Roma 11/03/2011

Intervista del Presidente Napolitano pubblicata da "Le Figaro Magazine"

"L'Italia tutt'intera ha mostrato in momenti duri della sua storia una sorprendente energia vitale"

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rilasciato a "Le Figaro Magazine" la seguente intervista, firmata da Richard Heuzé e pubblicata in uno speciale dedicato al 150° dell'Unità d'Italia con il titolo: "Un'Italia divisa diventerebbe insignificante".

Signor Presidente, l'Italia celebrerà il 17 marzo i 150 anni della propria unità. Come sarebbe oggi l'Italia se non vi fosse stato il Risorgimento? Avrebbe il suo posto tra le nazioni europee?

Senza Risorgimento, senza Stato nazionale unitario, l'Italia sarebbe rimasta, se non una semplice «espressione geografica», una pura entità ideale nel ricordo di un lontano glorioso passato e nel richiamo a una sua identità linguistica e culturale. La frammentazione e la dipendenza da Stati stranieri ci avrebbero condannato all'impotenza. Grazie all'Unità, l'Italia è entrata nella modernità, ha preso il suo posto nell'Europa dell'Ottocento e del Novecento, e dopo l'aberrazione del fascismo e la tragedia della guerra ha partecipato alla costruzione della nuova Europa comunitaria. L'unità nazionale nella ricchezza del suo pluralismo e delle sue autonomie, e l'unità europea, con queste stesse caratteristiche, sono oggi leve insostituibili per far sì che l'Italia assolva il proprio ruolo in un mondo globalizzato. Una Italia divisa o una macro-regione italiana diverrebbe rapidamente irrilevante.

Lei è il garante e il simbolo dell'unità nazionale. Quando degli eletti della Lega Nord annunciano che rifuggiranno dalle cerimonie di commemorazione, pensa che questa unità sia minacciata? Il féderalismo professato dalla Lega la mette in pericolo?

Non drammatizziamo certe polemiche sulla partecipazione alle celebrazioni dei nostri 150 anni. E non vedo serie pulsioni separatiste.

Però, i Ministri della Lega hanno votato nel Consiglio dei Ministri contro il decreto che proclama giornata di festa nazionale il 17 marzo, l'anniversario della proclamazione del re Vittorio Emanuele...

Certo, i rappresentanti della Lega Nord hanno manifestato al governo il loro dissenso. Ma le decisioni prese in Consiglio dei ministri implicano l'adesione di tutto il governo. In ogni caso, io sono sicuro di un'ampia partecipazione dei cittadini alle commemorazioni compreso laddove la Lega Nord ha molta influenza. Il 2 febbraio mi sono recato a Bergamo: vi ho ricevuto un'accoglienza popolare eccezionale, al di là di ogni attesa.
Questa questione della proclamazione del 17 marzo come giornata di festa nazionale è tuttavia cosa diversa dal discorso sulle autonomie e anche su un possibile federalismo. Siamo impegnati da tempo in uno sforzo molteplice per superare il vizio d'origine del centralismo che caratterizzò la nascita dello Stato italiano sulle orme dello Stato piemontese. La strada è stata segnata dalla Costituzione repubblicana, che ha legato, in un articolo fondamentale - il quinto - l'unità e l'indissolubilità della Repubblica alla promozione e valorizzazione delle autonomie regionali e locali.

A Marsala, in Sicilia, nel maggio scorso, Lei ha dichiarato che senza la Sicilia e il Mezzogiorno lo stato unitario non avrebbe visto la luce. La questione meridionale resta oggi il grande fattore di squilibrio. Lei continua, malgrado tutto, a vedere queste regioni come un fermento di consolidamento dell'unita nazionale?

Assolutamente. Vorrei ricordare che dal Meridione sono venuti all'Italia contemporanea grandi contributi di lavoro, di pensiero, oltre che di sangue versato: sul Piave, come ad El Alamein, come sui monti e nelle città durante la Resistenza, c'erano solo italiani, tutti italiani, non veneti o toscani o siciliani. Oggi poi - anche di fronte agli eventi più recenti e sconvolgenti (Tunisia, Egitto, Libia) - bisogna pensare all'importanza di uno sviluppo unitario, su ambedue le sponde, del Mediterraneo, e di un rilancio della sua centralità per il futuro dell'Europa intera. Il Mezzogiorno ha una parte decisiva da giuocare in questo sforzo. Le celebrazioni del 150° della fondazione del nostro Stato nazionale offrono l'occasione per mettere in luce non solo gli apporti del Mezzogiorno a una storia comune e ad una comune cultura ma le sue potenzialità nell'interesse di una crescita più sostenuta ed equilibrata del paese.

L'alleanza con la Francia di Napoleone III è stato il fondamenta della politica europea di Cavour, Lei ha detto alla École Normale Supérieure di Parigi, nel settembre scorso. L'Italia ha giuocato un ruolo determinante nella costruzione europea. Lei, oggi, pensa che l'Europa resti per gli italiani un fattore di coesione?

Non dimentichiamo quale fonte di ispirazione e di impulso per il movimento nazionale italiano rappresentarono la Rivoluzione Francese e l'età napoleonica, né quale riferimento fondamentale costituì per la politica europea di Cavour l'alleanza con Napoleone III. È questo un retaggio storico di cui ancora oggi si nutre l'amicizia tra Italia e Francia. Dopo la seconda guerra mondiale, le nostre due nazioni sono state insieme tra i paesi fondatori dell'Europa comunitaria. C'è da decenni un largo consenso tra le forze politiche e sociali italiane attorno al ruolo essenziale che abbiamo svolto e vogliamo svolgere nella costruzione europea. Questo comune convincimento e impegno europeistico può restare un importante fattore di coesione per gli italiani, a patto che governo e Parlamento, partiti, istituzioni culturali, scuole e mezzi di comunicazione, sappiano esprimere e trasmettere nuove motivazioni e nuovi obbiettivi per lo sviluppo dell'integrazione europea.

Massimo D'Azeglio, figura di spicco del Piemonte nel Risorgimento, diceva, all'indomani della proclamazione dell'Unità d'Italia: «Abbiamo fatto l'Italia. Restano da fare gli italiani». In questo 150° anniversario, ha l'impressione che il concetto di unità nazionale e di difesa della patria sia condiviso largamente nel Paese, in particolare presso le giovani generazioni?

Rispetto a 150 anni fa, la coscienza nazionale degli italiani è cresciuta e si è radicata attraverso tante prove, anche drammatiche. E in ormai quasi 5 anni da Presidente, nel corso dei miei viaggi ed incontri in tutto il paese, ho potuto constatare come l'attaccamento all'Italia nella sua unità sia molto più forte - anche tra le giovani generazioni - di quanto certe polemiche possano far pensare. Non si deve prendere alla lettera e sopravvalutare una tendenza all'ipercritica verso noi stessi o addirittura all'autorecriminazione che forse è parte del carattere degli italiani.
In generale, sono convinto che un serio confronto con tanti aspetti della nostra storia lontana sia una occasione davvero importante anche per discutere sull'Italia di oggi e del futuro, sulle sfide difficili che dobbiamo superare guardano alle generazioni più giovani.
Quanto alla difesa della patria, della nostra bandiera e della sicurezza collettiva, si pensi all'abnegazione - fino al rischio della vita - dei nostri giovani, insieme a tanti francesi, britannici, europei, americani, in Afghanistan, in Libano, nei Balcani.

Che influenza può avere la commemorazione dei 150 anni sull'opinione pubblica del Suo Paese, in questo periodo incerto, nel non son più di moda gli eroi, le grandi epopee?

Questo 150° anniversario celebra l'orgoglio del nostro essere italiani. L'Unità d'Italia ha coronato i sogni di Dante, di Petrarca, di Machiavelli e ci ha portato, da una condizione di povertà ed arretratezza complessive, ad essere uno dei Paesi che fanno la loro parte nelle prime file alle Nazioni Unite, nell'Unione Europea, nell'Alleanza Atlantica. È questo il motivo per cui, d'accordo con il governo, ho inteso conferire particolare rilievo internazionale alle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità, il 2 giugno prossimo, invitando a Roma molti Capi di Stato.

Da napoletano, come avverte lo scetticismo e i pregiudizi di alcuni nei confronti dei Suoi concittadini?

La ringrazio per questa domanda. Nelle molteplici appartenenze, di cui ci consideriamo portatori, mi sento europeo, italiano, napoletano. Lì sono le mie radici, da lì è iniziato il mio percorso di vita, quella è la realtà umana e sociale che ho rappresentato a lungo nel Parlamento italiano e nel Parlamento europeo. Napoli, la Città nuova dei greci, ha una storia antichissima e per lunghi tratti ha rappresentato un punto di riferimento nel panorama culturale e filosofico europeo. Oggi la mia città vive una fase difficile. Uno scrittore che amate anche in Francia, Raffaele La Capria, ha parlato di "un'armonia perduta". Ma ciò non autorizza i luoghi comuni cui si abbandonano certi osservatori e non autorizza lo scetticismo, tanto meno quello di noi stessi napoletani e italiani. L'Italia tutt'intera ha mostrato in momenti duri della sua storia una sorprendente energia vitale. Sono convinto, nell'animare le celebrazioni del 150° dello Stato nazionale, che possa determinarsi un clima nuovo nel rapporto tra le diverse realtà del paese e quindi uno slancio unitario verso il futuro, nella sempre più salda nostra appartenenza europea.

Lei ha dichiarato recentemente che il pessimismo di Pier Paolo Pasolini sull'Italia non era «senza fondamento». Ma Lei, Signor Presidente, nutre ragioni d'ottimismo per il Suo Paese?

Prima di tutto, le vorrei dire che chi detiene una responsabilità politica o istituzionale - come nel mio caso - non può permettersi il lusso d'essere pessimista. È un atteggiamento intellettuale assolutamente rispettabile, ma chi si trova a ricoprire un incarico di responsabilità deve avere una fiducia razionale nella possibilità di rinnovare e fare evolvere il Paese. Penso in particolare alla condizioni in cui l'Italia si è trovata dopo la Seconda guerra mondiale. Era davvero difficile, allora, essere ottimisti. La Storia ha dimostrato che chi lo fu non si sbagliò.