della storia dell'integrazione? E per quanto a lungo dovremo aspettare prima di poter compiere ulteriori passi per una integrazione più approfondita, visto in maniera particolare da una prospettiva italiana, tradizionalmente molto a favore di una maggiore integrazione? Lei è d'accordo con il Presidente Köhler per chiedere ulteriori passi verso una maggiore integrazione, oltre il Trattato di Lisbona? Grazie.

Presidente Napolitano
Bene, io penso che una ulteriore, più profonda integrazione deve essere perseguita adesso tramite il Trattato di Lisbona, e non oltre il Trattato di Lisbona; non aspettando o chiedendo un nuovo Trattato istituzionale. Il problema principale è una piena implementazione del Trattato di Lisbona, un pieno utilizzo dei nuovi strumenti e facoltà che il Trattato di Lisbona ci dà.

Questa è la questione chiave, e io spero che l'Italia darà il suo contributo in ogni maniera possibile. Ma, più in generale, il punto è: ci sarà una volontà politica sufficiente? Io penso che gli strumenti, sebbene essi non siano gli stessi che abbiamo concepito durante il periodo di elaborazione del Trattato costituzionale, sono lì, ci sono molti nuovi importanti strumenti nel Trattato di Lisbona. Temo che la volontà politica spesso manchi, in Europa dico, non dico specificamente in Italia; ma quando vedo anche alcuni dei Paesi e dei Governi più importanti d'Europa esitare nel prendere alcune decisioni che dovrebbero essere considerate assolutamente necessarie e che sarebbero possibili sulla base di Lisbona o anche perfino sulla base dei Trattati precedenti, naturalmente sono profondamente preoccupato. Abbiamo bisogno di una nuova ondata di volontà politica per l'Europa attraverso tutta l'Europa, naturalmente includendo l'Italia. Proveremo a dare il nostro contributo.

Domanda
Buongiorno. Presidente Lei ha già detto che la parte importante del processo di integrazione europea non è soltanto quella di mettere nuove competenze nei Trattati ma anche poi di attuare quello che c'è nei Trattati. Ora, il Trattato di Lisbona, lo ha detto Lei stesso, non è stato tanto ambizioso, ma ha marcato dei passi avanti in aree particolari come l'immigrazione, la giustizia. Ha anche dato qualche nuovo contenuto alla adozione della cittadinanza. Immigrazione, giustizia e cittadinanza sono dei temi molto cari alla sovranità nazionale che Lei rappresenta.

Quello che vorrei chiederLe è questo. Lei crede che su questi temi, che sono così sensibili, ci sarà davvero un processo di rapida europeizzazione, come lo chiamiamo noi scienziati politici, e che la dimensione comunitaria entrerà nella dimensione nazionale e riuscirà a influire in qualche modo sulle decisioni che vengono prese a livello nazionale? Glielo chiedo, in particolare, perché immigrazione, cittadinanza e giustizia sono dei temi aspramente dibattuti nel dibattito politico nazionale in questo momento e sono oggetto di riforme. Pensa che la dimensione europea possa entrare in queste riforme che si dibattono attualmente e in che modo?

Presidente Napolitano
Vede, io credo che noi dobbiamo anche un po' distinguere perché il termine "europeizzazione" naturalmente è efficace, ma dobbiamo sapere che ci sono competenze proprie dell'Unione che presuppongono norme comuni o che presuppongono politiche comuni vincolanti. Poi ci sono ambiti nei quali si deve piuttosto procedere per vie di coordinamento delle politiche nazionali, sempre ancorandosi a dei principî che sono i principî segnati nei nostri Trattati, da ultimo nel Trattato di Lisbona.

Ora, da parecchio tempo l'Unione Europea comprende anche la dimensione che è stata definita dello «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia» e credo che sia quello lo spazio cui attengono le politiche che lei ha qui citato. È vero che alcune di queste politiche, concretamente per come si configurano in Italia, sono oggetto di forti, grosse controversie e tensioni e anche di molteplici spinte propositive. Ma io credo che non bisogna cadere nell'errore di ritenere che l'Europa debba fare tutto né che debba l'Europa risolvere per l'Italia problemi che vanno risolti qui, nel modo più giusto.

Naturalmente, rispetto a decisioni che possono essere prese a livello nazionale, ci sono anche delle istanze, chiamiamole di appello, in sede europea. Insomma, avere una politica comune europea dell'immigrazione è cosa molto impegnativa: io ritengo che si debba andare in quella direzione, come in parte sì è fatto o si sta facendo, per esempio, stabilendo degli standard comuni per ciò che concerne l'accoglienza ai richiedenti asilo.
Anche qui poi bisogna distinguere: perché si fa spesso una certa sovrapposizione impropria tra immigrazione e asilo. Ora, per quello che riguarda, ad esempio, il diritto di asilo ci sono dei principî assolutamente imprescindibili che non sono soltanto europei, non sono soltanto indicati dai Trattati europei ma da Convenzioni internazionali.

Per quel che riguarda l'immigrazione, c'è una molteplicità di politiche che non è nemmeno semplice ricondurre a unità, a parte il fatto che non si può parlare di una vera e propria competenza propria dell'Unione per quel che riguarda, ad esempio, gli ingressi per via legale di immigrati nei nostri Paesi.

Poi abbiamo avuto fino ad ora in Italia il sistema dell'accesso per quote; in altri Paesi la regolamentazione è diversa. È difficile pensare ad una unicità, ma l'importante sono dei principî fondamentali, quelle norme comuni che è possibile adottare sulla base delle competenze fissate dai Trattati e che la volontà politica deve poter definire. Poi c'è un confronto che, come ho già detto, può dar luogo, deve dar luogo a dei coordinamenti e può anche conoscere, in caso di conflitto, delle istanze d'appello in sede europea. Tra queste, ovviamente, colloco anche la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo che presiede all'applicazione della Convenzione europea sui diritti umani.

Domanda
Presidente, sono Samuele Pii, intervengo in rappresentanza della Sezione europea della Gioventù Federalista, che con i suoi 30.000 membri e 30 sezioni nazionali porta avanti quel progetto di Europa unita e federale, così come pensato, tra l'altro, anche da Altiero Spinelli. Ho avuto la fortuna di conoscere non solo la scuola dell'Istituto Universitario Europeo ma anche la scuola di Ventotene, alla quale Lei ha avuto l'occasione di rendere omaggio pochi giorni dopo la sua elezione.

La mia domanda vuole guardare al futuro. Il Parlamento europeo dovrà esprimersi sulla composizione della seconda Commissione Barroso e, nel dibattito attuale, su quali dovrebbero essere le priorità d'azione della nuova Commissione. Ascoltiamo diverse proposte, per esempio dare all'Unione delle risorse proprie per creare una vera forza militare europea, istituire Eurobond per il rilancio della crescita economica, o istituire una rappresentanza unica dell'Unione in istituzioni internazionali quali il Consiglio di Sicurezza o il Fondo Monetario Internazionale. Tra queste o altre proposte, quale a Suo avviso dovrebbero essere le azioni necessarie per ridare, per riconquistare la fiducia dei cittadini nel progetto europeo e per dare all'Europa un vero governo democratico federale?

Presidente Napolitano
Io naturalmente guardo con grandissimo interesse alla vostra realtà, mi auguro che da 30.000 diventiate presto 300.000, perché abbiamo un fortissimo bisogno di sollecitazione, anche polemica, critica, innovativa, da parte delle nuove leve del federalismo e dell'europeismo.

Naturalmente, non mi azzarderò a dire quali dovrebbero essere le priorità o le priorità delle priorità nelle azioni in particolare della Commissione. Nel settembre scorso il Presidente Barroso ha presentato una piattaforma di orientamento e io, insieme con il Presidente Köhler, proprio nel documento che abbiamo sottoscritto, ho suggerito che quella sia la base per un dibattito. Un dibattito non soltanto tra le istituzioni europee, ma anche nei Parlamenti nazionali, ammesso che si riesca a far sì che i Parlamenti nazionali si occupino un po' più di Europa, di politica europea, di scelte europee.

Lei ha citato due o tre questioni che sono molto importanti. Io, anche qui, sono abbastanza cauto nell'usare l'espressioni «forze militari europee» (una volta si diceva «esercito europeo»). Sono anche passate molte fasi e siamo arrivati a formulazioni anche un po' più puntuali o sofisticate.

Noi dobbiamo vedere, per esempio, se può essere messa in atto una delle opportunità che offre il Trattato di Lisbona, e cioè la creazione di «cooperazioni» - si è detto - «strutturate» nel campo della Difesa, e lì veramente si accenna a delle possibilità di integrazione. Io, per esempio, credo moltissimo ad una necessità di integrazione anche tra i bilanci della Difesa: perché se noi sommiamo le spese per la Difesa che sono a carico dei bilanci dei singoli Stati nazionali, arriviamo a un ammontare di risorse tutt'altro che disprezzabile, perfino - anche se è il termine di paragone più difficile, e non necessariamente da assumere - rispetto alla spesa militare degli Stati Uniti d'America. Ma abbiamo clamorose duplicazioni e frammentazioni che impediscono una più alta produttività della spesa europea per la Difesa tenendo conto di tutte le spese che afferiscono sui bilanci nazionali.

Poi, lei ha citato una questione che abbiamo discusso proprio di recente con il Presidente Köhler che egli, anche per la sua pregressa esperienza nel Fondo Monetario Internazionale, considera molto significativa: unificare le quote di cui dispongono gli Stati europei in seno al Fondo Monetario. L'unificazione di queste quote darebbe all'Europa un peso che non ha neppure lontanamente se procede soltanto per rappresentanze nazionali. Questa da un lato appare una questione di difficilissima soluzione, perché le resistenze a questa unificazione di ciascuno degli Stati nazionali che dispongono di quote consistenti nel Fondo Monetario sono resistenze che appaiono difficilmente superabili; dall'altro lato, dovrebbe anche apparire una questione di facilissima soluzione se solo si partisse da un presupposto che, per quanto forse a noi qui stamattina appare ovvio, è tutt'altro che ovvio nella pratica cioè nei comportamenti, nelle percezioni dei governi nazionali: cioè che l'Europa, in quanto tale, è destinata alla irrilevanza - questo termine l'ha usato anche il Presidente Barroso - al declino - espressione che abbiamo adoperato in tanti - se non riesce davvero a operare come soggetto unitario sulla scena mondiale.

Dovrebbe essere - come dire - perfino una constatazione di buon senso che il baricentro delle relazioni economiche e delle politiche internazionali si sia spostato lontano dall'Europa, che siano emerse nuove potenze mondiali che si aggiungono ad altre (perché, naturalmente, non sono spariti gli Stati Uniti d'America, non è sparita la Russia); adesso si aggiungono potenze come la Cina, l'India, il Brasile, rispetto alle quali né il Paese più popoloso, più grande dell'Unione Europea, come la Germania, né il Paese storicamente diciamo più consapevole perfino di un ruolo imperiale, come la Gran Bretagna, né la Francia, che ha l'abitudine a non sottovalutarsi mai, nessuno di questi Paesi ha la possibilità di contare, in questo nuovo quadro di equilibri mondiali. Quindi, ripeto che ci dovrebbe essere buon senso, se volete esistenziale, e mettere insieme quello che abbiamo, unire le nostre forze nel Fondo Monetario Internazionale e più in generale.

Domanda
Il Trattato di Lisbona ha creato il Servizio Europeo di Azione Esterna, che è stato citato varie volte stamattina. La creazione di questa istituzione è qualcosa che è mancata nei passati cinquant'anni. Quali sono le sue valutazioni, quali sono le possibilità che con questa nuova istituzione finalmente in funzione l'Europa parli veramente con una voce sulla scena internazionale?

Presidente Napolitano
Prima di tutto, dobbiamo metterlo in funzione. Non è abbastanza avere scritto nel Trattato che avremo questo nuovo, molto importante servizio comune. Ciò che sarà veramente lo vedremo nei prossimi mesi e anni.

Io credo che la Commissione intenda iniziare immediatamente con questa creazione, dobbiamo creare qualcosa di assolutamente senza precedenti: avere un Servizio Diplomatico comune che rappresenti l'Europa ovunque nel mondo è una impresa molto grande (e naturalmente alcune volte dobbiamo dubitare che qualcuno voglia dare una interpretazione abbastanza minimalista di questo Servizio). Al contrario, io penso che è una precondizione per avere una politica estera e di sicurezza più e più comune: perché, se la discussione ha luogo quando un nuovo avvenimento obbliga l'Europa a prendere una posizione, ha luogo solo in quel momento, senza qualsiasi preparazione per quanto riguarda l'analisi e per quanto riguarda le opzioni per l'Europa, sarà molto, molto facile avere l'Europa divisa, se non drammaticamente come nel caso della guerra in Iraq, comunque seriamente divisa.

Al contrario, se avremo questo Servizio, esso può rappresentare una base per arrivare più facilmente a posizioni comuni nel campo fondamentale della politica estera di sicurezza. Soltanto in questo caso l'Europa diventerà veramente un attore globale sulla scena mondiale. Così, se volete, dobbiamo scommettere su questo Servizio e dobbiamo impiegare tutte le nostre risorse possibili e energie - direi anche energie creative - per avere un Servizio che veramente svolga il compito per il quale è stato concepito.

Domanda
Signor Presidente, quest'anno ricorre il ventesimo anniversario della caduta dei regimi totalitari comunisti nei Paesi dell'Europa centrale e orientale. Che ruolo prevede nel futuro per i nuovi Paesi membri? Vedremo una Europa delle due velocità, come Joschka Fischer ha detto?

Presidente Napolitano
Io credo che ciascuno dei nuovi Stati membri dell'Unione Europea avrà un suo ruolo da giocare, un suo contributo da dare. Francamente non credo che noi possiamo considerare come "categoria" i nuovi Stati membri dell'Europa centro-orientale. Hanno rappresentato una volta una entità divisa dalle istituzioni europee, una entità inserita nel blocco sovietico. Oggi sono altrettanti Stati europei come quelli che hanno fatto parte delle istituzioni europee a partire dagli anni '50 e poi via via. Io non posso riconoscere - come dire - un profilo distinto a quei Paesi in blocco: ciascuno di quei Paesi ha una sua personalità. Naturalmente quindi deve dare il suo contributo.

Che poi quei Paesi possano diventare parte di una specie di seconda classe, no, questo francamente è un complesso di cui quei Paesi si debbono liberare. Ciascuno di quei Paesi, entrando a far parte - anzi, chiedendo di entrare a far parte - dell'Unione Europea ha accettato la scelta dell'integrazione; non ha bussato alla porta delle Nazioni Unite, ha bussato alla porta dell'Unione Europea, la quale è un sistema di integrazione tra Stati nazionali che cedono una parte della loro sovranità a favore di istituzioni comuni. Quindi, bisogna essere coerenti con questo punto di partenza, ed essere coerenti significa non aver paura che poi si proceda, come ancor più dei Trattati precedenti il Trattato di Lisbona prevede, di volta in volta, con esercizi, con approfondimenti che possono non coinvolgere tutti. Naturalmente dipende dalle condizioni in cui si trova ciascun Paese, ciascuno Stato membro; e abbiamo avuto, come si sa, degli esempi fondamentali prima che si scrivesse nei trattati «cooperazione rafforzata».

Abbiamo avuto la Convenzione di Schengen, il "sistema Schengen" e poi, con Maastricht, la creazione della moneta unica e della Banca Centrale Europea, con l'adesione solo di una parte degli Stati membri. Naturalmente, gli Stati che potevano; c'è stato anche qualche Stato che poteva e non ha voluto, ma ciò non ha fermato, ed era giusto che non fermasse, la volontà di un certo numero di Stati di procedere essendo in grado ed avendo la determinazione necessaria per procedere in quella nuova direzione.

Quindi non deve esserci nessun timore. Io intanto segnalo che uno dei nuovi Stati membri dell'Europa centro-orientale - se vogliamo ancora usare questo riferimento - come la Slovenia è divenuto ben presto anche un Paese aderente alla moneta unica. Quindi - come dire - non è scritto da nessuna parte che i nuovi Stati membri abbiano una velocità minore: dipende dalle condizioni che si creano in ciascun Paese e dalla volontà politica che ciascun Paese sarà in grado di esprimere. Certamente noi non possiamo rimanere legati al tabù per cui diciamo - metafora molte volte usata, anzi abusata, e me ne scuso - che "il treno europeo deve aspettare che sia pronto a muoversi l'ultimo vagone". L'importante è lasciare sempre il carrello in maniera che si agganci un altro vagone, sempre le porte aperte a chi voglia aderire successivamente a questi esercizi di approfondimento dell'integrazione europea, i quali però non possono, meno che mai in questa fase storica, restare in attesa.