Bergamo 02/02/2011

Intervento del Presidente Napolitano all'incontro con le Autorità e i Sindaci della Provincia di Bergamo

Un saluto cordiale a voi tutti, alle autorità, ai tanti sindaci che affollano questo teatro, ai cittadini e ai giovani. E innanzitutto grazie a voi, signor Sindaco, signor Presidente della Provincia, signor Presidente della Regione, non solo per l'impegno e il calore delle vostre parole ma per lo straordinario calore dell'accoglienza che mi ha riservato la città di Bergamo e che mi ha sinceramente commosso. Mi ha commosso lo sventolio delle bandiere che ho visto qui perché mi conferma che in quel Tricolore possiamo tutti riconoscerci senza che nessuno debba rinunciare a nulla delle sue idee e delle sue convinzioni.
Nel maggio scorso, partecipai alle prime iniziative per la celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, ripercorrendo le tappe della Spedizione dei Mille da Quarto di Genova a Marsala, Salemi, Calatafimi. E lì su quell'altura che domina il luogo della prima aspra battaglia garibaldina contro le forze borboniche, mi incamminai per il sentiero che conduce al monumento commemorativo e lungo il quale dei semplici cippi indicano i nomi dei caduti sepolti sotto quelle zolle. Lessi nomi di garibaldini, di patrioti di varie parti d'Italia : lessi nomi vostri, di bergamaschi, e infine trovai, raccolti attorno al monumento, gagliardetti e gonfaloni dei Comuni di provenienza di quegli eroi. Tra essi quello di Bergamo Città dei Mille. E allora mi dissi che nel programma delle celebrazioni del centocinquantenario non avrebbe potuto mancare una mia visita qui, un mio sincero e solenne omaggio alla vostra città. Il Sindaco e il Presidente della Provincia me ne hanno con il loro invito offerto l'occasione : e sono felice di averla potuta cogliere subito.

Perché, vedete, celebrare un avvenimento storico, più o meno lontano, può comportare il rischio dell'enfasi retorica o del rituale richiamo al passato, nell'un caso senza sobrietà e serietà di contenuti, nell'altro senza calore di partecipazione umana e popolare. Ma questo rischio si può evitare e lo stiamo evitando, come dice il carattere di tante iniziative che si stanno succedendo in tutta Italia, il carattere stesso di questo nostro incontro a Bergamo e del programma che il vostro Sindaco ha annunciato. Le celebrazioni iniziate nel 2010 e in via di ampio sviluppo nel 2011 vogliono essere e saranno - tale è il mio convincimento e il mio impegno - un modo di ritrovarci in quanto italiani nello spirito che ci condusse 150 anni fa a unirci come Nazione e come Stato, e nella riflessione comune sui travagli e sulle prove che abbiamo vissuto insieme, sui problemi che insieme abbiamo davanti.

Ed è parte delle celebrazioni così concepite un caldo riconoscimento reciproco e rinnovato avvicinamento, al di là di tutte le differenze e le tensioni, tra cittadini, popolazioni, rappresentanze sociali delle diverse regioni e circoscrizioni del paese. Un forte riconoscimento merita, così, da parte di tutti gli italiani, la città di Bergamo, la complessiva realtà di quest'area, la gente bergamasca, per quel che ha dato al movimento per l'unità nazionale, e per quel che ha dato in momenti cruciali alla causa dell'indipendenza del paese, della difesa dei suoi confini, della riconquista della sua libertà ; per quel che ha dato con laboriosità, dinamismo imprenditoriale, dedizione operaia, allo sviluppo industriale, alla crescita economica e sociale dell'Italia anche e in particolare in sessant'anni di vita repubblicana. Penso alle personalità che vi hanno più degnamente rappresentato ; e per ricordare i primi tempi della nostra fraternità unitaria penso all'elezione come rappresentante di Bergamo nel Parlamento del neo-costituito Regno d'Italia del grande statista napoletano Silvio Spaventa. Il valore del lavoro e il senso della Patria vi hanno sempre caratterizzato : so quel che per voi rappresentano gli Alpini, e quel che gli Alpini rappresentano per l'Italia anche con il doloroso sacrificio di giovani vite nelle missioni internazionali cui partecipiamo: ho dovuto purtroppo dare con forte partecipazione emotiva e istituzionale l'estremo saluto a Luca Sanna, sardo alpino caduto in Afghanistan, qualche settimana fa.

Del Risorgimento Bergamo è stata protagonista in tutte le tappe fondamentali : dai moti rivoluzionari che scossero tutto il Lombardo Veneto nel 1848 grazie alla vostra partecipazione, alla partecipazione dei giovani bergamaschi alle cinque giornate di Milano, alle successive giornate insurrezionali di Brescia e all'impresa per la liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno. Non so se nei tempi un po' confusi che stiamo attraversando qualcuno abbia potuto credere che la Spedizione dei Mille e l'intero fenomeno del garibaldinismo abbiano rappresentato una dubbia storia di meridionali. Ma Bergamo fu una delle città più vicine a Garibaldi e alle sue imprese ; dei Mille che salparono da Quarto oltre 400 erano lombardi, 180 i bergamaschi, in gran parte giovani, ed altre centinaia da Bergamo raggiunsero poco dopo in Sicilia le fila garibaldine. I bergamaschi furono il fulcro dei "Cacciatori delle Alpi". I nomi di Gabriele Camozzi e di Francesco Nullo restano indissolubilmente legati al nome e alle battaglie di Garibaldi.
E bene ha fatto il Sindaco Tentorio a ricordare il sacrificio di Francesco Nullo in terra di Polonia come simbolo e stimolo del vostro "profondo sentimento di condivisione degli ideali di libertà dei popoli". E sulla forza di quegli ideali ha detto assai bene la professoressa Dillon richiamando figure ed esempi illuminanti.

Libertà dei popoli anche in terre lontane e innanzitutto in Italia. Perché dal Nord al Sud il Risorgimento in tutte le sue fasi, fino al compimento del moto unitario, fu guidato dall'ideale della libertà e dal principio di nazionalità strettamente uniti, nel XIX secolo, in tutta Europa. Affrancamento dallo straniero, conquista di diritti costituzionali furono obbiettivi tra loro inscindibili : e da noi in Piemonte come in Sicilia, in Lombardia come a Napoli, la Nazione da unire e liberare si chiamava Italia, e aveva radici antiche, agevolmente rintracciabili - come ci ha ricordato la prof. Dillon - in tante testimonianze della letteratura e dell'arte. Per quanto tra le diverse componenti del movimento nazionale potessero esserci e permanere a lungo diverse valutazioni sulla possibilità di perseguire l'unificazione di tutta l'Italia, nessuno metteva in dubbio che quello fosse lo sbocco storico naturale e in ultima istanza irrinunciabile a cui tendere.

Altro discorso è invece quello del tipo di Stato nazionale da costruire una volta cancellata la dominazione straniera e abbattuti i vecchi regimi assolutisti e oppressivi. E' giusto che in occasione del centocinquantenario si rievochino i termini di una complessa dialettica tra moderati e democratici, sostenitori della Monarchia e ardenti repubblicani, difensori di una visione centralistica e teorici del federalismo : una dialettica che fu arduo comporre in quello sforzo convergente per l'Unità che rappresentò il miracolo della guida di Cavour e permise la vittoria finale.

E' giusto rievocare con serietà storica e con rinnovato rispetto tutte le anime e le maggiori personalità del moto unitario. Tra queste mi piace richiamare qui la grande figura di patriota e di pensatore di Carlo Cattaneo. Non ha avuto finora nelle celebrazioni uno spazio di attenzione e riflessione adeguato, e mi auguro che possa averlo presto.

Eppure ci fu chi nel 1945, nell'Italia appena liberata, capì di dover rilanciare l'eredità di Cattaneo. E fu uno dei nostri filosofi del diritto e filosofi politici che più si sarebbero affermati nella seconda metà del Novecento : Norberto Bobbio. Introducendo con un ampio saggio un'antologia di scritti di Cattaneo, egli mise in luce alcuni capisaldi del suo federalismo : la visione dell'unità che riconosce le distinzioni, dell'unità pluralistica e non indifferenziata, dell'unità fondata su istituzioni di autogoverno che rendono possibile la maggior partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, il federalismo come forma di unità in cui meglio può incarnarsi il principio di libertà. Di qui la prospettiva, che Cattaneo giunse a delineare con slancio utopistico, degli Stati Uniti d'Italia, insieme con gli Stati Uniti d'Europa.

La distanza della sua visione sia da quella dei mazziniani sia da quella dei moderati, ne sancì l'isolamento e la sconfitta, riconducibili anche alla mancanza di radici storiche, in Italia, di una sensibilità e propensione federalista. Prevalse nettamente, nel formarsi dello Stato unitario e prevalse nelle scelte di Cavour, che non era favorevole al federalismo ma non era neppure in via di principio fautore di un'organizzazione centralistica e burocratica dello Stato, prevalse in lui e nella classe dirigente del nuovo Regno in via di formazione, l'assillo delle difficoltà eccezionali del processo di unificazione. E fu dunque con l'impronta dell'accentramento piemontese, dell'obbligata conformità a quel modello, che si costruì il nostro Stato nazionale unitario.

A Cattaneo non restò che ripiegare - dopo il 1860 - sul programma minimo di una riforma che garantisse almeno il decentramento, l'autonomia legislativa e amministrativa della regione. Obbiettivo, anche quello, allora e per lungo tempo mancato, ma tornato alla ribalta quando lo Stato unitario si trasforma in Repubblica e si dà, nel 1948, una Costituzione lungimirante e aperta al cambiamento. E' da quel momento che si lavora, tra molti ritardi, limiti ed errori, e contro molte resistenze, a realizzare il legame affermato nell'articolo 5 della nostra Carta - come ho più volte sottolineato - tra unità e indivisibilità del nostro Stato repubblicano ed effettiva promozione delle autonomie regionali e locali. E negli ultimi anni c'è stata una decisa accelerazione in senso federalistico : riprendendo l'idea di unità cara al Cattaneo, che si dichiarava contrario "alla fusione e non all'unità", l'idea secondo cui l'essenziale è - sono sue parole - "una pluralità di centri viventi, stretti insieme dall'interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale". E' lo stesso modo in cui ho sentito qui intendere e rappresentare il federalismo.

In conclusione, dunque, non esaltiamo retoricamente quello che fu 150 anni fa il punto d'arrivo - storicamente obbligato - del moto unitario. Valorizziamo, certo, come è giusto, i decisivi balzi in avanti compiuti dalla società italiana grazie all'Unità. Ma riflettiamo anche su vizi di origine del nostro Stato nazionale, perpetuatisi e aggravatisi in determinate fasi dei successivi 150 anni ; lavoriamo per riformare e rinnovare quel che è necessario, nel solco dei grandi princìpi e indirizzi della Costituzione repubblicana. Quel che è necessario, voglio dire, anche per superare gravissimi divari nello sviluppo economico, sociale e civile del paese come ancora oggi quello tra Nord e Sud, e più in generale per assicurare prospettive di progresso e di benessere al nostro popolo, ai nostri giovani, in un mondo che sta radicalmente cambiando.

Vorrei solo aggiungere una considerazione che giudico fondamentale. Per portare avanti riforme che sono all'ordine del giorno - e mi rivolgo a quanti sollecitano decisioni annunciate in nome del federalismo e ormai giunte a buon punto - per portare avanti l'attuazione di quel nuovo Titolo V della Costituzione che fu condotto dieci anni fa all'approvazione del Parlamento e del corpo elettorale da una maggioranza di centro-sinistra ed è stato avviato a concrete applicazioni da una maggioranza di centro-destra, è stato decisivo e resta oggi decisivo un clima di corretto e costruttivo confronto in sede istituzionale. Si esca dunque da una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza da cui può soltanto uscire gravemente ostacolato qualsiasi processo di riforma.

E fondamentali sono nello stesso tempo quel senso di solidarietà che mi ha fatto piacere sentire qui citare come radicato nell'animo della Comunità bergamasca, e un rinnovato spirito di coesione sociale e nazionale. Caro Niccolò Fabrizi, questa coesione, l'unità della Nazione e dello Stato hanno più che mai senso proprio in "un mondo globalizzato e frammentato", nel quale un'Italia divisa o una macroregione italiana sarebbe solo, a sua volta, un irrilevante frammento. Unità nazionale nella ricchezza del suo pluralismo e delle sue autonomie, e unità europea egualmente concepita, sono leve insostituibili per il ruolo dell'Italia intera nel nuovo contesto mondiale, sono leve irrinunciabili per mettere a frutto tutte le nostre potenzialità. E mi si consenta ancora di rivolgermi a Fabrizi e agli studenti, ai giovani a nome dei quali ha parlato. Quando dico "tutte le potenzialità di cui disponiamo", mi riferisco in modo particolare alle risorse umane di cui è ricco il nostro Mezzogiorno, di cui è ricca l'Italia, di cui sono ricche province come la vostra.
Abbiamo grandi potenzialità da mettere ancora a frutto e su di esse puntiamo per garantire al nostro paese una crescita più sostenuta, più continuativa che è essenziale al fine di aprire prospettive di occupazione qualificata a chi studia, a chi si forma, alle nuove generazioni. E sono potenzialità che richiedono, per essere messe in valore, un certo clima.

Sono grato a Fabrizi per avermi detto una bella cosa, ovvero che il mio messaggio di fine dicembre sembrava "il discorso di un giovane". Vi dirò - e non soltanto per rendergli la cortesia - che il suo discorso è stato quello di una persona matura. Io confido molto, ragazzi, nel vostro realismo e nella vostra serietà; confido molto, e sono sicuro che ci daranno delle grandi sorprese, dei grandi sostegni per il futuro dell'Italia: realismo e serietà perché nessuno può promettervi miracoli. Sappiamo che anche le grandi disponibilità che abbiamo di risorse materiali ed umane potranno davvero diventare una forza vitale solo in quanto ci sarà uno sforzo collettivo.

La mia generazione ha vissuto l'esperienza terribile della seconda guerra mondiale e soprattutto dell'immediato dopoguerra. Era non soltanto la mia città, ma tutto il paese teatro di distruzioni terribili: l'Italia era stata divisa in due come mai da quel 1860, divisa terribilmente e sanguinosamente. C'era da dubitare di tutto ma non ci scoraggiammo - come tu adesso dici che non ci si deve scoraggiare, che non ci si deve arrendere - e contarono molto due cose. In primo luogo il fatto che nonostante profonde diversità politiche e anche ideologiche si riuscì a dar vita ad una Costituzione nel segno dell'unità, che le forze rappresentative di tutti gli schieramenti politici, anche più le lontane, tra loro, trovarono punti d'incontro essenziali per disegnare il grande quadro dei principi, degli indirizzi, dei diritti e dei doveri - come è scritto nel testo della nostra Costituzione - che avrebbero dovuto guidarci e tradursi naturalmente in politiche concrete, in azioni di governo e in leggi decise in Parlamento. È questo il quadro che ci ha salvaguardato da ulteriori rotture, che ci ha consentito di mettere insieme tutte le energie.

E l'altro elemento è stato il senso del dovere insieme ricostruire, perché si trattava davvero di ricostruire. Oggi tu hai detto che avete ansia di ripartire; allora si trattava proprio di ripartire quasi da zero e contò questo, contò che al di là di tutte le contrapposizioni politiche e anche al di là naturalmente dei conflitti sociali, prevalse l'elemento di un forte impegno, di una forte volontà a costruire insieme condizioni migliori per il nostro paese.

Ecco, date il vostro contributo perché si ricrei questo clima nell'interesse delle giovani generazioni, per lo sviluppo dell'Italia nel quadro dell'Europa di cui siamo parte integrante, e in modo da reggere le sfide di un mondo sempre più aspramente competitivo.